Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10800 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10800 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12138/2021 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 505/2020 della CORTE d’APPELLO di Perugia pubblicata il 1°.3.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21.1.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Presunzioni – Divieto – Presupposti
1. RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Sergio RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti indicata come IM4) propose opposizione al decreto ingiuntivo n. 705/2015, emesso dal Tribunale di Terni il 9.7.2015 su ricorso di RAGIONE_SOCIALE (di seguito indicata come PS), con il quale le era stato ordinato il pagamento di euro 63.032,00 a titolo di canoni di locazione per l’appartamento ad uso ufficio al piano secondo di un immobile di proprietà dell’ingiungente sito in Terni, INDIRIZZO e censito al NCEU di Terni ai F. 101 p. 617/38, in forza di contratto stipulato l’1.8.2007.
IM4 eccepì l’inesistenza del credito perché già soddisfatto, la prescrizione (il primo atto interruttivo a suo dire risaliva al l’ 8.7.2013) e ne contestò l’entità (il canone pattuito violava l’art. 10 della convenzione stipulata tra il Comune di Terni e PS e l’addebito della svalutazione era avvenuto in assenza di richiesta).
L’opponente dedusse in particolare che NOME COGNOME aveva stipulato il 2.8.2006 con PS un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto l’immobile , poi concessole in locazione, per il prezzo di euro 57.000. Nelle more del perfezionamento della vendita, NOME COGNOME provvedeva al pagamento dell’importo complessivo di euro 56.000 mediante assegni «a me medesimo» consegnati a mani dell’amministratore di PS o della moglie , ma in seguito, per essere venuto meno l’interesse all’acquisto del bene, era stato concordato che RAGIONE_SOCIALE, della quale era socio il COGNOME, avrebbe preso in locazione l’immobile e PS avrebbe imputato i versamenti già fatti a titolo di pagamento del canone.
PS nel costituirsi negò di aver ricevuto alcun pagamento da parte di IM4 per canoni di locazione e che quelli eventualmente eseguiti a mani della COGNOME (moglie del legale rappresentante di PS) non costituivano corretto adempimento. In relazione alle ricevute depositate dall’opponente , recanti la sottoscrizione apparente del COGNOME, legale rappresentante di PS, l’opposta ne disconobbe la sottoscrizione.
Nella memoria integrativa PS evidenziò che: a) il Governatori era estraneo al contratto di locazione e che l’eventuale risoluzione del contratto preliminare di acquisto stipulato tra quest’ultimo e PS era del tutto irrilevante; b) i rapporti intercorsi tra il Governatori e IM4 in merito al pagamento della somma di euro 56.000,00 erano irrilevanti, poiché non vi era stato alcun accordo tra il
Governatori e PS circa la diversa imputazione dei presunti pagamenti effettuati. A fronte dell’ eccezione di prescrizione, l’opposta vi aderì riducendo la pretesa a euro 52.879,33, escludendo i canoni sino al mese di luglio 2008.
Con sentenza pubblicata il 22.10.2019 il Tribunale di Terni, a seguito di istruttoria orale ed espletata una C.T.U. grafologica sulle firme contestate dalla opposta, revocò il decreto ingiuntivo e condannò IM4 al pagamento di euro 52.879,33, oltre interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo, e al pagamento delle spese di giudizio.
Il Tribunale notò che quanto dedotto dall’opponente no n emergeva dal contratto di locazione e nessuna rilevanza avevano le dichiarazioni testimoniali assunte tenuto conto dell’ art. 2722 cod. civ. Aggiunse il primo giudice che i pagamenti, ove avvenuti non nei confronti del legale rappresentante di PS, non avrebbero potuto esplicare alcuna efficacia liberatoria per l’ opponente.
La Corte d’Appello di Perugia con sentenza pubblicata l’1.3.2021 , in accoglimento dell’appello proposto da IM4, rigettò la domanda svolta da PS con l’aggravio delle spese di lite dei due gradi.
Premesso il carattere incontestato del fatto che IM4 non avesse mai effettuato il pagamento del canone di locazione, osservò la Corte d’appello che dalle prove orali assunte era emerso il versamento di oltre euro 50.000 da parte del Governatori mediante pagamenti effettuati presso i locali di PS a mani della COGNOME (coniuge del COGNOME, legale rappresentante di PS) ‘ addetta alla contabilità ed ai pagamenti’ di PS.
Notò la Corte d’appello che l’imputazione dei pagamenti fatti dal Governatori a scomputo dei canoni era fondata su «indizi gravi, precisi e concordanti»: il promissario acquirente e IM4 «sostanzialmente» erano un solo centro di interesse; il Governatori non aveva mai chiesto la restituzione di quanto versato e il Picchio non aveva restituito il percepito, sebbene il progettato acquisto fosse sfumato, né vi era altra causa a sostegno del pagamento; PS per otto anni non aveva mai chiesto il pagamento del canone, pur emettendo regolare fattura con assunzione dei relativi oneri; la prova testimoniale, dalla quale era emerso che gli assegni erano stati consegnati dal Governatori alla COGNOME, non ‘è volta a
comprovare un patto contrario o aggiunto al contratto di locazione, ma è volta a comprovare il pagamento delle somme da parte del Governatori a chi risultava apparentemente legittimato a riceverlo secondo il principio dell’apparenza…’ .
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre PS, sulla base di due motivi. Risponde con controricorso IM4.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2722, 2726 e 2729, comma secondo, cod. civ.
La ricorrente assume che la decisione della Corte d’appello confliggerebbe con gli artt. 2722 e 2729, comma secondo, cod. civ. Infatti, l’art. 2722 cod. civ., vietando la prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, la cui stipulazione sia anteriore o contemporanea, avrebbe imposto che il preteso accordo intervenuto tra le parti (imputazione dei versamenti eseguiti in anticipo, dal promissario acquirente, ai futuri canoni dovuti dalla conduttrice dello stesso immobile oggetto del preliminare) fosse provato per iscritto. Tale accordo non incideva solo sulla modalità del pagamento del canone, ma alterava il contratto di locazione sulla base di una disciplina pattizia diversa.
Erroneamente la Corte d’appello avrebbe dichiarato inconferente il richiamo all’art. 2722 cod. civ. e ritenuto provato il pagamento anticipato in via presuntiva in contrasto con l’art. 2729, comma secondo, cod. civ. , che estende alle presunzioni semplici le limitazioni prescritte per la prova testimoniale, non senza aggiungere che in base al l’art. 2726 cod. civ. la prova del pagamento è soggetta allo stesso limite previsto per il contratto.
1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., perché con esso non si aggredisce compiutamente l’ intera ratio decidendi enunciata dalla Corte d’appello.
Infatti, la ricorrente ha prospettato la violazion e sia dell’art. 2722 cod. civ., circa il divieto di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, la cui stipulazione sia anteriore o contemporanea, sia del l’art. 2729 , comma secondo, cod. civ., quanto al divieto di ricorrere alle presunzioni nei casi in cui è esclusa la prova testimoniale, ma non ha aggredito compiutamente l’intera ratio decidendi della sentenza resa dalla Corte d’appello.
La ricorrente ha impugnato solo la parte della motivazione che riproduce alla fine della pagina 8 ed all’inizio della pagina 9 del ricorso: ‘ Dunque può dirsi accertato che il Governatori pagò somme alla PS in anticipazione rispetto all’obbligo di pagamento del prezzo pattuito nel preliminare. L’imputazione di quei pagamenti all’estinzione dei canoni è poi dedotto sulla base di indizi gravi precisi e concordanti: il soggetto promissario acquirente e il conduttore sono sostanzialmente uno stesso centro di interessi; il Governatori non ha mai chiesto i soldi pagati indietro, tanto meno il COGNOME li ha restituiti, nonostante fosse pacifico che il progetto di vendere l’immobile fosse poi venuto meno tra le parti; per ben otto anni il locatore non ha chiesto né perseguito il pagamento dei canoni (manca qualsivoglia richiesta e sollecito al riguardo), tanto che parecchie mensilità sono andate prescritte; tuttavia ha emesso regolari fatture (assumendo i relativi oneri fiscali: condotta non coerente). D’altro canto, non è credibile che per tutto il periodo in questione il Governatori non abbia mai richiesto indietro il pagamento a titolo di anticipazione il prezzo di acquisto (per il trattamento del quale PS non deduce una diversa causale)’ .
Per converso, la ricorrente ha omesso di censurare la motivazione enunciata dalla sentenza nelle ultime due righe della pagina 6 e nelle prime otto della pagina 7, là dove la corte perugina si è preoccupata, a torto o a ragione, di spiegare perché la prova testimoniale, anzi le prove testimoniali, non riguardavano patti aggiunti : ‘Dunque, deve ritenersi che la società opposta (convenuta formale) abbia ritualmente contestato i fatti dedotti dall’opponente nell’atto introduttivo del giudizio di opposizione. È pacifico che la odierna appellante non abbia versato somme alla PS. I pagamenti, in effetti, secondo la tesi dell’appellante, furono eseguiti sempre e solo dal Governatori in esecuzione anticipata dell’obbligazione
di pagamento del corrispettivo dell’acquisto dell’immobile, poi locato a Im4: secondo la tesi attorea, perso l’interesse del Governatori all’acquisto, era intervenuto tra IM4, il Governatori e la PS un accordo avente ad oggetto l’utilizzabilità della somma ricevuta dalla PS a deconto di canoni futuri e il contratto di locazione era stato stipulato proprio su questo presupposto. Le due testimoni escusse in primo grado hanno confermato la circostanza del versamento di euro 50.000 alla PS da parte del Governatori mediante consegna delle somme ‘ . Nessuna critica su tale parte della motivazione è stata svolta dalla ricorrente nell’illustrazione del motivo. Con il che l’assenza di critica sul punto salva la sentenza anche dalla violazione delle due norme sulle presunzioni, dato che si è consolidata l’affermazione che non si trattasse di prova di patti aggiunti.
La ricorrente, pertanto, ha prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio ‘ (v. Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21490; sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1351, 1372, 2725, comma secondo, e 2729, comma secondo, cod. civ.
Secondo la ricorrente l a decisione della Corte d’appello ne llo svolgimento della valutazione presuntiva, in ordine all’accordo per l’imputazione a pagamento dei futuri canoni di locazione dei pagamenti fatti dal Governatori, poggerebbe erroneamente sul ritenuto scioglimento per mutuo consenso del contratto preliminare relativo all’immobile , la cui dimostrazione, tuttavia, non può avvenire in via presuntiva, a ciò ostandovi gli artt. 2725, comma secondo, e 2729, comma secondo, cod. civ. Norme dettate da ragioni di ordine pubblico, la cui violazione
può essere dedotta in ogni stato e grado ed è rilevabile anche d’ufficio , non essendo suscettibile di sanatoria.
2.1. La ricorrente evidenzia che la decisione impugnata poggia sul ritenuto scioglimento per mutuo consenso del preliminare intervenuto tra il Governatori e PS , per il quale vale il divieto previsto dall’art. 2725, comma secondo, cod. civ., così risultando precluso il ricorso alle presunzioni.
Anche questo motivo è inammissibile per difetto di specificità ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. per non aver la ricorrente aggredito compiutamente la ratio decidendi espressa dalla Corte d’appello. Non solo nella sentenza non è stato affermato che il preliminare risultava provato dalle testimonianze, ma è decisivo che nella stessa parte di motivazione criticata si sostenga che ‘… nonostante sia pacifico che il progetto di vendere l’immobile sia poi venuto meno tra le parti …’ : ebbene parte ricorrente avrebbe dovuto criticare questa affermazione, ma non l’ha fatto in alcun modo.
Al riguardo è stato affermato che ‘ qualora nella decisione di una causa, il giudice faccia richiamo all’esistenza di un negozio (nella specie, un contratto preliminare di vendita immobiliare) per il quale è richiesto l’atto scritto ad substantiam ovvero ad probationem , ma il negozio stesso sia richiamato non quale titolo giuridico fonte di diritti od obbligazioni formanti oggetto delle domande dei contendenti, bensi unicamente quale dato storico antecedente ed utile per la ricostruzione dei fatti, non occorre che si tratti di atto registrato e ritualmente prodotto in causa. Né tale esigenza scaturisce dal dovere di decidere secundum alligata et probata , se quel dato storico utilizzato era acquisito come del tutto pacifico fra le parti’ (v. Cass., sez. III, 2 marzo 1973, n. 578 ; v., sempre a proposito della non operatività del divieto ex art. 2729, comma secondo, cod. civ. quando l’esistenza dell’accor do non sia invocata come tale, cioè come fonte di diritti e di obblighi tra le parti contraenti, ma sia dedotta da un terzo, o dalle parti stesse, come fatto storico, dal quale pur discendono conseguenze in ordine alla decisione, v. Cass., sez. III, 15 dicembre 1999, n. 14069; 16 giugno 1992, n. 7400; sez. I, 18 gennaio 1982, n. 299; sez. II, 18 febbraio 1977, n. 737).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte