Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18849 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Data pubblicazione: 10/07/2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18849 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Relatore
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Banca
Ad.15/05/2025 CC
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23411 R.G. anno 2022 proposto da:
COGNOME Maria COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso l’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 961/2022 pronunciata dalla Corte di appello di Bari il 14 giugno 2022
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ E ‘ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di
appello di Bari con cui è stato respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la pronuncia del Tribunale di Trani: detto Tribunale aveva disatteso la domanda spiegata dalla stessa COGNOME nei confronti di Unicredit, domanda diretta al risarcimento del danno sofferto dall’attrice per l’ illegittima segnalazione del suo nominativo al CRIF.
Il ricorso è su di un motivo ed è resistito con controricorso da Unicredit s.p.a..
2 . ─ E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
─ La ricorrente denuncia la violazione degli artt. 132 e 156 c.p.c., in riferimento all’art. 360 n. 5, c.p.c., e la violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. e 115 c.p.c., in riferimento all’art . 360 n. 3, c.p.c..
La proposta ha il tenore che segue.
«l motivo è inammissibile;
«deduce la ricorrente che nella fattispecie non opererebbe la previsione dell’art. 348 -ter , comma 5, c.p.c. «in quanto sulla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale si è espressa soltanto la Corte di appello e non anche il Giudice di primo grado»: nello svolgimento del motivo, tuttavia, la ricorrente fa questione (anche) del danno patrimoniale;
«ad ogni modo, nell’ipotesi di ‘ doppia conforme ‘ ex art. 348ter , comma 5, c.p.c., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. 20 settembre 2023, n. 26934; Cass. 28 febbraio 2023 n. 5947) e il ricorso odierno non contiene esaurienti ragguagli nel senso indicato;
«il rilievo che precede è assorbente con riguardo alla censura di
cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.; per completezza si osserva, comunque, quanto segue;
«deduce l’istante che «le dichiarazioni rese dai testi (inerenti le conseguenze negative subìte dalla odierna ricorrente a seguito dell’illegittima segnalazione alla CRIF) costituiscono un ‘ fatto storico ‘ la cui esistenza risulta dagli atti processuali e che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, fatto che, peraltro, sarebbe stato ‘ completamente obliterato dal Giudice del gravame ‘ ;
«la ricorrente riconduce, quindi, la deposizione testimoniale al fatto decisivo di cui al cit. art. 360, n. 5, c.p.c; ma tale norma ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415);
«l’omesso esame di elementi istruttori non integra, quindi, di per sé, il vizio di omesso esame di fatto decisivo, onde la censura avrebbe dovuto avere ad oggetto circostanze fattuali e non mezzi di prova; e a tal fine la ricorrente avrebbe dovuto indicare il «fatto storico», il cui esame fosse stato omesso, il ‘ dato ‘ , testuale o extratestuale, da cui esso fosse risultato esistente, il ‘ come ‘ e il ‘ quando» tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘ decisività ‘ (citt. Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053, Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 e Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415);
«l’istante assume, poi, che il consulente tecnico avrebbe accertato una riduzione dei corrispettivi che avrebbe dovuto essere valorizzato sul piano delle presunzioni;
«si osserva, però, che la sentenza impugnata (pagg. 2 e 3) ha
Numero registro generale 23411/2022
Numero sezionale 2005/2025
Numero di raccolta generale 18849/2025
Data pubblicazione 10/07/2025
operato una ricognizione delle risultanze della c.t.u. giungendo alla conclusione che in giudizio non constava prova di una riduzione degli utili conseguiti all’illegittima segnalazione;
«come è noto, chi ricorre per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 22 novembre 2023, n. 32505; Cass. 7 aprile 2017, n. 9097);
«né si può efficacemente dedurre, in questa sede, che il danno sarebbe stato suscettibile di provarsi per presunzioni: va osservato che ‘ e presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice ‘ ex art. 2729, comma 1, c.c..; in tale prospettiva questa Corte ha avuto modo di evidenziare che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 5 agosto 2021, n. 22366, la quale precisa, poi, che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio; cfr. pure: Cass. 26 febbraio 2020, n. 5279; Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961; di recente:
Cass. 30 luglio 2024, n. 21416; Cass. 23 luglio 2024, n. 20429; Cass. 10 giugno 2024, n. 16091);
«quanto alla dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., è sufficiente considerare, da un lato, che la Corte di appello ha escluso fosse stato provato il danno da contrazione degli utili e rilevare, dall’altro, che l’allegato danno non patrimoniale (all’immagine e alla reputazione commerciale) è stato ritenuto pure privo di riscontro; non vi è dunque spazio per l’applicazione dell’art. 1226 c.c.: l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 30 luglio 2020, n. 16344; Cass. 22 febbraio 2018, n. 4310; Cass. 12 ottobre 2011, n. 20990);
«pure inammissibile è la censura vertente sulla disposizione di cui all’art. 115 c.p.c.: per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016)».
Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, che resistono ai rilievi critici formulati dalla parte ricorrente.
Si ribadisce che la deposizione testimoniale non è un fatto storico riconducibile alla previsione dell’ art. 360, n. 5, c.p.c.: tale è, semmai, la circostanza riferita dal testimone nel corso della sua escussione.
Nel ricorso per cassazione risulta evidenziato (pag. 5) che l’espletata istruttoria orale aveva evidenziato che «a seguito dell’illegittima segnalazione alla CRIF, all’RAGIONE_SOCIALE Marmo RAGIONE_SOCIALE era stato impedito l’accesso al credito necessario per l’espletamento della sua attività aziendale ed aveva avuto serie difficoltà con alcuni fornitori, che interrompevano i rapporti commerciali, mentre altri non le avevano più concesso le dilazioni nei pagamenti che, sino ad allora, le avevano regolarmente accordati». In realtà, le richiamate deposizioni danno ragione della mancata concessione di un finanziamento e del rifiuto, da parte di un fornitore, di vendere la merce alla ricorrente. Tali evenienze non sono, però, in sé decisive in quanto è anzitutto mancata la prova delle conseguenze patrimoniali negative risentite dalla ricorrente in ragione dei fatti che assume provati testimonialmente: la lacunosità della documentazione contabile ha del resto impedito al c.t.u. di rilevare finanche l’andamento reddituale dell’impresa nel periodo che interessa, successivo alla segnalazione del CRIF.
Quanto al danno all’immagine, non può chiedersi a questa Corte di sostituirsi al giudice del merito nell ‘apprezzamento del le prove oggetto di acquisizione: di decidere, cioè, se dai fatti sopra descritti la Corte territoriale avrebbe dovuto desumere il detto pregiudizio. Osserva giustamente la ricorrente che sul punto si fa questione di presunzioni (semplici ovviamente, non legali). Ora, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il «convincimento» che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova (Cass. 19 luglio 2021, n. 20553). Non si è qui, in altri termini, nel campo
dell’omesso esame di fatti storici muniti dell’attributo della decisività, ma in quello dell’ apprezzamento di elementi probatori: attività, questa, destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante, che costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (Cass. 21 dicembre 2022, n. 37382).
Il ricorso è conclusivamente inammissibile.
3 . -Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Tr ovano applicazione le statuizioni di cui all’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. , giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, dell’ulteriore somma di euro 6.000,00; condanna la parte ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, facente carico a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile, in data 15 maggio 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME