Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 661 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 661 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16386/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME e COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEe, per essa, anche quale mandataria della Banca di Credito Cooperativo ‘G. RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza del la Corte d’ Appello di Caltanissetta n.
518/2021, pubblicata in data 16 dicembre 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 novembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, fideiussori di RAGIONE_SOCIALE, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Caltanissetta, su istanza della Banca di Credito Cooperativo ‘G. Toniolo’ , rappresentata da BCC Gestione Crediti s.p.a., con cui si chiedeva il pagamento rispettivamente dell’importo di euro 463.064,86 e di euro 61.974,83, oltre interessi, eccependo il difetto di rappresentanza sostanziale e processuale dell’opposta, l’estinzione e, comunque, l’invalidità delle fideiussioni e la carenza di prova del credito.
Il Giudice adito rigettava l’opposizione .
La Corte d’appello di Caltanissetta, investita dell’impugnazione dei fideiussori, ha confermato la sentenza impugnata.
Per quel che ancora è di rilievo in questa sede, ha osservato che:
la procura datata 20 maggio 2005, in forza della quale BCC Gestione Crediti aveva dichiarato di agire in qualità di mandataria con rappresentanza di Banca di Credito Cooperativo ‘G. T o niolo’, conferiva piena legittimazione alla prima di agire nel settore del recupero dei crediti, trattandosi di procura speciale ‘ ad negotia ‘, rilasciata dal Presidente e legale rappresentante della Banca di Credito Cooperativo e da questi sottoscritta con firma autenticata dal Notaio, sicché risultava irrilevante che essa non fosse stata inserita in un atto pubblico, come pure che, al momento della proposizione del ricorso monitorio, fosse mutato l’organo investito della rappresentanza processuale della persona giuridica;
la procura speciale era valida perché conferita dal Presidente del Consiglio di amministrazione, ossia da colui che, a norma dell’art. 40 dello Statuto della Banca ‘G. Toniolo’, rivestiva la carica di legale rappresentante pro tempore della Banca ‘G. Toniolo’, a nulla rilevando che non fosse stata portata a conoscenza dei terzi mediante l’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2206, primo comma, cod. civ., ed era stata depositata fin dalla fase monitoria, così rendendone possibile la conoscenza da parte degli opponenti;
parimenti valida era la procura rilasciata al difensore della persona giuridica, poiché nella stessa e nell’atto processuale al quale essa accedeva risultava indicato il nominativo di colui che aveva rilasciato la procura, così consentendo l’accertamento della sua legittimazione;
la Banca, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva fornito prova del credito azionato, depositando copiosa documentazione (contratto di conto corrente n. 130197 intrattenuto dalla debitrice principale, con richieste di fido, lettere di fideiussione, documento di sintesi relativo al contratto di fideiussione integrativa, certificazione ex art. 50 t.u.b. , estratti conto a decorrere dall’11 ottobre 2000 e sino al 15 settembre 2010, contratto di anticipo su fatture n. 130.197 intrattenuto dalla RAGIONE_SOCIALE, rapporto di anticipazione su fatture operante sul conto corrente), e dimostrato di avere revocato le linee di credito;
il c.t.u. aveva sì affermato che mancava la lista dei movimenti del quarto trimestre 2002 del conto corrente, ma l’assenza di tale documentazione non era decisiva, perché colmata dal deposito del documento che conteneva il riassunto scalare al 31 dicembre 2002, riportante un saldo liquido iniziale al 30 settembre 2002 di euro 92.345,48 ed un saldo finale di euro 91.301,43 sempre a debito del
correntista, cosicché non era possibile aderire alla richiesta di considerare pari a ‘zero’ il saldo d el conto corrente alla data del 1° dicembre 2003 (primo trimestre successivo);
