Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27673 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27673 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1432/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Firenze n. 2380/2019 depositato il 19/11/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/9/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudice delegato al fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ammetteva al passivo della procedura il credito di € 35.249 vantato da RAGIONE_SOCIALE per fornitura di merci e servizi, ritenendo carente la documentazione probatoria prodotta a suffragio dell’ista nza.
Il Tribunale di Firenze, a seguito dell’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE, confermava -fra l’altro e per quanto qui di interesse -l’ordinanza con cui era stata respinta l’istanza di pronunzia di un ordine di esibizione di copia del libro I.V.A. e del libro giornale della fallita per gli anni 2015 e 2016, in ragione dell’inopponibilità di tali atti al curatore, e dell’elenco dei creditori allegato alla domanda di concordato, dato che il documento non aveva valore confessorio.
Riteneva che le prove documentali non fossero concludenti per dimostrare il credito di RAGIONE_SOCIALE, in quanto le fatture prodotte, contestate dal curatore, non valevano a dimostrare l’esistenza del credito e nemmeno a determinare l’inversione dell’onere del la prova, mentre i documenti di trasporto, oltre a non essere opponibili alla procedura in mancanza di data certa, erano sprovvisti di una firma, di un timbro o di un qualsiasi segno di riconoscimento riconducibili alla compagine fallita.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, pubblicato in data 19 novembre 2019, prospettando sette motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., sollecitando il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in quanto il tribunale, a fronte di una pluralità di fatti storici, ha compiuto una valutazione unicamente analitica, del tutto sommaria e superficiale, dei documenti prodotti in giudizio, omettendo una valutazione di tipo sintetico; la ricorrente, in particolare, censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa si limita a negare valore
indiziario agli elementi acquisiti in giudizio, senza accertare se gli stessi, ancorché singolarmente sforniti di valore indiziario, non fossero in grado di acquisire efficacia dimostrativa ove valutati nella loro sintesi.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2709, 2710 e 2720 cod. civ., in quanto il tribunale ha disconosciuto qualsiasi valenza probatoria alle fatture prodotte, negando ad esse persino valore indiziario, malgrado le prestazioni in esse indicate trovassero conferma nei documenti di trasporto allegati a ciascuna fattura, nell’estratto conto relativo al cliente, nelle diffide inviate a mezzo e.mail, mai contestate, nonché nella dichiarazione di intenti in data 14 dicembre 2015.
I giudici di merito, inoltre, hanno -in tesi -rigettato in maniera inesatta l’ordine di esibizione dei libri contabili, sull’erroneo presupposto che i libri I.V.A. fossero assoggettati alla disciplina di cui agli artt. 2709 e ss. cod. civ..
4.3 Il terzo motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., dell’omissione di ogni valutazione in ordine alle risultanze acquisibili dai libri I.V.A. e giornale della fallita, la cui esibizione non era stata disposta su lla scorta di un’equiparazione del tutto erronea.
4.4. Il settimo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 cod. civ., con riferimento agli artt. 2697 cod. civ. e 93 l. fall., in quanto il tribunale ha erroneamente ritenuto inefficace il contenuto dell’elenco dei creditori allegato alla domanda di concordato preventivo, ritenendo inopponibile lo stesso al curatore, malgrado lo stesso avesse valore di ricognizione di debito e comportasse un’inversione dell’onere del la prova rispetto al suo contenuto.
Il tribunale ha totalmente trascurato o erroneamente applicato la disciplina di cui all’art. 1988 cod. civ., invertendo l’onere probatorio di cui la curatela era gravata e respingendo l’ordine di esibizione formulato dall ‘ opponente.
I motivi, da valutare congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, risultano tutti inammissibili, anche ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1), cod. proc. civ..
5.1 Il tribunale ha ritenuto che le prove documentali prodotte non fossero idonee a dimostrare, in via diretta e non presuntiva, l’esistenza del credito vantato, in ragione della loro natura e contenuto.
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza con cui si lamenti che questi, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (v. Cass., Sez. U., 20867/2020).
La doglianza concernente la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile, invece, solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo
prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U., 20867/2020).
Non è dunque possibile, come fanno il primo e il secondo mezzo, proporre una censura per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. denunciando un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito.
5.2 Spetta al giudice di merito -nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova -la valutazione delle presunzioni semplici (v. Cass. 22366/2021, Cass. 8023/2009, Cass. 10847/2007, Cass. 1404/2001).
Risultano inammissibili in questa sede le censure sollevate nei medesimi mezzi con cui si lamenta il mancato ricorso alla prova presuntiva.
5.3 Per consolidata giurisprudenza di questa Corte al curatore fallimentare, che agisca non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito ma nella sua funzione di gestione del patrimonio di costui, non è opponibile l’efficacia probatoria tra imprenditori, di cui agli artt. 2709 e 2710 cod. civ., delle scritture contabili regolarmente tenute, senza che tale inopponibilità, in sede di accertamento del passivo, resti preclusa ove non eccepita, trattandosi di eccezione in senso lato – e, dunque, rilevabile d’ufficio in caso di inerzia del curatore – poiché non si riconnette ad una azione necessaria dell’organo, ma al regime dell’accertamento del passivo in sé, nel cui ambito il curatore, quale rappresentante della massa dei creditori, si pone in posizione di terzietà rispetto all’imprenditore fallito (si veda in questo senso, per tutte, Cass. 27902/2020).
5.4 Infine, non è sindacabile in questa sede (tanto meno facendo riferimento al canone di critica previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che nel suo attuale testo riguarda un vizio specifico costituito dall’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico e non ricomprendente questioni o argomentazioni, dovendosi di conseguenza ritenere inammissibili le censure irritualmente formulate che estendano il paradigma normativo a quest’ ultimo profilo; cfr. Cass. 21152/2014, Cass. 14802/2017) il rigetto dell’istanza di ordine di esibizione tanto del libro I.V.A., sebbene alle relative annotazioni non si applichi la disciplina dettata, per i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, dagli artt. 2709 e 2710 cod. civ. (Cass. 32935/2018), quanto dell’elenco dei creditori allegato alla domanda di concordato.
Invero, l’ordine di esibizione, subordinato alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118 e 119 cod. proc. civ. e 94 disp. att. cod. proc. civ., costituisce uno strumento istruttorio residuale, che può essere utilizzato soltanto in caso di impossibilità di acquisire la prova dei fatti con altri mezzi e non per supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’istante e che è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, per violazione di norma di diritto (Cass. 31251/2021).
Il quarto mezzo assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione dell’art. 112 ( rectius 101, comma 2) cod. proc. civ., perché il tribunale ha rilevato ex officio la mancanza di data certa delle bolle di consegna senza disporre l’integrazione del contraddittorio sul punto.
Il motivo è inammissibile.
I giudici di merito hanno rilevato che i documenti di trasporto erano non solo privi di data certa, ma anche sprovvisti di firma (o almeno di un timbro o altro segno di riconoscimento) riconducibile alla RAGIONE_SOCIALE.
A fronte delle plurime ragioni offerte, distinte e autonome fra loro, la ricorrente non ha sollevato alcuna censura rispetto all’ultim a di esse , rendendo così inammissibile l’intera impugnazione proposta per difetto di interesse, in quanto, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso l’impugnazione potrebbe produrre l’annullamento della decisione gravata (si vedano in questo senso, ex multis , Cass. 9752/2017, Cass. 11222/2017, Cass. 18641/2017).
Il quinto motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., del fatto che il tribunale abbia omesso di valutare una prova decisiva per il giudizio, costituita dalla dichiarazione di intenti rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE.
9. Il motivo è inammissibile.
Il tribunale, infatti, ha esaminato il documento in questione (a pag. 5, ultimo capoverso), come riportato dalla stessa ricorrente, ritenendo però che lo stesso non fosse idoneo a dimostrare l’esistenza del credito in contestazione.
Rispetto a questo documento la doglianza, quindi, lamenta non tanto un omesso esame, ma un esame non conforme alla lettura che l’odierna ricorrente vorrebbe dare delle emergenze processuali; interpretazione, questa, che tuttavia non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che consente di lamentare l’omissione dell’ esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (nel caso di specie per come emergente dal documento in discorso) e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (cfr. Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).
10. Il sesto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1510 cod. civ., in quanto il tribunale ha erroneamente ritenuto che la rimessione della merce al vettore non equivalesse alla consegna, quando invece nella vendita da piazza a piazza il venditore si libera dell’obbligo di conferimento della cosa venduta con la consegna della merce al vettore.
11. Il motivo è inammissibile.
Il tribunale ha ritenuto, da un lato, che non vi fosse prova che il contratto di compravendita, negozio di carattere consensuale, fosse stato concluso, dall’altro che la rimessione al vettore non equivalesse a consegna, poiché non attribuiva in modo immediato e irrevocabile la disponibilità della cosa al compratore.
Ora, il fatto che la seconda affermazione sia erronea e da correggere ex art. 384 cod. civ. (giacché, ai sensi dell’art. 1510, comma 2, cod. civ., la vendita di cosa da trasportare si presume “vendita con spedizione”, nella quale il venditore si libera dall’obbligo di consegna rimettendo la cosa al vettore, cosicché, per configurare una “vendita con consegna all’arrivo”, occorrono elementi, precisi e univoci, atti a dimostrare il patto di deroga; Cass. 16961/2014) non esclude il fatto che la prima ratio decidendi (correttamente evidenziata dal tribunale, in quanto nelle vendite da piazza a piazza la semplice consegna della merce dal preteso venditore al vettore, in difetto di qualsiasi idonea prova dell’esistenza di una preventiva proposta del preteso acquirente, non comporta conclusione del contratto ai sensi dell’art. 1327, comma 1, cod. civ., mancando la configurazione dell’elemento essenziale di una valida richiesta del proponente affinché l’esecuzione possa tener luogo dell’accettazione espressa, ai fini della conclusione dell’accordo delle parti, elemento imposto dalla norma generale di cui all’art. 1325, n. 1, cod. civ.; Cass. 16182/2013) non sia stata in alcun modo contestata, con la conseguenza di rendere inammissibile per difetto di interesse, come
ricordato in precedenza, la contestazione della seconda argomentazione illustrata.
In conclusione, per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 5.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 24 settembre 2025.
Il Presidente