Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34397 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34397 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27676/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2546/2022 depositata il 15/04/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 14.11.2002, la RAGIONE_SOCIALEdi seguito RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 2546/2022 della Corte di appello di Roma emessa relativamente a una controversia instaurata dalla ricorrente in opposizione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Frosinone, con il quale le era stato ingiunto il pagamento in favore di COGNOME COGNOME della complessiva somma di euro 200.000,00, oltre interessi e spese del procedimento monitorio, versata dal COGNOME in suo favore nel 2006, a mezzo di assegno bancario, incassato dalla opponente al fine di effettuare un investimento di cui il COGNOME aveva preteso la restituzione. NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME,nel frattempo deceduto, hanno notificato controricorso
Con sentenza n. 719/2015, pubblicata in data 20.8.2015, il Tribunale di Frosinone, previa declaratoria della legittimazione passiva dell’RAGIONE_SOCIALE aveva rigettato l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo. La Corte d’appello adita da RAGIONE_SOCIALE, in rigetto dell’appello, aveva confermato la sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Per quanto ancora di interesse, assume la Corte di merito che la opponente RAGIONE_SOCIALE a sostegno dell’opposizione all’ingiunzione
di pagamento volto alla restituzione di quanto da quest’ultima incassato, aveva dedotto la propria carenza di legittimazione e l’infondatezza della pretesa creditoria azionata nei suoi confronti e l’irrilevanza della documentazione (delibera Consob assunta nei suoi confronti per la violazione dell’art. 94 del D.lgs 58/1998), prodotta dal COGNOME in allegato alla richiesta di emissione del decreto ingiuntivo, oltre all’assegno, assumendo che l’originario rapporto contrattuale intervenuto tra essa ed il COGNOME si era estinto, atteso che il COGNOME (comela Guardia di Finanza di Roma) aveva investito per due anni la somma di circa 215.000,00 euro nella RAGIONE_SOCIALE e, alla scadenza contrattuale, avendo ricevuto il rimborso della somma investita tramite un bonifico bancario della RAGIONE_SOCIALE, aveva reinvestito la predetta somma nell’acquisto di azioni della RAGIONE_SOCIALE
Il COGNOME, di contro, aveva chiesto il rigetto delle eccezioni e dell’opposizione precisando che: 1) nell’anno 2006, aveva effettuato un investimento finanziario con detta società, provvedendo a versare l’importo sopra indicato mediante assegno bancario emesso in favore della società opposta; 2) in data 20.1.2012, la RAGIONE_SOCIALE aveva inspiegabilmente inviato ai suoi figli, NOME e NOME, una raccomandata a. r. con la quale, dopo aver riconosciuto l’esistenza di un proprio debito nei loro confronti in misura di euro 76.666,00 ciascuno, aveva proposto loro, in luogo della restituzione delle somme dovute, il trasferimento di opere d’arte a titolo di adempimento e compensazione del proprio debito; 3) con raccomandata a.r. dell’8.2.2012, lui ed i suoi figli avevano disconosciuto formalmente l’acquisto di azioni EIG, asseritamente compiuto in data 27.4.2009; 4) con raccomandata a.r. del 10.4.2013, egli, nella qualità di unico effettivo titolare del diritto di credito riconosciuto dalla RAGIONE_SOCIALE ed in considerazione delle sanzioni amministrative applicate alla stessa dalla Consob per la
violazione dell’art. 94 del D.lgs 58/1998 in casi simili, aveva chiesto la restituzione dell’importo investito e 5) a seguito dell’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE e della richiesta di informazioni avanzata dal proprio difensore alla Guardia di Finanza di Roma in merito ad una propria audizione, asseritamente eseguita in data 19.7.2010 ed alle dichiarazioni rilasciate in quella occasione, era venuto a conoscenza del fatto che la persona ascoltata in quella sede non era lui (che era nato a Viterbo il 29.6.1924), ma il proprio figlio (il terzo) e cioè COGNOME DinoCOGNOME nato a Southampton il 25.1.1961, avente il suo stesso nome.
La Corte di merito riteneva pertanto infondato il motivo di appello di RAGIONE_SOCIALE volto a censurare la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto la legittimazione passiva della società opponente ed assolto l’onere probatorio quanto ai fatti costitutivi della pretesa restitutoria del COGNOME. In particolare riteneva a tal fine idonea la documentazione prodotta in allegato al ricorso per decreto ingiuntivo, rappresentata: -dalla copia dell’assegno n. 0660455684 tratto sul conto corrente acceso da RAGIONE_SOCIALE NOME presso la Banca di Roma dell’importo di euro 200.000,00 emesso in data 13.6.2006 in favore della RAGIONE_SOCIALE e dall’estratto conto relativo; -dalle missive inviate dalla RAGIONE_SOCIALE a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in data 20.1.2012 e da quella inviata dai medesimi in risposta in data 8.2.2012, nonché, in particolare, da quella inviata da COGNOME NOME alla RAGIONE_SOCIALE in data l0.3.2013, in cui il medesimo aveva fatto chiaro riferimento al contratto stipulato nel 2006 ed alla somma consegnata in detta occasione ed aveva espresso la volontà di ottenere la restituzione della stessa, nonché il risarcimento del danno patrimoniale subito ‘commisurato all’entità del mancato realizzo dell’investimento effettuato’ con la predetta società, senza tuttavia ottenere alcuna risposta.
Riteneva pertanto fornita la prova dell’avvenuta consegna del denaro alla RAGIONE_SOCIALE e dell’inadempimento di quest’ultima alla richiesta di restituzione; riteneva non provato, di contro, il fatto estintivo e modificativo opposto dalla RAGIONE_SOCIALE (il reinvestimento presso altra società su richiesta del Bartoli) .
Motivi della decisione
La società controricorrente eccepisce, in via pregiudiziale, l’improcedibilità del ricorso, deducendo che la ricorrente, nell’indice del ricorso notificato, ha inserito quale allegato al ricorso stesso l’istanza ex art. 369 III comma c.p.c. di trasmissione del fascicolo d’ufficio del giudice a quo , dovendosi intendere detta istanza già asseritamente depositata al momento della proposizione del ricorso presso la Cancelleria della Corte di Appello di Roma e restituita con visto al ricorrente medesimo, deducendo tuttavia che detta istanza non risulta depositata nel fascicolo d’ufficio della Corte di Appello di Roma R.G. n. 1170/2016, né in forma telematica né in forma cartacea. Né detta istanza apparirebbe restituita al ricorrente dalla Cancelleria della predetta Corte di merito, munita di proprio visto e successivamente depositata unitamente al ricorso notificato.
L’eccezione è infondata.
Ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione, rileva che il ricorrente, nel rispetto del termine indicato dall’art. 369 c.p.c., depositi il ricorso e formuli l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio al giudice “a quo”, la quale deve essere restituita munita del visto di cui al comma terzo della disposizione in esame, non potendo discendere dal suo mancato deposito «insieme col ricorso» la sanzione della improcedibilità del giudizio di legittimità, atteso che una differente soluzione, di carattere formalistico, determinerebbe un ingiustificato diniego di accesso al giudizio di impugnazione, in contrasto con il
principio di effettività della tutela giurisdizionale (Sez. 5 -, Ordinanza n. 12844 del 13/05/2021; Sez. 6 -3, Ordinanza n. 11599 del 03/05/2019 ; Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011).
Con un unico motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2967 c.c., 645 c.p.c. e 1453 c.c., denunciando che la corte d’appello, pur avendo correttamente richiamato i principi sul riparto dell’onere della prova in materia di inadempimento e risoluzione contrattuale, ne avrebbe fatto mal governo, avendo ritenuto equivalenti alla produzione del contratto di investimento i documenti prodotti dall’opposto che, però, non varrebbero a integrare la prova della fonte negoziale da cui deriva il diritto di credito vantato, in quanto il contratto di investimento intercorso tra le parti andava provato per iscritto, richiedendo la prova scritta ad substantiam ex art. 23 d.lgs 58 1998. Riferisce altresì che alla carenza della fonte negoziale del diritto di credito non potrebbe sopperire la circostanza, evidenziata dalla Corte di appello, secondo cui la società opponente non avrebbe negato di avere stipulato un contratto di investimento, poiché l’osservanza dell’onere probatorio è nella specie prescritta per l’esistenza del diritto stesso.
I controricorrenti, di contro, deducono che la domanda restitutoria è stata considerata dalla Corte di merito in ragione della dazione dell’assegno del Sig. NOME COGNOME a favore di RAGIONE_SOCIALE e dell’operazione di incasso dello stesso da parte di quest’ultima, che ha mancato di provare, alla scadenza convenuta, il successivo dedotto reinvestimento in azioni. Sostiene inoltre di avere eccepito che, il rapporto sottostante appare caratterizzato da profili di nullità e/o inesistenza assoluta, essendo pacifico che sia mancata la stipula di un contratto avente la forma scritta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 23 del D.LGS. n. 58/1998 in violazione dell’art. 1325 c.c.
4). Deduce, pertanto, che tale diversa interpretazione e qualificazione giuridica della fattispecie in termini di indebito oggettivo sia stata invocata dalla controricorrente sin dalla comparsa di costituzione e risposta depositata nel fascicolo del primo grado di giudizio, ma non accolta dai giudici di merito.
Ed invero dal la sentenza non risulta che la presunta inesistenza del negozio di finanziamento sia stata eccepita dall’odierna ricorrente per contestare la sussistenza del credito, bensì dalla parte controricorrente ai fini di un differente inquadramento della pretesa restitutoria quale indebito oggettivo.
Sul punto la corte di merito, dopo avere qualificato la domanda come domanda di restituzione di una somma versata in relazione a un contratto di finanziamento rimasta inadempiuta alla scadenza contrattuale, ha ritenuto che l’obbligo restitutorio fosse provato dalla circostanza che ‘ la RAGIONE_SOCIALE non avendo mai negato di aver stipulato un contratto d’investimento con il COGNOME per l’importo predetto, non ha fornito alcuna prova della esistenza di fatti estintivi dello stesso o della legittimità della mancata restituzione della somma, atteso che gli unici fatti dedotti in tal senso (costituti dall’asserito disinvestimento del capitale investito alla data di scadenza contrattuale e dal successivo investimento in azioni di altre società) riguardavano l’operato del figlio dell’attuale appellato (ovvero COGNOME NOME nato a Southampton il 25.1.1961 nei cui confronti erano state svolte delle indagini penali) e non di quest’ultimo.. .’
Posto quanto sopra, non può certamente arguirsi dalla sentenza della Cass., Sez. Un., n. 13533 del 2001, citata nella pronuncia in esame, che il fatto costituito dall’esistenza della fonte contrattuale non possa essere dimostrato e desunto pacificamente dal comportamento della parte costituita che non la contesti specificamente e tempestivamente e anzi che
confessoriamente la rivendichi, come nel caso di specie, in ossequio al dettato dell’art. 115 c.p.c.
Per dare ingresso a una nuova analisi del fatto da parte del giudice di legittimità, la ricorrente avrebbe dovuto dedurre che la ‘non esistenza del contratto di finanziamento ‘ (per invalidità del medesimo), posto a fondamento della pretesa restitutoria, fosse stata dalla medesima specificatamente contestata nel corso del primo grado di giudizio e che il mancato rilievo di tale contestazione si fosse trasfuso in un motivo di impugnazione.
Di un tanto l’odierna ricorrente invero non dà debitamente conto ne rispetto del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 21/10/2024