il contratto di fideiussione prevedeva all’art. 7 la clausola di deroga al disposto di cui all’art. 1957 cod. civ., specificamente approvata dai fideiussori, ed era infondata anche l’eccezione di difetto di prova da parte del creditore di avere iniziato e proseguito l’azione verso il debitore principale entro il termine di sei mesi dalla revoca dell’affidamento; difatti, l’affidamento era stato revocato dalla banca in data 6 settembre 2010 (come peraltro riconosciuto nello stesso atto di appello) e la domanda giudiziale era stata notificata ai fideiussori in data 22 maggio 2013, dopo che il pagamento era stato sollecitato con lettere ricevute in data 14 settembre 2010 dal Riggi ed in data 8 settembre 2010 da COGNOME, per cui non poteva ritenersi provata né la prescrizione, né la decadenza;
il contratto di conto corrente, all’art. 4, prevedeva per il correntista la capitalizzazione degli interessi a debito ed a credito ed era esente dalla commissione di massimo scoperto (CMS); la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo al contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente sottoscritto dal debitore principale non era nulla, sia perché approvata per iscritto, sia perché prevedeva la pari periodicità del computo degli interessi attivi e passivi per il correntista;
la c.t.u. aveva escluso l’applicazione di interessi usurari a carico del correntista sia al momento della pattuizione che nel corso del rapporto di conto corrente e le censure svolte al riguardo dagli appellanti erano generiche e neppure fondate su una consulenza di parte.
Avverso la suddetta sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, con cinque motivi.
BCC Gestione RAGIONE_SOCIALE e, per essa Banca di Credito Cooperativo RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale, in prossimità della quale i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunziando la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 75, terzo comma, cod. proc. civ., 77, 100, 63, terzo comma, n. 2, cod. proc. civ., 164 cod. proc. civ. e 1387 cod. civ., i ricorrenti censurano la statuizione della sentenza impugnata che rigetta l’eccezione di difetto di rappresentanza processuale e sostanziale.
A supporto della doglianza evidenziano che la sentenza: a) ‹‹ nulla dice in ordine alla carenza di autorizzazione del conferimento dei poteri sostanziali a mezzo delibera del C.d.A., che è di fatto inesistente e travolge la validità delle procure citate ›› ; b) tralascia di prendere in considerazione la carenza di produzione della convenzione del 19 gennaio 2004, solo richiamata ma non prodotta dalla controparte; c) si contraddice quando afferma che si tratta di valida ‘procura speciale ad negotia , che riguarda singoli affari, mentre la procura del 20 maggio 2005 era stata rilasciata sulla base di una asserita convenzione, attivata per un recupero incoato il 7 maggio 2013, quando il Presidente della BCC non era più in carica; d) trascura di motivare in merito ai poteri statutari del Presidente, posto che, in base allo Statuto, tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione della società spettavano al Consiglio di amministrazione, tranne quelli riservati per legge all’assemblea dei soci. Alla stregua di tali rilievi, rimarcano che la BCC Gestione Crediti non era legittimata ad agire in rappresentanza della BCC ‘G. Toniolo’.
1.1. La censura è inammissibile.
1.2. Essa si fonda sul contenuto non solo della procura del 20 maggio 2005, ma anche di altri documenti che vengono espressamente richiamati nell’illustrazione del motivo (quali la delibera del Consiglio di amministrazione, la convenzione del 19 gennaio 2004, lo Statuto della BCC RAGIONE_SOCIALE), ma di cui si omette di fornire la riproduzione, diretta o almeno indiretta, sia di localizzarli in questo giudizio di legittimità, con indicazione che avrebbe dovuto essere contenuta nel ricorso.
Tutte le indicazioni di contenuto – forma appena enunciate sono da ritenere necessarie alla stregua del requisito prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., come esaustivamente chiarito dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 34469 del 2019, con cui si è spiegato che incorre nella declaratoria d’inammissibilità il ricorrente che non deduca le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso e che non ponga questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, non essendo invero sufficienti affermazioni – come nel caso di specie – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.
I l principio previsto dall’ art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. è, d’altro canto, compatibile con quello di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un
riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass., sez. 1 n. 12481 del 19/04/2022).
Con il secondo motivo, censurando la sentenza gravata per ‹‹ violazione o falsa applicazione di norma di diritto, in relazione agli artt. 2697 cod. civ., 50 d.lgs. n. 385/1993, 1941 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.›› , i ricorrenti contestano ai giudici di merito di avere posto alla base della prova del credito non gli estratti conto, bensì il cd. riassunto scalare e di avere effettuato un conteggio ‘approssimativo’ e non completo anche in ragione della mancanza della lista dei movimenti del quarto trimestre 2002.
2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto volto a riproporre un giudizio sul fatto, dal momento che la sentenza impugnata ha ritenuto di aderire alle risultanze dei calcoli operati dal consulente tecnico d’ufficio, il quale si è sì fondato su i c.d. riassunti scalari, ma ha rielaborato per intero il dovuto. Il metodo utilizzato non incorre nella violazione delle norme invocate dai ricorrenti e, in ogni caso, appartiene all’ambito del giudizio sul fatto ed all’apprezzamento delle risultanze processuali, interamente affidato al giudice del merito.
2.2. Come è stato già rilevato (Cass., sez. 6 -1, 27/10/2020, n. 23476, non massimata), non può porsi in discussione che sia consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto emerge dai documenti prodotti in giudizio, ancorché gli stessi non consistano in veri e propri estratti conto (si vedano, in tema: Cass., sez. 1, 02/05/2019, n. 11543; Cass., sez. 1, 01/06/2018, n. 14074; Cass., sez. 1, 15/03/2016, n. 5091). Infatti, l’estratto conto non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto; esso certamente consente di avere un appropriato riscontro
dell’identità e consistenza delle singole operazioni poste in atto: ma, in assenza di alcun indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. E rientra nella valutazione del giudice del merito, nel caso di specie positivamente svolta condividendo le risultanze del c.t.u., l’idoneità dei predetti estratti scalari a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (in tal senso si è espressa Cass., sez. 6 -1, 30/06/2020, n. 13186, non massimata, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito). Si è spiegato che le movimentazioni possono ricavarsi anche dai c.d. riassunti scalari, attraverso la ricostruzione operata dal consulente tecnico d’ufficio, secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito, ciò bastando ai fini probatori (Cass., sez. 1, 25/05/2022, n. 16837, non massimata sul punto).
Ed invero, secondo l’indirizzo ormai consolidato, nei rapporti bancari di conto corrente, nel caso di domanda proposta dal correntista, l’accertamento del dare-avere non deve necessariamente essere effettuato mediante la documentazione delle singole rimesse suscettibili di restituzione, operata esclusivamente mediante la produzione di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo tale accertamento essere effettuato anche con l’ausilio di una consulenza d’ufficio, da valutarsi con un accertamento in fatto, insindacabile innanzi al giudice di legittimità (Cass., sez. 1, 18/04/2023, n. 10293).
Secondo il medesimo indirizzo, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto, è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del
periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto (Cass., sez. 1, 02/05/2019, n. 11543; Cass., sez. 1, 04/04/2019, n. 9526). La prova dei movimenti del conto può, pertanto, desumersi aliunde (Cass., sez. 6 -1, 21/12/2020, n. 29190), avvalendosi eventualmente dell’opera di un consulente d’ufficio che ridetermini il saldo del conto in base a quanto emergente dai documenti prodotti in giudizio, che devono fornire indicazioni certe e complete nei termini sopra illustrati (Cass., sez. 1, 19/07/2021, n. 20621).
2.3. Nella specie, risulta appurato, in base all’accertamento di fatto del giudice del merito, qui non sindacabile, che i riassunti scalari prodotti erano idonei a consentire una ricostruzione delle movimentazioni del conto e del tutto irrilevante si appalesa la circostanza che mancasse, agli atti del giudizio, la lista dei movimenti relativi al quarto trimestre 2002, avendo, sul punto, la Corte territoriale ben evidenziato che tale ‘vuoto temporale’ è stato efficacemente colmato facendo riferimento al riassunto scalare al 31 dicembre 2002, che riportava un saldo iniziale al 30 settembre di euro 92.345,48 ed un saldo finale di euro 91.301,43, sempre a debito del correntista.
Con il terzo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1957, 1341, secondo comma, cod. civ., 101 T.F.U.E., art. 2, comma 2, lettera a) legge n. 287/90.
La censura investe la sentenza qui gravata là dove afferma la piena validità ed efficacia della clausola di cui all’art. 7 del contratto, che prevedeva la deroga al disposto dell’art. 1957 cod. civ., senza rilevarne la nullità per contrasto con la normativa antitrust , sebbene essa riproducesse esattamente il contenuto dell’art. 6 dello schema ABI, sanzionato dal provvedimento n. 5 5/2005 della Banca d’Italia.
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. È ben vero che già con le pronunce delle Sezioni Unite del
12/12/2014, nn. 26242 e 26243 e del 22/03/2017, n. 7294 è stato affermato, tra l’altro, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista -per così dire- quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati.
3.3. Nel caso in esame, la doglianza svolta si rivela inammissibile per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., per non avere gli odierni ricorrenti neppure dimostrato di avere allegato, già in primo grado, i fatti costitutivi funzionali a fondare la legittimità di una successiva rilevazione officiosa della nullità pur in assenza di una tempestiva domanda formulata in tal senso, sebbene tanto il contratto in contestazione, quanto la modulistica applicata e la deli bera della Banca d’Italia suindicata fossero note e a disposizione delle parti.
La quaestio nullitatis posta dagli odierni ricorrenti, pur astrattamente proponibile al di là delle preclusioni ormai maturatesi, obbligava sì il giudice a rilevarne l’eventuale fondatezza (con conseguente applicazione del disposto dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ.), ma sempre che, ed a condizione che, i fatti costitutivi
del vizio negoziale fossero stati già tempestivamente allegati, onde legittimare una decisione fondata su quegli stessi fatti e soltanto su quelli, non essendo più consentito al giudice di appello o al giudice di legittimità alcun accertamento fattuale se non in violazione del principio del contraddittorio (tra le tante, Cass., sez. 3, 23/02/2024, n. 4867; Cass., sez. 1, 19/10/2022, n. 30885; Cass., sez. 3, 17/07/2023, n. 20718).
4. Con il quarto motivo, prospettando la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 1957 cod. civ., 1341, secondo comma, cod. proc. civ. e 34, comma 4, d.lgs. n. 206/2005 ed art. 1176 cod. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, i ricorrenti addebitano alla Corte d’appello di non avere fatto applicazione della disposizione del codice del consumo invocata, pur a fronte di una clausola contrattuale di deroga dell’art. 1957 cod. civ., che non era stata oggetto di trattativa individuale, e sebbene i garanti fossero persone fisiche. Soggiungono che la medesima clausola sarebbe nulla siccome non inserita in un atto pubblico, né in un contratto autonomo di garanzia, con la conseguenza che la Banca avrebbe dovuto preventivamente agire nei confronti del debitore principale prima di escutere il fideiussore, e che il giudice d’appello avrebbe , erroneamente, disatteso l’eccezione di prescrizione e decadenza sollevate.
La censura non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità nella parte in cui si assume una pretesa violazione del codice del consumo, in quanto nel ricorso manca l’allegazione dell’avvenuta e tempestiva deduzione della relativa questione dinanzi al giudice di merito e l’indicazione degli atti specifici in cui quelle sono state a quello sottoposte, onde dare modo a questa Corte -a cui sono proposte questioni giuridiche che implicano accertamenti di fatto -di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare
nel merito la questione stessa; in mancanza di ottemperanza a un tale onere, è inevitabile una sanzione di inammissibilità per novità della censura (tra le tante, Cass., sez. 6 -3, 10/08/2017, n. 19988).
Per il resto, la censura è infondata in quanto non si confronta con le argomentazioni che sorreggono la decisione impugnata, che ha, nella sostanza, disatteso tutti gli altri profili di doglianza, puntualizzando, e così pronunciandosi, che la clausola contrattuale di cui all’art. 7 era stata specificamente approvata dai fideiussori e che la Banca creditrice, dopo avere revocato gli affidamenti, aveva sollecitato, con lettere raccomandate pervenute agli odierni ricorrenti, il pagamento del dovuto, così escludendo la fondatezza delle eccezioni di prescrizione e decadenza.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti impugnano la decisione gravata sia nella parte in cui riconosce la validità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito e a credito, per violazione degli artt. 1283 e 1815 cod. civ. e dell’art. 120 t.u.b., sia laddove esclude l’usurarietà degli interessi, assumendo che agli atti sussiste la prova dell’usura nominale e, in subordine, dell’usura in concreto, emergente anche dalle note redatte da un consulente di parte.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Costituisce affermazione pacifica che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 76 Cost., l’art. 25, comma terzo, del d.lgs. n. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche stipulate prima della nota delibera del Cicr del 9 febbraio 2000 sono nulle perché stipulate in violazione dell’art. 1283 cod. civ. e basate su un uso negoziale anziché su un uso normativo (Cass., sez. U, 04/11/2004, n. 21095 e successive conformi). In questo caso il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola per contrasto con il divieto di anatocismo,
deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione (v. Cass., n. 17150/16; Cass., n. 24153/17; Cass., n. 24156/17).
Ciò non toglie però che per il periodo successivo alla delibera deve trovare applicazione la regola di eguale periodicità stabilita dalla ripetuta delibera in attuazione dell’art. 120 del t.u.b., alla condizione che vi sia stato l’adeguamento dei contratti anteriormente stipulati alle previsioni della delibera stessa entro il 30 giugno 2000, senza peggioramento delle pattuizioni precedentemente applicate (Cass., sez. 1, 26/02/2024, n. 5064).
Nella specie, il contratto di conto corrente è stato concluso in data 11 ottobre 2000 e la C orte d’appello ha affermato che la clausola, approvata per iscritto, ‹‹ prevede nella genesi del contratto, come stabilito dall’art. 120 T.U.B. (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385) e dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000, la pari periodicità del computo degli interessi attivi e passivi per il correntista ›› , e tanto è sufficiente per ritenere la legittimità della capitalizzazione trimestrale, che è contraddistinta da eguale periodicità a credito e a debito.
La critica dei ricorrenti che, per quanto è dato comprendere dall’illustrazione del motivo, è incentrata sul rilievo che le nuove condizioni applicate dalla banca si sarebbero dovute considerare peggiorative, sul punto, si risolve in una doglianza del tutto generica.
Con riguardo, poi, alla presunta usurarietà degli interessi, la doglianza svolta non si correla alla ratio della decisione che, fondandosi sulle risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio, ha negato in modo assoluto l’applicazione di interessi superiori al cd. tasso soglia a carico del correntista ‹‹ sia al momento della pattuizione che nel corso dello svolgersi del rapporto di conto corrente ›› , rilevando, peraltro, che le censure sviluppate dagli appellanti risultavano estremamente generiche, in difetto di elementi di
riscontro in grado di confutare le argomentazioni svolte dal c.t.u., il quale, come peraltro evidenziano gli stessi odierni ricorrenti a pag. 18 del ricorso, ha tenuto conto , ai fini dell’accertamento affidatogli, anche delle note redatte dal consulente di parte, alle quali ha replicato, ma dalle quali si è, tuttavia, discostato, addivenendo ad escludere l’usura.
L’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi impongono il rigetto del ricorso.
Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di cassazione in difetto di attività difensiva da parte della BCC Gestione Crediti s.p.a.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 dl 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione