Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21393 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21393 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23161/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1739/2019 depositata il 02/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo, con il quale la RAGIONE_SOCIALE Sanzogni P.C. e M. s.n.c. gli aveva ingiunto il pagamento della somma di euro 9.328,98 a titolo di corrispettivo per la fornitura di arredi per il bagno.
L’opponente dedusse di non aver concluso alcun contratto con la società ingiungente, avendo acquistato la merce dalla società RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE COGNOME di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, nei cui confronti aveva effettuato il pagamento; soggiunse che la società RAGIONE_SOCIALE, costruttrice dell’immobile aveva subappaltato l’esecuzione degli impianti idrosanitari alla società RAGIONE_SOCIALE e che COGNOME lo aveva invitato a recarsi presso la sede della RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto dei sanitari, in ragione del rapporto commerciale continuativo esistente tra le due società.
NOME COGNOME chiese di essere autorizzato a chiamare in causa la società RAGIONE_SOCIALE, che si costituì confermando di aver ricevuto il pagamento dei beni forniti a NOME COGNOME rilasciandone quietanza.
Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 2016, accolse l’opposizione, ritenendo che non vi fosse la prova del contratto concluso tra la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME.
Avverso tale sentenza, la RAGIONE_SOCIALE propose gravame innanzi alla Corte di appello di Milano, resistito da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE, che eccepirono, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello sia per violazione dell’art.342 c.p.c., sia perché la notifica era stata effettuata nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, che era stata cancellata dal registro delle imprese.
La Corte d’appello dispose l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci della società estinta.
NOME, NOME e NOME COGNOME in qualità di soci RAGIONE_SOCIALE rimasero contumaci.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 2.12.2019, accolse l’appello, e, per l’effetto, rigettò l’opposizione.
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale reputò che l’appello fosse ammissibile perché sufficientemente specifico; quanto al vizio di notifica dell’atto alla società estinta, rilevò che l’atto era stato notificato ad una società inesistente e che era errato l’ordine di integrazione del contraddittorio bei confronti dei soci; tuttavia, la dichiarazione di inammissibilità dell’appello riguardava solo la posizione intercorrente tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE e non tra NOME COGNOME e la 2T1 snc.
Nel merito, la Corte territoriale evidenziò plurimi elementi dai quali desumere l’esistenza del rapporto contrattuale di compravendita i medesimi, e, segnatamente, il pagamento dell’acconto effettuato direttamente da NOME COGNOME nei confronti della 2TI s.n.c., presso la quale si era recato per scegliere gli arredi, nonchè altre circostanze riportate in sede di sommarie informazioni testimoniali da
parte di NOME COGNOME socio della RAGIONE_SOCIALE in altro procedimento penale per falso in scrittura privata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello sulla base di quattro motivi.
La 2TI di Sanzogni RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME sono rimasti intimati.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., perché l’appello sarebbe viziato da genericità, non essendo sufficientemente specifiche le critiche mosse alla sentenza di primo grado, rivolte solo ad alcuni passaggi motivazionali della decisione, omettendo di censurare altri aspetti rilevanti nella ricostruzione del fatto.
Il motivo è infondato.
Deve essere richiamato il principio (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199), secondo cui la norma di cui all’art. 342 c.p.c. va interpretata nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata, senza tuttavia che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris
instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
Ciò che rileva, al fine di superare la valutazione di ammissibilità, è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le doglianze, ovvero che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza quale sia il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili’ (Cass. n. 24048/2021; Cass., sez. 1, n. 3327 del 2023; Cass., sez. 6-3, 17 dicembre 2021, n. 40560; Cass., sez. 6-3, 30 maggio 2018, n. 13535).
Nel caso di specie, come risulta dalle parti riportate nel ricorso per cassazione, l’appello era sufficientemente specifico nel criticare la valutazione del giudice di primo grado in ordine alle risultanze processuali tanto che la Corte d’appello le ha chiaramente individuate e condivise, contrapponendo una diversa valutazione degli elementi probatori rispetto al giudice di primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495, comma 2, c.c., degli artt. 299 e 342 c.p.c., per non avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile l’appello nonostante fosse stato notificato nei confronti di una società estinta perché cancellata dal registro delle imprese; la Corte d’appello, pur ritenendo che si trattasse di notifica inesistente avrebbe limitato la declaratoria di inammissibilità alla sola domanda subordinata di manleva svolta da NOME COGNOME.
Il ricorrente sostiene che la declaratoria di inammissibilità doveva estendersi all’intero atto di appello, in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto notificare l’appello ai soci della RAGIONE_SOCIALE e non alla società dichiarata estinta.
Il motivo è infondato.
La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio.
Le Sezioni Unite, con sentenza N.6071/2013, hanno stabilito che se l’estinzione della società cancellata dal registro interviene in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.
Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta (Cass. 19.12.2016 n. 26196; Cass. n. 6468 del 2014; Cass. n. 7277 del 2013).
Nel caso di specie, l’atto di appello di RAGIONE_SOCIALE era stato notificato alla RAGIONE_SOCIALE.n.c. in data 16.01.17 presso il procuratore costituito, e la società era stata cancellata dal registro delle imprese il 13.5.16, nel corso del giudizio di primo grado, senza che l’estinzione fosse stata dichiarata ai fini dell’interruzione del giudizio.
In tale ipotesi, secondo il costante indirizzo di questa Corte, opera il principio di ultrattività del mandato alle liti, che consente la notifica presso il procuratore costituito della società cancellata (Cassazione civile sez. II, 17/05/2024, n.13777; Cassazione civile sez. II, 04/12/2024, n.31130).
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, comma 1, 116, comma 1 e 2, e 216, comma 1, c.p.c. e dell’art. 2729 c.c., per omessa valutazione delle risultanze dedotte come decisive da parte dell’appellata e per omessa valutazione all’intero materiale probatorio acquisito al processo alla stregua dei parametri indicati dall’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Il ricorrente sostiene che il giudice ha omesso di effettuare una valutazione organica e complessiva delle risultanze istruttorie, ignorando integralmente le deposizioni testimoniali e basando il proprio convincimento su elementi indiziari contraddittori e irrilevanti, presunzioni semplici e fatti notori relativi a documenti inutilizzabili, con riferimento al documento di trasporto disconosciuto dal ricorrente di cui non era stata chiesta la verificazione.
Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza della Corte d’appello per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la Corte d’appello adottato una motivazione illogica e contraddittoria, in cui sarebbero incomprensibili gli elementi logico giuridici del proprio convincimento.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
La motivazione soddisfa i requisiti di cui all’art.132 c.p.c. perché consente di cogliere l’iter logico della decisione rispettando il minimo costituzionale richiesto dalla norma, secondo l’orientamento granitico di questa Corte (Cass. 8054/2014), che consente il sindacato di legittimità solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo
della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Il ricorso si esaurisce nella richiesta di rivalutazione di elementi probatori, inammissibile in sede di legittimità, in quanto il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione e argomentazione delle parti, risultando sufficiente in base all’art. 132 n. 4 che esponga in maniera concisa gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione (Cass. 28.7.2023 n. 23100), dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito.
Va pure evidenziato che non sussiste la lamentata violazione dell’art. 2729 cod. civ., atteso che la prova per presunzioni integra un apprezzamento di fatto che, se correttamente motivato – come nella specie – non è censurabile in sede di legittimità (Cass. Civ. N. 5484/2019: Cass 6/07/2002, n. 9834).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha fondato la prova circa l’esistenza del contratto di fornitura tra COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE s.n.c. su plurimi elementi, quali il pagamento dell’acconto effettuato direttamente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE s.n.c., presso la quale COGNOME si era recato per scegliere gli arredi, il contenuto delle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni testimoniali da parte di NOME COGNOME socio della RAGIONE_SOCIALE, in altro procedimento penale per falso in scrittura privata.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione