Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16714 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5009/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo
– ricorrente
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso – controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di Campobasso n. 391/2024 depositato il 18/1/2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/4/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudice delegato al fallimento di RAGIONE_SOCIALE ammetteva il credito di complessivi € 237.079,21 vantato da RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) al passivo della procedura limitatamente alla so mma di € 138.181,33, in privilegio pignoratizio.
Il Tribunale di Campobasso rigettava l’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE con decreto pubblicato in data 18 gennaio 2024.
Riteneva, in particolare, che il pegno costituito dalle parti, avente a oggetto le quote di un fondo comune di investimento mobiliare, avesse natura di pegno regolare in ragione del contenuto e delle clausole della lettera di pegno, giacché, a mente dell’a rt. 3 della stessa, alla banca non era stato conferito il potere di disporre sin da subito dei titoli concessi in garanzia per soddisfare il proprio credito, ma era unicamente riconosciuto il diritto di chiedere in qualsiasi momento alla società di gestione il rimborso totale o parziale delle quote rappresentate dai certificati costituiti in pegno, dandone previa comunicazione al titolare.
Evidenziava che una conferma in questo senso veniva sia dalla seconda parte del medesimo articolo, secondo cui le somme incassate a seguito del rimborso delle quote sarebbero state anch’esse soggette all’originario vincolo di pegno, come pure gli interessi maturandi sulle somme stesse, senza alcuna possibilità di compensazione tra il credito vantato dalla banca e la somma incassata, sia dal successivo art. 5, che prevedeva, in caso di inadempimento, che la banca inviasse preventivamente una comunicazione scritta al debitore prima di richiedere il rimborso delle quote e poter utilizzare le somme ricavate a soddisfacimento dei propri crediti.
Ricordava che la somma di € 82.399,55 era stata esclusa dal G.D. in quanto l’istituto di credito non aveva fornito gli estratti conto per il periodo antecedente al 1° gennaio 2007.
Sosteneva che la banca che intende insinuarsi al passivo in caso di dichiarazione di fallimento del proprio debitore aveva l’onere di produrre gli estratti conto relativi al rapporto controverso rimasto inadempiuto dal fallito, così dimostrando come si era determinato il saldo dalla stessa vantato fin dalla prima movimentazione; reputava, ove invece la banca avesse prodotto documentazione contabile solo a partire da una certa data e la prima movimentazione trascritta nel
primo della serie degli estratti conto prodotti fosse risultata a debito per il correntista, che, non essendo provato come si fosse determinato quel saldo a debito per il correntista, esso dovesse essere convertito ‘a zero’, conteggiandosi, così, solo i mo vimenti successivi.
Constatava che nel caso di specie la banca non aveva prodotto tutti gli estratti conto sin dall’inizio del rapporto, ma solo dal 1° gennaio 2007, mentre per il periodo antecedente aveva depositato dei prospetti contabili a cui non era possibile attribuire la medesima efficacia probatoria degli estratti conto ufficiali, dato che gli stessi erano privi di data certa, non recavano l’intestazione della banca, avevano un formato grafico completamente diverso da quelli riportanti le movimentazioni bancarie successive al 1° gennaio 2007 ed erano stati oggetto di contestazione da parte del correntista.
3. AMCO ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE –
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 93 l. fall.: la banca può dimostrare la fondatezza delle proprie pretese creditorie non solo producendo gli estratti conto integrali del rapporto, ma anche facendo ricorso a ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo negativo maturato.
A tal fine AMCO aveva prodotto la cd. staffa di conto corrente, riproduttiva in modo analitico di tutte le annotazioni sul conto, e i bilanci della società fallita, in cui si dava evidenza del debito verso le banche, aveva chiesto l’ammissione di prova ora le con i vertici aziendali e i revisori contabili nonché aveva domandato l’acquisizione,
ex art. 210 cod. proc. civ., dei dati risultanti nella centrale rischi tenuta da Banca d’Italia.
Il tribunale, invece, ha inteso attribuire, seppur in modo implicito, valore di prova soltanto agli estratti conto ed ha omesso di valutare la rilevanza e decisività degli ulteriori mezzi istruttori richiesti, prospettando così un’errata interpretazione dell’art. 2697 cod. civ.
4.2 Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso fra le parti: AMCO aveva richiesto di dimostrare il proprio credito per il periodo ante 2007 attraverso la produzione dei bilanci annuali e la prova orale articolata nonché con l’acquisizione dei dati debitori della fallita risultanti nella centrale dei rischi, ma il tribunale non ne ha tenuto conto, omettendo ogni valutazione al riguardo.
4.3 Il terzo mezzo assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115 e 99 l. fall., in quanto il tribunale, nell’affermare che l’unica prova del credito ammissibile era costituita dagli estratti conto, ha violato il principio di non contestazione, applicabile anche nell’ambito del giudizio di ammissione al passivo, dato che la curatela non aveva espresso alcuna contestazione in ordine al quantum ulteriore di cui era stata richiesta l’ammissione al passivo.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, risultano, tutti inammissibili.
5.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di rapporti bancari, ai fini dell’accertamento del rapporto di dare/avere è sempre possibile per il giudice di merito, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti (Cass. 22290/2023; nello stesso senso Cass. 10293/2023, Cass. 23852/2020, Cass. 11543/2019).
Il tribunale, pur avendo affermato (a pag. 9 del decreto impugnato) che ‘ era onere della Banca, avendo la stessa proposto domanda di insinuazione al passivo fallimentare, produrre tutti gli estratti conto sin dall’inizio del rapporto ‘ -affermazione che, ponendosi in contrasto con i principi appena richiamati, deve essere corretta ai sensi dell’art. 384, comma 4, cod. proc. civ. -, non ha fatto discendere da un simile rilievo il rigetto della domanda, ma ha osservato che tale onere non era stato assolto per il periodo antecedente al 1° gennaio 2007 anche in ragione dell’inidoneità dell’ulteriore documentazione depositata (‘ … mentre per il periodo antecedente al 2007 ha depositato dei prospetti contabili cui non è possibile attribuire la medesima efficacia probatoria degli estratti conto ufficiali, essendo privi di data certa, non recando l’intestazione della banca, avendo un formato grafico completamente diverso da quelli riportanti le movimentazione bancarie successive al 1°.01.2007 ed essendo stati oggetto di contestazione da parte del correntista ‘), concludendo che ‘ la documentazione contabile prodotta dalla banca per il periodo antecedente al 2007, oggetto di contestazione da parte della curatela, non è idonea a dimostrare l’evoluzione storica del rapporto sin dalla sua origine e, quindi, a ricostruire la movimentazione bancaria indispensabile per attestare la correttezza del saldo iniziale (negativo) riportato sul conto corrente n. 79.69 di MPS S.p.A al 1°.01.2007 ‘ (pag. 10).
Questo giudizio di inidoneità, correlato non alla mancata produzione degli estratti conto nella loro integralità, ma al contenuto della documentazione depositata, costituisce un accertamento sulla pregnanza della congerie istruttoria presente in atti che rientra nel giudizio di fatto demandato al collegio di merito e non può essere rivisto in questa sede.
Infatti, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte
dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi (cfr., ex plurimis , Cass. 23055/2024, Cass. 331/2020, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011). 5.2 Il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. è costituito dall’omesso esame di un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti».
Costituisce un “fatto”, agli effetti della citata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. 16655/2011, Cass. 7983/2014, Cass. 17761/2016, Cass. 29883/2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. 21152/2014, Cass., Sez. U., 5745/2015).
Al contrario, non costituiscono “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., Sez. U., 16303/2018, in motivazione; Cass. 14802/2017, Cass. 21152/2015); ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. U., 8053/2014).
Non risulta perciò censurabile sotto il profilo dedotto la mancata valutazione del materiale o delle richieste istruttorie presentati dalla parte opponente, come propone il secondo mezzo.
5.3 Il terzo motivo è inficiato dalla sua genericità.
Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella decisione impugnata, della prova derivante dall’assenza di contestazioni della controparte su una determ inata circostanza deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Cass. 12840/2017; nello stesso senso, di recente, Cass. 15058/2024).
L’odierna ricorrente, invece, ha tralasciato del tutto di indicare il contenuto della memoria di costituzione della curatela a proposito della richiesta di ammissione per il credito maturato in data anteriore al 1° gennaio 2007.
Una simile indicazione era vieppiù necessaria a fronte dei rilievi contenuti nel provvedimento impugnato, al cui interno (pag. 10) si sottolinea che il curatore non solo in sede di verifica aveva insistito sulla non ammissibilità delle somme pretese con riguardo alle somme ante 2007, ma in sede di opposizione aveva contestato il contenuto dei prospetti contabili prodotti da AMCO per dimostrare l’esistenza di tale credito.
6. Il quarto motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., della violazione dell’art. 1362 cod. civ. : il tribunale, all’esito dell’esame di alcune clausole contenute nella lettera di pegno, ha ritenuto che questa garanzia, concessa su un certificato rappresentativo di quote di fondo comune, avesse natura regolare, dato che non emergeva il potere della banca di disporre delle stesse; in questo modo, però, i giudici di merito -a dire dell’odierna ricorrente – hanno attribuito rilevanza ad elementi nient’ affatto dirimenti e non hanno valutato, invece, alcune clausole che deponevano, in via di interpretazione letterale, per la natura irregolare del pegno.
7. Il motivo è inammissibile.
Il tribunale, facendo applicazione del canone ermeneutico dettato dall’art. 1363 cod. civ., secondo cui le clausole contrattuali vanno esaminate non già atomisticamente, bensì nel loro complesso e nelle loro interrelazioni, per trarne -unitamente all’indagine letterale – la ratio e la logica della volontà delle parti, ha ritenuto, valorizzando il tenore di alcune di esse, che le parti avessero inteso pattuire la costituzione di un pegno regolare.
Il mezzo in esame si limita a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata, malgrado l’interpretazione del contenuto del contratto costituisca una valutazione riservata al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizi di motivazione o inesatta applicazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, vizi che non sono stati prospettati in alcun modo nel caso di specie.
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 30 aprile 2025.