Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32860 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32860 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 15835-2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Palermo, INDIRIZZO presso lo studio del difensore.
-ricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE
–
intimato – avverso il decreto del Tribunale di Palermo, depositato in data 8.4.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Palermo, decidendo in sede di giudizio di rinvio disposto dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 20525/2018 e nella sede di giudizio di opposizione allo stato passivo ex artt. 98 e 99 l. fall., ha rigettato l’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE.p.a. avverso il provvedimento del g.d., con il quale la società opponente era stata ammessa al passivo nella misura di euro 80.998,58, in via privilegiata, e nella misura di euro 18.089,17, in linea chirografaria, ed erano stati, nello stesso tempo, degradati in chirografo gli importi relativi agli interessi dell’imposta Iva e non era stato ammesso al passivo , infine, l’ulteriore credito di euro 368.287 per sanzione pecuniaria.
2. Il Tribunale, per quanto qui ancora di interesse, ha osservato e rilevato che: (i) non è necessaria la previa notifica della cartella di pagamento ai fini dell’ammissione al passivo del concessionario, ben potendo l’agente allegare , a sostegno dell ‘ istanza di insinuazione, gli estratti di ruolo, nonché ulteriori documenti probatori del credito; (ii) la documentazione depositata dalla società istante non era comunque idonea a documentare il credito insinuato, avendo la detta società depositato un mero ‘pr ospetto ripartizionale delle prelazioni’ (contenente le indicazioni relative alle cartelle di pagamento, ai codici dei tributi, alle descrizioni degli stessi, all’anno di riferimento) e le relate di notificazione al curatore di tre cartelle di pagamento; (iii) la società istante avrebbe dovuto depositare, per dimostrare il suo diritto all’ammissione al passivo, gli estratti di ruolo che, a mente delle previsioni di cui agli artt. 10, 11 e 12 d.P.R. n. 602/1973, costituiscono l’elenco dei debitori e delle so mme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario e nei quali sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi; (iv) né poteva ritenersi il credito diversamente provato dalle relate di notifica allegate alla domanda di insinuazione, in difetto, anche in tal caso, della produzione delle cartelle di pagamento.
Il decreto, pubblicato l’8.04.2019 , è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE, intimato, non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2718 cod. civ., nonché degli artt. 10, 11 e 12 del d.P.R. n. 602/73, sul rilievo che il Tribunale avrebbe confuso, nel suo percorso di apprezzamento della prova, il ‘ruolo esattoriale’ con l”estratto di ruolo’ che era stato , invece, regolarmente depositato, così giungendo ad un immotivato provvedimento di rigetto della richiesta di ammissione del credito insinuato al passivo.
1.1 Sostiene, cioè, la società ricorrente che il Tribunale avrebbe equivocato nella valutazione della prova documentale, in quanto non avrebbe compreso che il ‘prospetto riepilogativo’ era in realtà l’estratto di ruolo allegato alle domande di insinuazione al passivo.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 87 e 88 del d.P.R. n. 602/1973.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., per carenza di giurisdizione del g.d. in relazione ai crediti tributari, nonché violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 546/91, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 3, c.p.c.
3.1 I prim tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e devono essere dichiarati inammissibili.
3.2 Sul punto, giova ricordare in termini generali che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le
espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Orbene la ricorrente, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione delle norme di legge ricordate in rubrica, pretenderebbe un nuovo apprezzamento della prova documentale di cui lamenta in questa sede una erronea lettura contenuti stica da parte dei giudici dell’opposizione. Si tratta di apprezzamenti di merito che rientrano nel giudizio di scrutinio della prova rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici di merito e che, in quanto motivati, non sono sindacabili in sede di legittimità.
Senza contare che le doglianze sopra menzionate sono state dedotte in difetto di autosufficienza e con genericità di formulazione, non avendo la ricorrente descritto puntualmente – come era suo onere – il contenuto dei documenti di cui si assume l’erronea lettura da parte dei primi giudici e non avendo peraltro neanche localizzato la loro produzione in giudizio, mediante l’indicazione degli atti processuali che li contenevano.
Da ultimo, generica deve essere considerata anche l’ulteriore censura relativa al denunciato difetto di ‘giurisdizione’ del giudice fallimentare in favore delle commissioni tributarie, non avendo spiegato la ricorrente se i crediti oggetto di insinuazione fossero stati già oggetto di contestazione innanzi alle predette commissioni ovvero non fossero ancora spirati i termini per l’impugnazione delle relative pretese erariali al momento della dichiarazione di fallimento, ipotesi quest’ultime in relazione alle quali è possibile invocare l’ammissione con riserva dei crediti tributari.
Il quarto mezzo denuncia, infine, violazione degli artt. 91 e 92, 2 comma, c.p.c., e dell’art. 385 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, codice di rito.
La doglianza è anch’essa inammissibile.
Si duole, cioè, la ricorrente della liquidazione complessiva delle spese del giudizio di rinvio dopo la pronuncia di cassazione del primo decreto da parte di questa Corte.
Sul punto, va osservato che il Tribunale, nel provvedimento qui impugnato, ha svolto u n giudizio di soccombenza ancorato all’esito complessivo della lite che risultava essere, invero, favorevole alla curatela fallimentare ed in base al quale non ha liquidato, peraltro, in favore di quest’ultima le spese di lite perché la curatela era rimasta contumace sia nel giudizio di legittimità che in quello di rinvio.
Ciò posto, le censure formulate risultano pertanto fuori fuoco, non confrontandosi con la sopra ricordata ratio decidendi , perché le stesse pretenderebbero una liquidazione ‘ parcellizzata ‘ della fase del giudizio di legittimità (ove la società oggi ricorrente era stata vincitrice).
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa del fallimento intimato.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 28.11.2024