Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4396 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4396 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14106/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in PERUGIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in PERUGIA INDIRIZZO/O DOM DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende controricorrente-
avverso DECRETO del TRIBUNALE di SPOLETO n. 936/2021 depositata il 20/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Avv. NOME COGNOME ha chiesto l’ammissione al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione di crediti per prestazioni professionali, di cui parte (chiesta con il riconoscimento del privilegio professionale) maturata per attività svolte prima del deposito di una domanda di ammissione al concordato preventivo (pari ad € 52.143,58), nonché altra relativa ad attività svolta durante il concordato preventivo. Il decreto di esecutività dello stato passivo ha escluso il credito maturato in epoca precedente la domanda di concordato e ha ammesso il credito per prestazioni successive alla domanda di concordato (per quanto qui ancora rileva) al privilegio per il minor importo di € 15.860,00, non comprensivo degli accessori di legge, per predisposizione della domanda di concordato, al netto degli acconti, escludendosi il maggior importo di € 83.558,87.
Il ricorrente -come risulta dal decreto impugnato e per quanto qui ancora rileva -ha censurato l’esclusione del credito per attività prestata in costanza di concordato ( attività prestata nell’ambito di procedure esecutive), nonché l’esclusione dell’ulteriore credito per € 25.342,40, per il quale ha chiesto il riconoscimento anche degli accessori di legge. E’, inoltre, stata censurata l’esclusione del credito per attività prestata in favore della società per il periodo precedente il deposito della domanda di concordato in relazione all’importo di € 10.213,84, deducendo trattarsi di attività svolta nell’ambito di un giudizio ordinario n. 705/2015 R.G. Trib. Spoleto.
Il Tribunale di Spoleto, con il decreto qui impugnato, ha rigettato l’opposizione allo stato passivo. Per quanto qui ancora rileva, il Tribunale ha rilevato, quanto alla attività di presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, che non vi fosse prova -alla luce dell’esame del documento n. 144 allegato alla domanda del ricorrente – di una
pattuizione per la quale al ricorrente si sarebbero dovuti accordare anche gli accessori e le anticipazioni, trattandosi di compenso omnicomprensivo, osservando anche che il ricorrente aveva fatto separata richiesta alla società fallita di corresponsione di queste voci e tale richiesta non sarebbe stata accolta dalla società debitrice. Ha, inoltre, osservato il Tribunale che il principio di non contestazione, non opera in sede di formazione dello stato passivo, essendo il curatore terzo, il quale non dispone dei diritti. E’ stata, infine, confermata l’esclusione del credito per attività prestate in epoca precedente il deposito della domanda di concordato, per assenza di prova delle prestazioni svolte, avendo l’opponente prodotto una comparsa di risposta priva di data di deposito.
Propone ricorso per cassazione il creditore opponente, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il fallimento, il quale deposita memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rigettata l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso ex art. 360bis cod. proc. civ. -sulla quale il controricorrente torna in memoria -attesa la genericità dell’eccezione formulata.
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2704 cod. civ., nonché dell’art. 48 d. lgs. n. 82/2005, nella parte in cui il decreto impugnato ha ritenuto che non sia stata fornita la prova di documenti aventi data certa opponibili al fallimento da cui risulti la natura degli incarichi forniti e la misura del compenso pattuito. Osserva parte ricorrente di avere prodotto atti processuali la cui data certa der iverebbe dall’avvenuto deposito in giudizio, il cui deposito costituirebbe -alla luce delle ricevute di
accettazione e consegna del deposito degli atti – prova della anteriorità delle prestazioni al fallimento.
Il primo motivo è inammissibile per assenza di specificità, non avendo il ricorrente né indicato, né allegato gli atti aventi data certa tali da assurgere a documentazione avente data certa anteriore al fallimento, idonei a d assolvere all’onere del la prova dell’esistenza delle prestazioni sottese ai crediti oggetto di domanda (crediti, peraltro anodinamente indicati).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. cod. civ., nella parte in cui il decreto impugnato ha escluso il credito per attività prestata durante la procedura di concordato in relazione agli accessori e alle anticipazioni per assenza di pattuizione sul punto. Osserva parte ricorrente che la statuizione del giudice del merito sarebbe frutto di « macroscopica » violazione di tali norme di legge, essendosi male inteso il significato del documento oggetto di valutazione, costituito dalla comunicazione del 28 settembre 2015 (all. 144 istanza di ammissione al passivo), che testualmente recherebbe la dicitura « ovviamente oltre accessori ed anticipazioni; il tutto al netto del fondo spese costituitomi per la predisposizione e presentazione della domanda di concordato ».
Il secondo motivo è inammissibile sotto due profili. In primo luogo il ricorrente, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a indicare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati (Cass., n. 2021/9461), indicazione assente nel motivo di ricorso.
In secondo luogo, il ricorrente non ha compiutamente censurato la ratio decidendi del decreto impugnato, che non si è limitato a dare una interpretazione del solo documento indicato dal ricorrente (all. n. 144 istanza di ammissione al passivo), ma ha dato rilievo anche al comportamento successivo delle parti, costituente ulteriore criterio ermeneutico (Cass., n. 6053/2004), secondo cui la società non avrebbe accolto la richiesta di separata corresponsione di accessori e anticipazioni, statuizione non oggetto di censura.
Co n il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nelle parti in cui il decreto impugnato non ha dato rilievo al principio di non contestazione nel giudizio di opposizione. Osserva parte ricorrente che il principio di non contestazione opera anche nel giudizio di opposizione allo stato passivo e deduce, al riguardo, che la pattuizione del compenso emergerebbe dalla medesima comunicazione del 28 settembre 2015 (all. n. 144 dom. ammissione), laddove la curatela non avrebbe mosso contestazioni avverso la richiesta di ammissione del credito di € 25.342,40 .
Il terzo motivo è inammissibile per difetto di specificità. Il principio di non contestazione opera , in favore dell’attore, per i fatti costitutivi specificamente e analiticamente allegati, riguardo i quali il convenuto non abbia preso posizione (Cass., n. 32820/2023). Ne consegue che la parte che invoca il relativo principio ha l’onere di indicare i fatti allegati sui quali la controparte non ha preso posizione che, quindi, devono ritenersi ammessi nonché, ove la parte abbia preso posizione solo in relazione ad alcuni di tali fatti, la parte ha l’onere di indicare il ragionamento infe renziale in base al quale l’ammissione di tali fatti per omessa contestazione sarebbe idonea a comportare un diverso esito del giudizio.
Nella specie, la decisione del Tribunale è stata incentrata su un accertamento in fatto, secondo cui « non è stata prodotta in atto documentazione avente data certa opponibile al fallimento da cui risultino la natura degli incarichi professionali conferiti al ricorrente dalla società fallita e la misura del compenso pattuito» . Si tratta di affermazione che resiste a ogni censura, perché implica una valutazione complessiva del materiale e delle risultanze istruttorie e da sola è sufficiente a sorreggere la decisione perché attiene alla valutazione delle prove. Né il ricorrente ha indicato in che termini il ragionamento inferenziale che deriverebbe dalla non contestazione dell’importo di € 25.342,40 sarebbe idoneo a rimettere in discussione l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito.
10. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 cod. civ. e 83 cod. proc. civ., nella parte in cui il giudice dell’opposizione ha escluso per carenza di prova lo svolgimento di attività giudiziali svolte in favore della società prima della ammissione alla procedura di concordato preventivo, deducendo che la certezza della data dovrebbe desumersi dalla certezza della data di autenticazione della procura apposta all’atto processuale.
11. Il quarto motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è valida la procura alle liti conferita al difensore sulla copia di un atto, anche se priva di data certa, quando sia depositata in giudizio, così da poterne ritenere, implicitamente, l’anteriorità rispetto a tale momento, come prescritto dall’art. 125, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass., n. 28106/2018). La validità della procura alle liti non può essere inficiata dalla assenza di data certa dell’atto al quale è conferita, ma – al contrario – non può costituire prova della anteriorità dell’atto al quale è apposto, il quale riceve data certa per effetto del deposito in giudizio.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 6.200,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/02/2025.