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Azione di risarcimento nei confronti degli amministratori

1.000.000,00 (poi ridotto, in sede di precisazione delle conclusioni, ad € 47. 2484, comma 3, c. c. , ossia all’iscrizione della dichiarazione di accertamento di tale causa di scioglimento nel registro delle imprese, derivandone, in caso di ritardo od omissione, una loro responsabilità verso la società, i soci ed i creditori per i danni che ne siano derivati.

La XXX s.p.a. proponeva azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci – succedutisi nei relativi incarichi a partire dall’esercizio 2002 – in relazione all’esercizio delle funzioni di amministrazione e controllo, nonché nei confronti della società di revisione YYY s.p.a.

Parte attrice riteneva le parti convenute responsabili della perdita integrale del capitale sociale sin dalla chiusura dell’esercizio 2001 e chiedeva — in via principale — la loro condanna, in via solidale, al risarcimento del danno per l’importo complessivo di € 75.064.000,00 (poi ridotto, in sede di precisazione delle conclusioni, ad € 47.048.000,00), corrispondente all’incremento del deficit patrimoniale della società a decorrere dall’ 1° gennaio 2002.

In via subordinata, parte attrice aveva chiesto la condanna degli amministratori e dei sindaci pro tempore alla rifusione del danno subito in relazione all’incremento del deficit patrimoniale patito dalla società, rapportato ai rispettivi periodi di carica; e, nei confronti della società di revisione LLL, la rifusione dei danni derivanti dall’aggravio del dissesto verificatosi negli anni 2001-2003: anni soggetti alla revisione di bilancio da parte di quest’ultima.

I convenuti si erano costituiti in giudizio formulando in via subordinata domanda di accertamento delle rispettive quote di responsabilità.

Il contraddittorio veniva esteso anche alle rispettive società di assicurazione e ad ulteriori terzi chiamati in garanzia.

Con sentenza n. 786/2017, il Tribunale di Milano, sezione specializzata imprese, espletata CTU, accertava la responsabilità del convenuto EEE in relazione alle vicende accertate nel giudizio e condannava lo stesso al pagamento in favore dell’attrice dell’importo complessivo di € 1.000.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Rigettava per il resto le domande formulate nei confronti dei convenuti rimasti in causa, all’esito del trasferimento in sede penale dell’azione civile originariamente proposta nei confronti dei convenuti AAA, FFF, BBB, ZZZ, CCC.

I sigg. GGG e III proponevano appello.

Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano rigettava i primi due motivi di appello di GGG e accoglieva parzialmente il terzo riliquidando le spese di primo grado; accoglieva l’appello di III e condannava MMM al pagamento di un indennizzo di € 37.440 per spese di CTP detraendosi da tale importi la somma di € 70.000, ove corrisposta in ottemperanza della sentenza di primo grado oltre le spese legali del giudizio di secondo grado.

La Corte di Appello, pur accogliendo la censura relativa all’arco temporale nel quale il GGG era stato amministratore riteneva la correzione irrilevante rispetto a quanto accertato dal CTU circa l’assenza della diligenza professionale richiesta nell’accertare la situazione di perdita del capitale, quanto meno entro il mese successivo alla sua nomina.

Riteneva non fondata la censura sulla CTU ribadendo la sufficienza dei documenti, posti a suo fondamento.

Riteneva irrilevante l’assenza di continuità dei periodi nei quali il GGG era stato amministratore, che in ogni caso proprio per la precedente gestione della società non poteva considerarsi nuovo e non consapevole della situazione economico contabile della società.

Valutava anche l’eccezione relativa all’assenza di deleghe gestorie, precisando che in ogni caso l’amministratore risponde ai sensi dell’art. 2392, comma 2, c.c.

La sentenza esaminava anche il collegamento di causalità tra le omissioni del GGG ed il verificarsi del danno, attribuendo ad esso una natura controfattuale così come proposto dal CTU, criterio mai contestato.

La Corte di Appello riteneva, infine che la quantificazione del danno era stata individuata sul criterio dei “netti patrimoniali” pur assumendo connotazioni equitative.

Il dott. GGG ha presentato ricorso per cassazione.

Il ricorrente rilevava che la mera prosecuzione dell’attività sociale ‒ peraltro consentita dall’art. 2486, comma 1, c.c., «ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale» ‒ dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, non avrebbe potuto fondare una sua responsabilità, in difetto dell’allegazione, e quindi della prova, da parte della società attrice in primo grado di un comportamento commissivo od omissivo contrastante, ai sensi del secondo comma dell’art. 2486 c.c., con l’obbligo di gestione della società ai fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

L’unica responsabilità ravvisata dalla Corte territoriale sarebbe consistita nell’omessa sollecitazione del compimento, da parte degli amministratori delegati, in presenza di una causa di scioglimento, degli incombenti di cui all’art. 2484, comma 3, c.c., ossia l’iscrizione nel registro delle imprese.

La doglianza è stata accolta.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2484, comma 3 e 2485, comma 1, c.c. gli amministratori devono accertare, senza indugio, il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimento di cui all’art. 2484, comma 3, c.c., ossia all’iscrizione della dichiarazione di accertamento di tale causa di scioglimento nel registro delle imprese, derivandone, in caso di ritardo od omissione, una loro responsabilità verso la società, i soci ed i creditori per i danni che ne siano derivati.

Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha individuato alcun danno per la omessa o tardiva segnalazione agli amministratori delegati dell’obbligo di effettuare siffatto incombente.

La previsione di un risarcimento ex art. 2485 c.c. è, peraltro, di improbabile applicazione, essendo difficile che l’omissione o il ritardo di iscrizione nel registro dell’impresa possano, di per sé, essere produttive di danno, né ‒ come detto ‒ la Corte d’appello, nel caso concreto, lo ha sostenuto.

Il danno potrebbe, in effetti, derivare esclusivamente dal compimento, da parte degli amministratori, di atti di gestione incompatibili con i vincoli di cui all’art. 2486, comma 1, c.c., ossia eccedenti la finalità di conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Ebbene, colui (società o terzi) che agisce in giudizio con azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell’art. 2486 c.c., ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d’impresa e non abbiano una finalità liquidatoria.

Spetta, infatti, agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari (Cass. 2156/2015; Cass. 198/2022).

In tale prospettiva è evidente che l’omissione, ascritta al GGG, non può essere individuata ‒ come ha fatto la Corte d’appello ‒ nell’omessa segnalazione della necessità di effettuare gli incombenti di cui ai succitati artt. 2484, comma 3, e 2485 c.c., di per sé neutri sul piano del danno sociale, ma si sarebbe dovuta concretare in una omissione produttiva di un pregiudizio al patrimonio sociale, ex art. 2486, commi 1 e 2, c.c.

Ma sul punto, le statuizioni della Corte di Appello sono state del tutto generiche ed irrilevanti, non essendo siffatto pregiudizio ancorabile né alla prosecuzione tout court dell’attività dopo il verificarsi di una causa di scioglimento ‒ consentita, nei limiti suindicati, dall’art. 2486, comma 1, c.c. ‒ né all’omissione della segnalazione della necessità di effettuare gli incombenti suindicati.

Corte di Cassazione, sezione prima, Ordinanza n. 11041 del 27 aprile 2023

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