Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10727 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10727 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6868/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. e P. IVA P_IVA, con sede legale in Stradella (PV), INDIRIZZO in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione, legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Napoli, ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del primo in Piacenza, INDIRIZZO giusta procura speciale alle liti in atti.
–
ricorrente –
contro
FALLIMENTO della società RAGIONE_SOCIALE in persona del Curatore dott.ssa. NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona dell’amministratore pro tempore
-intimati –
avverso la sentenza n. 311/2022 della Corte di Appello di Milano, pubblicata il 31/01/2022 e notificata alla società fallita in data 31/01/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, con la resistenza del creditore istante e nella contumacia del fallimento, ha rigettato il reclamo proposto , ai sensi dell’art. 18 l. fall., da RAGIONE_SOCIALE società cooperativa contro la sentenza n. 58/2021 del Tribunale di Pavia, pubblicata il 10 settembre 2021, con la quale era stato dichiarato il suo fallimento, su istanza del Condominio Montecucco, titolare di un credito di € 7.717,91 derivante da ordinanza di assegnazione emessa a suo favore nell’ambito di una procedura di pignoramento presso terzi.
La corte del merito ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) sussistesse la condizione di procedibilità di cui all’art. 15, ultimo comma, l. fall., posto che, con riferimento al debito nei confronti del Condominio di Montecucco, l’ordinanza di assegnazione era stata resa sul presupposto della non contestazione del debito da parte del terzo pignorato, che non aveva reso la prescritta dichiarazione né era comparso all’udienza prevista dall’art. 548 cod. proc. civ., nè risultava che l’ordinanza fosse stata fatta oggetto di gravame, con la conseguenza che correttamente il Tribunale di Pavia ne aveva tenuto conto, anche per accertare la legittimazione del creditore istante; (ii) quanto al debito attestato dalla Agenzia delle Entrate, i documenti acquisiti smentivano l’assunto difensivo della società reclamante, poiché la certificazione datata 28/7/2021 dava atto della notificazione in data 15 ottobre 2019 a Zlog di un avviso di accertamento per un debito nei confronti dell’INPS di € 321.716,33, che non risultava ‘ sgravato ‘ ovvero rateizzato; (iii) si trattava, pertanto , all’evidenza, di debito ‘scaduto e non pagato’ , ciò essendo stato anche confermato dal l’esame degli allegati alla conseguente domanda di ammissione al passivo depositata dalla Agenzia delle Entrate, che era stata invero integralmente accolta; (iv) quanto al profilo della contestata insolvenza, la stessa prospettazione della possibilità di richiedere una rateizzazione del debito fiscale costituiva implicito riconoscimento
dell’indisponibilità da parte della società poi dichiarata fallita di mezzi propri adeguati e disponibili in tempi ragionevoli per il soddisfacimento delle obbligazioni contratte; (v) il pagamento, infatti, dei crediti (che avrebbero dovuto comprendere anche il credito ammesso al passivo su istanza dell’INPS per oltre un milione di euro, previa sua rateizzazione) sarebbe stato affidato unicamente allo sperato esito vittorioso di controversie allo stato pendenti in primo grado, nonché a una riferita disponib ilità di un ‘socio’ , non meglio identificato, ad erogare un finanziamento ; (vi) sarebbero quest’ultimi meri e aleatori auspici che non valevano a contrastare il dato emerso in modo inequivocabile dall’esito infruttuoso del pignoramento mobiliare tentato da l creditore istante RAGIONE_SOCIALE Montecucco per il recupero coattivo del ben più modesto importo di € 7.117,91; (vi) l ‘irreversibilità della crisi era in realtà insita nella circostanza, segnalata dalla reclamante, della cessazione dell’attività d’impresa da lla primavera del 2020, quando non era stato rinnovato il contratto per lo svolgimento di servizi di logistica presso Unieuro, che costituiva la sua unica attività e allorquando, infine, tutti i suoi dipendenti erano stati assunti da altra società.
La sentenza, pubblicata il 31/01/2022, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Gli intimati Fallimento di RAGIONE_SOCIALE società cooperativa e condominio Montecucco non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per motivazione apparente ‘ con la conseguente nullità della sentenza.
1.1 Ritiene la ricorrente che, a fronte delle specifiche doglianze mosse in sede di reclamo in ordine all’insussistenza del debito, non sarebbero comprensibili le ragioni del rigetto del gravame, fondato dalla Corte di Appello su una propria interpretazione in punto di motivazione, neppure richiamata per relationem , della sentenza del Tribunale di Pavia, che non trovava riscontro dalla lettura della stessa, poiché nulla si diceva in punto di mancata contestazione da parte del presunto creditore.
1.2 Il motivo, così articolato, è infondato.
Sul punto giova ricordare che, secondo gli insegnamenti di questa Corte, la motivazione deve essere considerata solo apparente e la sentenza è pertanto nulla perché affetta da “error in procedendo”, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; n. 8053 del 2014; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019).
Ciò posto e ricordato, va evidenziato che la Corte di appello ha in realtà spiegato che COGNOME era il debitor debitoris pignorato e che non aveva neanche contestato l’esistenza del proprio debito al momento del pignoramento presso terzi, con l ‘ ineluttabile conseguenza che questa condotta lasciava presumere l’esistenza del debito .
Non può certo dirsi che la motivazione adottata dalla Corte territoriale, in punto di esistenza della condizione di procedibilità della domanda, sia meramente apparente ovvero inesistente, secondo il paradigma applicativo delineato dalla giurisprudenza di legittimità sopra ricordata, avendo i giudici di appello spiegato il ragionamento giuridico sotteso alla decisione qui impugnata.
Con il secondo mezzo si deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1, 6, 15 e 18 l. fall.
2.1 Ricorda la ricorrente che decisiva, per la dichiarazione di fallimento ai fini degli accertamenti dei presupposti applicativi di cui agli artt. 1 e 15 l. fall., sarebbe stata, nella valutazione della Corte di merito, la certificazione datata 28/07/2021, laddove si dava atto della notificazione in data 15/10/2019 ad essa ricorrente di un avviso di accertamento per un debito nei confronti dell’INPS di € 321.716,33, così come, ai fini dell’ accertamento dello stato di insolvenza ex art. 5 l. fall., dell’istanza di ammissione al passivo dello stesso INPS per oltre un milione di euro.
2.2 Secondo la ricorrente, invece, il ‘ certificato dei carichi pendenti ‘ sarebbe un atto privo di valore impositivo e di conseguenza non sarebbe idoneo a contenere un’informazione completa ed esaustiva della pretesa fiscale, non rappresentando, dunque, la prova del ‘ ruolo ‘ . Il ruolo – che viene definito quale atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge (artt. 10, lett. b), 11 e 12 D.P.R. n. 602 del 1973), anche con riferimento alla sua impugnabilità (art. 19 D.Lgs. n. 546/1992), nonché provvedimento proprio dell’ente impositore, contenente una pretesa economica che viene posta a conoscenza del contribuente con la notifica della cartella di pagamento nella quale è incorporato – risulterebbe pertanto essere il mezzo di prova valutabile ai fini dell’applicazione o meno delle norme fallimentari sopra indicate, atteso che, diversamente, si darebbe valore probatorio, come avvenuto nel caso in esame, ad un atto autoreferenziale del fisco privo di tale valore.
2.3 La doglianza, così proposta, presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
2.3 .1 Sotto il primo profilo, la società ricorrente, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., pretende un nuovo scrutinio della quaestio facti , invece inibito, come noto, al giudice di legittimità (cfr. Cass. 3340/2019, Cass. 640/2019, Cass. 24155/2017).
Contesta, infatti, la parte ricorrente l’idoneità probatoria del certificato dei carichi pendenti, documento nel quale, peraltro, per stessa sua ammissione, si sarebbe dato atto della notifica di un atto di accertamento tributario per circa euro 320.000.
Anche l’ulteriore richiamo giurisprudenziale (v. Cass. n. 13536/2020), contenuto nel motivo qui in esame, risulta invero del tutto inconferente rispetto alla ratio decidendi che sorregge il provvedimento impugnato, posto che lo stesso riguarda in realtà il profilo dell ‘ impugnabilità ‘ anticipata ‘ del predetto certificato riassuntivo, valutazion e quest’ultima che non rileva in alcun modo nell’ambito del giudizio prefallimentare, ove il Tribunale – che decide sul la sussistenza dell’insolvenza – forma il suo convincimento sulla base della documentazione prodotta, senza la necessità di alcun apprezzamento sull ‘ impugnabilità o meno dell’atto impositivo portante il credito erariale.
2.3.2 Sotto altro profilo, le doglianze sono infondate se solo si considera il consolidato principio già affermato da questa Corte secondo cui, ai fini del computo dell’esposizione debitoria minima prevista dall’art. 15, comma 9, l. fall., rilevano alla stregua di debiti scaduti e non pagati le passività tributarie portate da un avviso di accertamento conosciuto dal destinatario (per avvenuta sua notifica o perché acquisito in giudizio), a prescindere dall’iscrizione a ruolo e dalla trasmissione del carico fiscale all’agente della riscossione (così, Cass. Sez. 1, 10/12/2020, n. 28192).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 5 e 15 l. fall., in relazione agli artt. 100 e 69 cod. proc. civ.
3.1 Osserva la ricorrente che la Corte distrettuale avrebbe utilizzato, per ravvisare la prova dello stato di insolvenza, non già le risultanze dell’istruttoria prefallimentare, ma documentazione postuma versata in atti dalla curatela, peraltro non costituita, su richiesta della Corte di Appello. L’accertamento dello stato di insolvenza andrebbe, infatti, compiuto al momento della sentenza in base agli atti acquisiti dal fascicolo fallimentare, con onere della prova a carico dell’istante. Onere che riguarderebbe, peraltro, anche il profilo della condizione di procedibilità di cui all’art. 15, u.c., l. fall., il quale, stabilendo espressamente il limite quantitativo di fallibilità riferito ai debiti scaduti e non pagati (euro 30.000), costituirebbe una condizione oggettiva che deve risultare già dagli atti dell’istruttoria prefallimentare.
3.2 La Corte lombarda sarebbe, dunque, incorsa nella violazione dell’art. 2697 c.c. laddove non ha attribuito l’onere della prova alla parte che per legge ne risultava gravata, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, non onerando, in tal modo, l’istante della prova degli elementi integranti il fatto costitutivo dello stato di insolvenza della società ricorrente.
3.3 Il motivo è infondato.
3.3.1 Non emerge infatti dalla lettura del provvedimento impugnato che la Corte di appello abbia violato i criteri di ripartizione degli oneri della prova, gravando il debitore dell’onere di provare i presupposti dell’insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., essendosi limitata, al contrario, ad apprezzare il materiale probatorio documentale acquisito al giudizio prefallimentare ed a riscontrare,
così, la sussistenza tanto dell’insolvenza , quanto della condizione di procedibilità della domanda prevista dall’art. 15, u.c., l. fall.
3.3.2 La Corte di merito, per quanto riguarda lo scrutinio dell’insolvenza, ha tenuto conto del credito dell’INPS , esistente al momento della dichiarazione di fallimento, per l’ammontare risultante dalle operazioni verifica del passivo. Tale accertamento, oltre ad integrare un apprezzamento di merito non più sindacabile in questo giudizio di legittimità, risulta anche giuridicamente corretto, posto che, per consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte, le risultanze del processo di verificazione dei crediti possono essere utilizzate quali elementi dimostrativi dell’esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento (cfr. anche: Cass. Sez. 1, 16/06/2022, n. 19477)
3.3.3 Ma non risulta violato neanche il principio, sempre dettato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dall’art. 15, comma 9, l. fall. deve aversi riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, dovendosi, invece, escludere ogni rilievo a quelli successivamente accertati in sede di verifica dello stato passivo (Cass. Sez. 6, 19/07/2016, n. 14727).
Ed invero, la Corte di appello ha formato il suo convincimento, in ordine al predetto requisito di procedibilità della domanda di fallimento, proprio sulla base della documentazione emergente dalla istruttoria prefallimentare, per come già sopra ricordata anche in relazione all’esame dei motivi che precedono.
Il quarto mezzo denuncia ‘ violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo, per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti’ in ordine alla decisiva circostanza della insussistenza del credito della parte istante ‘ , sul rilievo che la Corte territoriale non abbia per nulla esaminato il profilo della palese insussistenza del credito della parte istante.
4.1 Secondo la ricorrente quanto dedotto sarebbe risultato dall’atto pubblico di cessione d’azienda, versato in atti, laddove dallo stesso emergeva che RAGIONE_SOCIALE non avrebbe dovuto più versare alcun canone di affitto d’azienda alla società RAGIONE_SOCIALE a partire dal mese di febbraio 2020, avendo acquistato l’azienda .
Tuttavia, o gni considerazione in proposito nell’impugnata decisione sarebbe stata omessa, così determinando la nullità della sentenza impugnata.
4.2 Il motivo è inammissibile.
Occorre sottolineare che il Tribunale ha esaminato la questione dell’esistenza del credito pignorato, ritenendolo, come detto, sussistente.
Ora, la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. consente di lamentare l’omissione dell’ esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (cfr., anche: Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).
Si tratta dunque di una doglianza articolata fuori del paradigma applicativo declinato dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
Per tutto quanto sopra esposto il ricorso deve essere rigettato.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa delle parti intimate.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25.3.2025