Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12505 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12505 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19590/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in SALERNO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME
NOME
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 256/2023 depositata il 24/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. NOME COGNOME citava davanti al Tribunale di Salerno il fratello NOME con domande di reintegrazione della quota di legittima mediante la riduzione della disposizione testamentaria con la quale la madre, NOME COGNOME, aveva lasciato la sua quota di proprietà di un immobile in Salerno, INDIRIZZO al convenuto e di scioglimento della comunione ereditaria con attribuzione a sé dell’immobile, in quanto già proprietaria della quota residua per donazione della zia NOME COGNOME. Il convenuto proponeva riconvenzionale relativa alla divisione di altri beni caduti in successione, posti in Bracigliano, ed alla restituzione dei relativi frutti civili percepiti dalla germana. Il Tribunale dichiarava aperta la successione ma rigettava sia le domande attoree sia le riconvenzionali sul rilievo del difetto di prova della appartenenza alla de cuius dei beni di cui era stata chiesta la divisione. L’appello di NOME COGNOME veniva rigettato dalla Corte di Appello di Salerno con sentenza 256 del 2023. La Corte di Appello condivideva il rilievo del Tribunale. Evidenziava che la documentazione prodotta dalla attrice era relativa alle successioni di NOME COGNOME, marito di NOME COGNOME, il quale aveva lasciato ad NOME l’usufrutto della proprietà in Bracigliano, di NOME COGNOME, la quale aveva lasciato a NOME COGNOME la quota dell’immobile di INDIRIZZO -per evidente errore materiale indicato dalla sentenza a pagina 11 come INDIRIZZO dopo che nella stessa sentenza è correttamente indicato come immobile di INDIRIZZO di NOME COGNOME, la quale aveva lasciato a NOME COGNOME la propria quota dell’immobile in questione. Evidenziava ancora la Corte di Appello che in tale documentazione ‘non vi prova alcuna della provenienza dei beni costituenti la massa ereditaria in capo alla de cuius COGNOME NOME‘. Né, aggiungeva la Corte di Appello, il deficit probatorio poteva dirsi superato dalla produzione della nota di trascrizione del testamento o dallo stesso testamento di NOME COGNOME padre di NOME e NOME COGNOME posto che la
prima aveva solo valenza fiscale e che il secondo, con il quale il testatore aveva lasciato la quota disponibile del suo patrimonio alle figlie, non conteneva alcun ‘utile riferimento per identificare i beni di sua proprietà che avrebbe trasferito alle figlie’. La Corte di Appello concludeva affermando che ‘la dedotta mancata contestazione non consente di superare la carenza probatoria in ordine al titolo che doveva essere documentalmente provato’;
per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME ricorre con due motivi;
NOME COGNOME è rimasto intimato;
la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
1. con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione degli artt. 713 e 2697 c.c. per avere la Corte d’appello ritenuto necessaria la prova formale della proprietà in capo alla de cuius dei beni da dividere laddove invece avrebbe dovuto ritenere sufficiente la prova indiziaria e avrebbe dovuto ritenere operante il principio di non contestazione. La ricorrente evidenzia che la Corte di Appello aveva omesso di esaminare la documentazione in atti, dalla quale sarebbe stato possibile avere prova sufficiente della appartenenza alla de cuis dell’immobile di INDIRIZZO costituita dal contratto ai rogiti notaio COGNOME del 13/12/1993, con cui NOME COGNOME aveva donato ad essa ricorrente la metà dell’immobile e che richiamava il testamento di COGNOME NOME, padre di NOME e di NOME COGNOME, come titolo di provenienza, ed aveva altresì trascurato le risultanze della consulenza tecnica di ufficio svolta nel corso del giudizio, la quale, ‘sulla base dei titoli esibiti’, aveva accertato l’indivisibilità del bene, con possibile attribuzione dello stesso alla sig.ra COGNOME NOME, previo versamento di conguaglio. La ricorrente sottolinea di aver prodotto la nota di trascrizione del testamento di NOME COGNOME padre di NOME e di NOME, nota che riproduceva il
testo del testamento da cui emergeva che il testatore aveva lasciato alle figlie la proprietà dei beni oggi in contesa. La ricorrente evidenzia che tra lei e il fratello non vi erano mai state contestazioni sulla consistenza dell’asse;
2. con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 e 4 c.p.c., la violazione degli artt. 1350 e 2697 c.c. e dell’art 115 c.p.c., per avere la Corte di Appello ritenuto che ‘la carenza probatoria in ordine al titolo che doveva essere documentalmente prodotto’ non era superabile dalla assenza di contestazione tra le parti in ordine all’ appartenenza alla de cuius dei beni oggetto di divisione;
3. i motivi devono essere rigettati.
Questa Corte (n. 6228 del 2 marzo 2023; n. 10067/2020) ha affermato che ‘Nei giudizi di scioglimento della comunione, la prova della comproprietà dei beni dividendi non è quella rigorosa richiesta in caso di azione di rivendicazione o di accertamento positivo della proprietà, atteso che la divisione, oltre a non operare alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro condividente, è volta a far accertare un diritto comune a tutte le parti in causa e non la proprietà dell’attore con negazione di quella dei convenuti, sicché, in caso di non contestazione sull’appartenenza dei beni, non può disconoscersi la possibilità di una prova indiziaria, né la rilevanza delle verifiche compiute dal consulente tecnico, siccome ridondanti a vantaggio della collettività dei condividenti’.
Nel giudizio di divisione ereditaria occorre, in linea teorica, offrire la dimostrazione dell’appartenenza dei beni al de cuius o più genericamente la prova della comproprietà (cfr. Cass. n. 1965/2022) e tuttavia, pure in presenza di contestazioni dei coeredi, non grava a carico dell’attore l’onere di quella prova rigorosa richiesta nel caso di azione di rivendicazione o di quella di mero accertamento positivo della proprietà, ‘poiché non si tratta di accertare positivamente la proprietà dell’attore negando quella dei
convenuti, ma di fare accertare un diritto comune a tutte le parti in causa, quali coeredi’ (Cass. n. 1309/1966). Con la divisione, infatti, si opera la trasformazione dell’oggetto del diritto di ciascuno, da diritto sulla quota ideale a diritto su un bene determinato, senza che intervenga fra i condividenti alcun atto di cessione o di alienazione (Cass. n. 20645/2005). La divisione, in considerazione della sua efficacia retroattiva sancita dagli artt. 757 e 1116 c.c., non opera alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro dei condividenti (Cass. n. 17061/2011) ma lascia ciascuno di essi aventi causa dal de cuius (o più in generale, con riferimento a qualsiasi comunione, dal dante causa dei partecipanti alla comunione medesima). La Corte ha anche precisato (v. ancora, Cass. 6228 del 2003, in motivazione) che non si può escludere a priori la rilevanza della non contestazione e, a fortiori, dell’esplicito o implicito riconoscimento dell’appartenenza dei beni ai coeredi (Cass. n. 40041/2021). Con questo, naturalmente, non si intende sostenere che la divisione immobiliare possa farsi ‘sulla parola’, ma più limitatamente che, in una situazione nella quale la comune proprietà dei beni dividendi, nel significato sopra chiarito, sia incontroversa, non si potrebbe disconoscere la possibilità della prova indiziaria, né la rilevanza delle verifiche compiute dal consulente tecnico (cfr. Cass. n. 21716/2020), tenuto conto, appunto, che non si fornisce la prova di un fatto costitutivo di una domanda che vede le parti in contrapposizione fra loro (Cass. n. 1065/2022). La domanda di divisione, infatti, anche quando sia proposta da uno solo, è sempre comune a tutti i condividenti (Cass. n. 6105/1987; n. 15504/2018) i quali sono tutti sul medesimo piano ed hanno tutti eguale diritto alla divisione (Cass.n.4353/1980). Pertanto, le verifiche condotte dall’ausiliario d’ufficio ridondano a vantaggio della collettività dei condividenti, così come andrebbe a svantaggio di tutti una acquisizione postuma, anche se operata d’ufficio dal consulente, dal la quale emergesse
che la proprietà comune, non contestata o desunta a livello indiziario, non trova conferma sul piano documentale (Cass. n. 40041/2021).
Nel caso di specie assume rilievo il fatto che la Corte di Appello ha evidenziato che, al di là della non contestazione – di per sé, come rilevato dalla Corte di Appello, insufficiente, non potendo farsi una divisione ‘sulla parola’ -, negli atti non vi era alcuna prova della appartenenza dei beni dividendi alla de cuius.
La ricorrente -dietro il riferimento, nella rubrica del primo motivo, alla violazione di leggelamenta l’omesso esame dell’atto di donazione ai rogiti notaio COGNOME del 13/12/1993 e l’omesso esame della relazione del CTU.
Con la prima doglianza ella mira, in realtà, ad ottenere da questa Corte di legittimità un inammissibile riesame di quel documento, che non è stato trascurato dalla Corte di Appello. Quest’ultima, infatti, ha ritenuto (v. pagina 11 della sentenza) il documento privo di rilievo siccome riguardante la ‘successione di NOME COGNOME‘ ma inidoneo a dare prova delle proprietà di NOME COGNOME.
Quanto all’ulteriore doglianza di omesso esame delle risultanze della CTU, la stessa ricade nel n.5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. ed è inammissibile atteso che, a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. Per di più, secondo quanto deduce la ricorrente, il CTU avrebbe solo accertato la circostanza non decisiva della ‘indivisibilità’ del bene di INDIRIZZO
4. non vi è luogo a pronuncia sulle spese atteso che NOME COGNOME è rimasto intimato;
PMQ
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2025.