Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16159 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16159 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2951 R.G. anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
contro
ricorrente nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
Intimata
avverso la SENTENZA n. 816/2022 emessa da CORTE D’APPELLO TORINO.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 aprile 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Con atto di citazione in appello RAGIONE_SOCIALE ha convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 20 dicembre 2019, la quale aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo da essa proposta.
RAGIONE_SOCIALE aveva difatti richiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, debitrice nei confronti di RAGIONE_SOCIALE,: quest ‘ultima aveva ceduto pro solvendo a titolo di garanzia alla stessa RAGIONE_SOCIALE un credito vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE dell’ammontare di complessivi euro 84.700,00.
La Corte di appello di Torino ha escluso la nullità del negozio di cessione e ritenuto esistente il credito oggetto di trasferimento. In particolare, secondo il Giudice distrettuale, «l’esistenza delle fatture portanti i crediti ceduti, formate dalla cedente RAGIONE_SOCIALE, la rituale notificazione delle cessioni, la totale assenza negli anni di rilievi di qualsiasi tipo da parte della debitrice ceduta RAGIONE_SOCIALE né nei confronti di RAGIONE_SOCIALE né nei confronti della banca, nonostante i solleciti ripetutisi nel tempo, prima dell’introduzione del presente giudizio e, infine, la totale genericità delle contestazioni, sono tutti elementi significativi idonei a fondare presuntivamente l’effettiva esistenza dei crediti ceduti».
2 . ─ Avverso la sentenza della Corte piemontese RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto un ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE in qualità di
procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti di RAGIONE_SOCIALE.
E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa parte ricorrente ha domandato la decisione della causa e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La proposta ha il tenore che segue:
«l ricorso è inammissibile, perché intende riproporre un giudizio sul fatto;
«invero, il primo ed il secondo motivo, pur sotto l’egida del vizio di violazione di legge – gli artt. 1260, 1264, 2697 c.c., 115 e 645 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto di fondare anche sul silenzio serbato dal debitore la prova piena del credito, nonché ravvisato la genericità delle contestazioni delle debitrice in giudizio – non tengono conto che la Corte d’appello ha, dapprima, espressamente ritenuto gravare sulla creditrice l’onere della prova della sua pretesa, e, quindi, espresso un giudizio di merito sul raggiungimento della piena prova del credito: giudizio fondato, da un lato, sulle fatture prodotte, e dall’altro lato, sulla mancata contestazione extraprocessuale della debitrice alle plurime sollecitazioni di controparte, ai sensi dell’ art. 2729 c.c., nonché sull’argomento di prova della condotta processuale della parte; tutti elementi che, nell’ambito dell’apprezzamento riservato al giudice del merito, hanno indotto la Corte d’appello a ritenere raggiunta la prova piena del credito, con una valutazione di merito che, in sede di legittimità, non può più essere messa in discussione;
«invero, la C orte territoriale non ha affatto invertito l’onere della prova in violazione dell’art. 2697 c.c., posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi 3 dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa
da quella che ne era onerata, e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (e multis, Cass. 20.4.2020, n. 7919; Cass. 19.8.2020, n. 17313; Cass. 24.1.2020, n. 1634; Cass. 23.10.2018, n. 26769; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 7.11.2017, n. 26366; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107);
«in particolare, occorre ricordare che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, e che, analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma della norma rubricata appunto «della valutazione delle prove» (Sez. 3, 28.2.2017, n. 5009; Sez. 2, 14.3.2018, n. 6231);
«né è ammessa la denuncia, in cassazione, della ricostruzione indiziaria, come operata dal giudice del merito ai sensi dell’ art. 2729 c.c., che si dà soltanto ove il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, non precise e non concordanti, ma non certo ove si intenda perorare in sede di legittimità una diversa ricostruzione dei fatti;
« ciò palesa l’inconferenza dei precedenti citati dalla ricorrente
(Cass., sez. II, 27-02-1998, n. 2156; Cass. civ., sez. I, 18-12- 2007, n. 26664), che non riguardano casi di ritenuta integrazione della prova presuntiva ad opera del giudice del merito».
Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni che resistono ai rilievi critici formulati dalla parte ricorrente.
Si osserva, anzitutto, che la Corte di appello non ha fondato il proprio convincimento circa l’esistenza del credito su di una non contestazione: si legge, infatti, a pag. 8 della sentenza, che «il tenore dell’atto di citazione in opposizione non permette di considerare ammessi per carente contestazione, e quindi non necessitanti di prova, i fatti costitutivi del credito già di RAGIONE_SOCIALE».
Quanto all’asserita possibilità di denunciare per cassazione la illegittima utilizzazione, da parte del giudice di merito, di prove inesistenti, il tema attiene al cosiddetto travisamento della prova, di cui si sono occupate di recente le Sezioni Unite di questa Corte. In proposito è stato affermato che il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass. Sez. U. 5 marzo 2024, n. 5792). Nel caso in esame, non si fa però questione di travisamento, quanto, piuttosto, di una lettura del materiale probatorio che la ricorrente reputa non soddisfacente ; inoltre – e comunque venendo in questione il contenuto della prova di un fatto sostanziale (la cessione del credito), la ricorrente avrebbe dovuto
articolare la censura di omesso esame di fatto decisivo (ex art. 360, n. 5, c.p.c.) e ciò non è accaduto.
Manca di aderenza alla decisione impugnata, da ultimo, la deduzione secondo cui la Corte di appello avrebbe fatto «discendere dal deposito di una fattura, meramente rappresentativa di un presunto credito, l’esistenza reale dello stesso credito»: infatti, l’esistenza del credito non è fondata sul valore probatorio della fattura, ma su di un complesso di elementi, che la Corte ha valutato globalmente nella loro inferenza sul piano delle presunzioni: e si osserva, in proposito, che alla fattura ben può attribuirsi valore indiziario quanto all ‘esecuzione delle prestazioni in essa documentate (Cass. 12 gennaio 2016, n. 299; Cass. 28 giugno 2010, n. 15383) e quindi anche quanto alla spettanza del corrispettivo maturato in ragione di tale esecuzione.
Il ricorso è dichiarato quindi inammissibile.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c..
Vale, poi, rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente
determinata di € 6.000,00 , oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 6.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione