Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7538 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7538 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30219-2017 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME DOTTO per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO per procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il DECRETO N. 672/2017 DEL TRIBUNALE DI ROMA depositato il 14/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza c amerale del l’8 /2/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.1. NOME COGNOME, ammesso al passivo per il compenso maturato quale amministratore della società dal 23/7/2010 al 26/6/2013, ha impugnato lo stato passivo della RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria chiedendo: a) in via principale, di esservi ammesso anche per il credito dallo
stesso vantato nei confronti di quest’ultima per le prestazioni professionali rese quale ‘ responsabile dei lavori in fase di esecuzione ‘ (24/7/2010 -30/6/2013), per la somma di €. 138.354,37, e quale ‘ responsabile dei lavori in fase di progettazione ‘ (15/9/2010 -7/2/2013) , per la somma di €. 516.494,00, nonché per il compenso relativo all’incarico di ‘ responsabile dei lavori ‘ a far data dall’1/7/2013 fino al 14/2/2014, con il privilegio previsto da ll’art. 2751 bis n. 2 c.c.; – b) in via subordinata, di essere ammesso allo stato passivo anche per il credito vantato nei confronti della società in amministrazione straordinaria per le prestazioni professionali rese dall’opponente quale ‘ responsabile dei lavori in fase di esecuzione ‘ (24/7/2010 -30/6/2013), per la somma di €. 138.354,37, e quale ‘ responsabile dei lavori in fase di progettazione ‘ (15/9/2010 -7/2/2013), per la somma di €. 516.494,00, nonché per il compenso relativo all’incarico di ‘ responsabile dei lavori ‘ a far data dall’1/7/2013 fino al 14/2/2014, in privilegio ex art. 2751 bis n. 2 c.c., con la riserva prevista dall’art. 96 n. 3 l.fall. rispetto al giudizio n. 1955/2013 pendente innanzi al tribunale di Ancona.
1.2. La RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria ha resistito all’opposizione, deducendo, tra l’altro, l’inammissibilità delle domande proposte per il divieto di ius novorum .
1.3. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione relativamente alla domanda di ammissione per il compenso maturato quale responsabile dei lavori tra l’1/7/2013 ed il 14/2/2014 , respingendola per il resto.
1.4. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto, innanzitutto, l’inammissibilità dell’opposizione relativamente alla domanda di ammissione per il compenso maturato quale responsabile dei
lavori tra l’1/7/2013 ed il 14/2/2014 , trattandosi di domanda che ‘ non risulta formulata nella domanda di ammissione, bensì unicamente con il ricorso d’opposizione, in contrasto con il divieto di ius novorum ‘.
1.5. Il tribunale, inoltre, dopo aver preso atto che il credito ‘ da lavoro dipendente ‘ (pari alla somma complessiva di €. 561.655,00) ‘ non ammesso al passivo e non oggetto di opposizione ‘ doveva ritenersi ‘ rinunciato ‘, ha rigettato la domanda di ammissione con riserva sul rilievo che tale domanda è stata proposta con riferimento ad una domanda giudiziale pr oposta dall’opponente innanzi al tribunale di Ancona ma definita con sentenza resa dopo la dichiarazione di amministrazione straordinaria di RAGIONE_SOCIALE e che, in mancanza di una decisione giudiziale resa prima della dichiarazione di fallimento, la norma prevista dall’art. 96 n. 3 l.fall. non può, quindi, trovare applicazione.
1.6. Il tribunale, infine, ha ritenuto l’infondatezza della domanda di ammissione per il credito vantato dall’opponente per le prestazioni professionali rese quale ‘ responsabile dei lavori in fase di esecuzione ‘ (24/7/2010 -30/6/2013), per la somma di €. 138.354,37, e quale ‘ responsabile dei lavori in fase di progettazione ‘ (15/9/20107/2/2013), per la somma di €. 516.494,00, rilevando, per un verso, che il ricorrente non aveva allegato ‘ né il titolo né le ragioni di diritto in forza delle quali avanza tali pretese economiche ‘ e, per altro verso, che le prove richieste dallo stesso sono risultate inidonee a superare tale ‘ carenza di allegazione ‘, poiché ‘ le domande formulate ai testi ‘ non hanno consentito di accertare ‘ né la legittimità dell’incarico conferito, né la natura della prestazione, né tanto meno il compenso spettante ‘.
1.7. Il ricorrente, infatti, ha osservato il tribunale, aveva chiesto l’ammissione al passivo per il credito vantato per l’attività prestata quale responsabile dei lavori nominato dal presidente della società, ‘ ossia da se stesso ‘, senza , tuttavia, dimostrare: – né di avere ‘ il potere per tale determinazione ‘ ; -né di avere ‘ le capacità tecniche per svolgere l’attività spettante ad un architetto o ingegnere ‘ ; -né, infine, che per l’attività prestata sia stato determinato un ‘ compenso ulteriore ‘ rispetto a quello percepito in qualità di presidente del consiglio di amministrazione.
1.8. NOME COGNOME, con ricorso notificato in data 14/12/2017, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto.
1.9. La RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria ha resistito con controricorso e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 93, 98 e 99 l.fall. nonché de ll’a rt. 1395 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto l’infondatezza della domanda di ammissione per il credito vantato dall’opponente per le prestazioni professionali rese per la società fallita sul rilievo che lo stesso non aveva dimostrato di avere il diritto al compenso per l’incarico di responsabile dei lavori né di avere avuto il potere per la designazione di sé stesso in tale incarico senza, tuttavia, considerare: -che l’istante, quale presidente e legale rappresentante della società, aveva validamente ed efficacemente provveduto, con l’atto scritto di nomina del 30/7/2010, alla designazione di sé stesso quale responsabile dei lavori e, con delega di funzioni ex d.lgs. n. 81/2008 inviata in
data 24/7/2010, all’attribuzione di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo necessari per lo svolgimento dell’incarico ; -che l’opponente ha fornito in giudizio la prova documentale di aver svolto i compiti relativi a tale incarico, e, precisamente, tra il 24/7/2010 al 30/6/2013, quello di responsabile dei lavori in fase di esecuzione, e, tra il 15/9/2010 e il 5/11/2012, quello di responsabile dei lavori per la fase di progettazione.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 93, 98 e 99 l.fall. nonché degli artt. 89-98 del d.lgs. n. 81/2008, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto l’infondatezza della domanda di ammissione per il credito vantato dall’opponente per le prestazioni professionali rese quale responsabile dei lavori sul rilievo che lo stesso non aveva dimostrato di avere le capacità tecniche per svolgere l’attività spettante ad un architetto o ingegnere, senza, tuttavia, considerare che l’opponente, avendo il titolo di geometra ed un’esperienza trentennale in materia, rivestiva , come previsto dall’art. 98, lett. c) del d.lgs. n. 81/2008, le qualità professionali per adempiere a tale incarico.
2.3. Il primo motivo è inammissibile, con assorbimento del secondo.
2.4. Il ricorrente, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle risultanze asseritamente emergenti dalle stesse, hanno, tra l’altro, escluso che l’opponente avesse fornito la prova di aver eseguito per conto della società poi fallita l’incarico di responsabile dei lavori per il periodo dedotto.
2.5. La valutazione delle prove raccolte, però, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio (nel caso in esame neppure invocato come tale) consistito, come stabilito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’ esame di uno o più fatti storici controversi, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero imposto una ricostruzione della vicenda storica tale da integrare senz’altro la fattispecie costitutiva (o, per converso, estintiva, modificativa o impeditiva) invocata, nel giudizio di merito, dal ricorrente e, quindi, un esito certamente differente della controversia (Cass. SU n. 8053 del 2014).
2.6. L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al pari della mancata ammissione delle prove richieste dalle parti, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora gli accadimenti fattuali rilevanti in causa, come fatti costitutivi del diritto azionato ovvero come fatti estintivi, modificativi ovvero impeditivi dello stesso, siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. SU n. 8053 del 2014; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). La valutazione delle prove, al pari della scelta, tra le varie emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non
accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).
2.7. Il compito di questa Corte, del resto, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
2.8. Il tribunale, invero, dopo aver valutato le prove testimoniali raccolte in giudizio, ha ritenuto, prendendo così in esame i fatti (costitutivi) rilevanti ai fini della decisione, che non era emersa la dimostrazione che l’opponente avesse svolto le prestazioni asseritamente rese nell’interesse della società fallita.
2.9. Ed una volta escluso, come il tribunale ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 n. 5,
c.p.c.) per omesso esame di una o più circostanze decisive ovvero per aver motivato tale accertamento in modo apparente, perplesso contraddittorio, che l’istante ave sse effettivamente eseguito le prestazioni lavorative dedotte, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di norme di legge, la decisione che il tribunale ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto della domanda dallo stesso proposta in quanto volta, appunto, all’ammissione al passivo del credito al c ompenso conseguentemente maturato.
Il ricorso dev’essere, quindi, respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in €. 10.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima