Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34184 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34184 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 15760-2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE ROMA RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende per procura in atti.
-controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Tivoli, depositato in data 29.04.2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/11/2024
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto qui impugnato il Tribunale di Tivoli ha rigettato l ‘ opposizione allo stato passivo, presentata ai sensi degli artt. 98 e 99 l. fall., da parte degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di Città di Roma RAGIONE_SOCIALE, in amministrazione straordinaria, avverso il provvedimento del g.d. del medesimo Tribunale, provvedimento con il quale erano state rigettate le richieste di ammissione al passivo della predetta a.s. per crediti professionali.
Gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano infatti richiesto l’ammissione al passivo, deducendo di vantare nei confronti della società ora in RAGIONE_SOCIALE un credito dell’importo complessivo pari ad euro 1.245.692,83, di cui euro 1.052.299,66 in privilegio, quale residuo dei compensi asseritamente concordati con la detta società e dovuti per l ‘instaurazione di 49 giudizi, aventi tutti ad oggetto l’impugnativa della informativa interdittiva antimafia del 16.10.2014, emessa dalla Prefettura della Provincia di Roma, e degli atti conseguenti.
Il g.d. aveva tuttavia rigettato le domande di insinuazione al passivo, rilevando che non era stata fornita la prova di ‘ alcun incarico professionale ‘ e che, in relazione al profilo del quantum , non risultava ‘ possibile individuare, per ciascuna posizione, gli scaglioni di riferimento ed i parametri applicati ai sensi della normativa sulla liquidazione dei compensi vigente ratione temporis ‘ e non risultando provata neanche la ‘ … utilità della prestazione ‘.
Proposta opposizione da parte degli odierni ricorrenti, il Tribunale, nella resistenza dell’amministrazione straordinaria, ha ritenuto parzialmente fondata la proposta opposizione, rilevando che: (i) non era stata fornita la dimostrazione dell ‘esistenza dell’allegato accordo tra i professionisti e la società in bonis , in base al quale, secondo la prospettazione degli opponenti, sarebbero dovuti essere corrisposti a quest’ultimi ‘un importo di euro 10.000 per ogni giudizio intrapreso e di un ulteriore importo di euro 10.000 per ogni
Ricorso per motivi aggiunti e per appelli incidentali’; (ii) non rilevavano , invero, per la prova di tale accordo, né la circostanza che la detta società avesse in passato pagato alcune fatture di pari importo relative ai sopra ricordati giudizi, né l’ulteriore fatto che le notule emesse dai professionisti non fossero state contestate; (iii) pur volendosi fornire alla mancata contestazione delle notule valore indiziario, tale indizio non era stato tuttavia corroborato da alcun altro elemento probatorio ed anzi risultava smentito dalla circostanza che erano state depositate in giudizio altre fatture di importo diverso rispetto al compenso asseritamente pattuito; (iv) il predetto accordo, peraltro, quand’anche dimostrato come esistente, non sarebbe stato comunque opponibile alla procedura perché mancante di data certa; (v) la domanda principale di ammissione al passivo doveva pertanto essere rigettata per difetto di prova del quantum ; (vi) in ordine, poi, alla domanda subordinata di liquidazione del compenso secondo i parametri dettati dal D.M. 55/2014, occorreva determinare il quantum del compenso richiesto, secondo un parametro diverso da quello indicato dagli opponenti, dovendosi peraltro ritenere che la prova del mandato professionale fosse evincibile dalla produzione in giudizio delle procure ad litem apposte a margine di ciascun atto introduttivo dei sopra ricordati giudizi amministrativi; (vii) occorreva sicuramente ricondurre le controversie, per le quali era stata richiesta la liquidazione del compenso, nel parametro del valore indeterminato, tuttavia di non ‘particolare importanza’, in assenza di una adeguata prova (da fornirsi da parte degli opponenti) in ordine alla natura complessa degli incarichi ricevuti; (viii) occorreva pertanto individuare lo scaglione di valore da euro 26.000 ad euro 52.000, da applicarsi ai valori minimi, in ragione di quanto statuito da ll’art. 4, comma 7, del predetto D.M., ed in considerazione del numero dei giudizi intentati aventi il medesimo oggetto, cui doveva essere applicata l ‘ulteriore riduzione del 30% prevista dall’art. 4, comma 4, del medesimo D.M., in conseguenza delle caratteristiche dei giudizi già richiamate e precipuamente per l’assenza di nuove e distinte questioni di fatto e di diritto; (ix) per ciascun giudizio di primo grado e per ciascun giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, doveva essere liquidato un compenso pari ad euro 3.710,70 e per l’attività stragiudiziale un compenso, invece, pari ad euro
1.148,00; (x) dai documenti prodotti risultavano tuttavia versati ai professionisti compensi per complessivi euro 190.000, ossia un importo superiore ai compensi maturati secondo i parametri di legge sopra ricordati; (xi) occorreva conclusivamente rigettare la proposta opposizione.
2.Il decreto, pubblicato il 29.4.2020, è stato impugnato dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui Città di Roma RAGIONE_SOCIALE, in amministrazione straordinaria, ha resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e degli artt. 2230, 1703 e 2697 c.c., nonché vizio di ‘travisamento delle prove ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c.’ , sul rilievo che il Tribunale avrebbe potuto ritenere provato il conferimento dell’incarico professionale , presa contezza ed assunta la prova del mandato alle liti rilasciato ai legali e dopo aver anche considerato la prova del l’attività svolta in ciascun giudizio, attesa la corresponsione di quanto accertato documentalmente attraverso le fatture saldate e le notule non contestate.
1.1 Il motivo, così formulato, è all’evidenza inammissibile.
1.1.1 In realtà, le doglianze formulate dalla parte ricorrente, in una prima parte (cfr. ricorso pagg. 18-21), non si confrontano affatto con la ratio decidendi del provvedimento impugnato che si fonda in realtà, per quanto qui in discussione, non già sulla negazione dell’esistenza di un mandato professionale (che anzi il Tribunale ha ritenuto dimostrato, in via indiziaria, sull’app r ezzamento dell’allegata prova documentale, e cioè il deposito in giudizio delle procure alle liti e delle notule attestanti i pagamenti parziali dei compensi professionali), quanto piuttosto sull’affermazione della mancata prova da parte degli odierni ricorrenti dell’esistenza di un patto scritto che avesse stabilito il compenso convenzionalmente (ed asseritamente) pattuito.
1.1.2 La seconda parte del primo motivo (cfr. ricorso pagg. 21-22) è invece inammissibile perché rivolge a questa Corte di legittimità una impropria richiesta di rivalutazione della quaestio facti , in relazione alle modalità di accertamento del quantum debeatur , attraverso una riedizione del giudizio indiziario già operato dai giudici del merito, scrutinio che, con tutta evidenza, esula dal sindacato del giudizio di cassazione (cfr., da ultimo, anche: Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022; v. inoltre: Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Cass. n.15737 del 2003).
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sul rilievo che sarebbe dimostrato dagli atti che tra essi odierni ricorrenti e la società debitrice era stato pattuito un apposito accordo professionale che descriveva l’attività da svolgere e ne quantificava gli oneri riconosciuti e che in ragione di tale accordo i legali avevano ricevuto il pagamento parziale.
2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile.
In realtà, il pagamento delle notule in via parziale è stato escluso dal Tribunale come ‘fatto equipollente’ a dimostrare l’ anteriorità del sopra menzionato documento opposto alla procedura (ed asseritamente contenente l’accordo sul compenso), ai sensi dell’art. 2704 c od. civ., documento di cui peraltro non si fa alcuna menzione nelle predette notule. Con l ‘ evidente conseguenza che, anche in tal caso, le doglianze articolate dalla parte ricorrente sarebbero invero volte a far ripetere a questa Corte di legittimità un nuovo scrutinio di carattere indiziario sulla dimostrazione dell ‘ esistenza o meno del predetto documento contenente il patto sui compensi professionali (scrutinio che per le ragioni già dette esula dal sindacato di legittimità), senza neanche contare che la mancata dimostrazione, ‘a monte’ , dell ‘ esistenza stessa del documento assorbe ogni ulteriore discussione sul fattore succedaneo, ‘a valle’ , della sua opponibilità alla procedura concorsuale.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione del DM 55/2014, nonché per ‘travisamento di prova e omesso esame di fatti decisivi per i giudizi che sono stati oggetto di discussione tra le parti -art. 360, punto 5) c.p.c.’.
3.1 I ricorrenti contestano il decreto qui impugnato anche laddove il Tribunale aveva rigettato la domanda subordinata con la quale essi ricorrenti, ove ritenuto non provato l’accordo tra le parti, avevano chiesto l’ammissione al passivo dei compensi liquidati in base ai parametri indicati nel DM 55/2014, per le cause di valore indeterminato di particolare importanza, secondo i prospetti di notula depositati.
3.1 Contestano, cioè, i ricorrenti la valutazione come ‘indeterminato basso’ dello scaglione di liquidazione dei compensi professionali. Si sostiene che le cause non erano affatto semplici, erano state precedute da istanze cautelari ante causam (poi accolte) ed era stato impugnato dagli odierni ricorrenti anche il provvedimento prefettizio, presupposto legittimante gli atti oggetto di impugnazione, e cioè le interdittive antimafia.
3.2 Risulta evidente, anche in questo caso, la ragione dell’inammissibilità delle doglianze così formulate, che pretenderebbero, sotto l’egida applicativa, in primo luogo, del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., un nuovo apprezzamento di merito da parte di questa Corte e cioè che essa riveda la valutazione delle cause come appartenenti allo scaglione ‘indeterminato basso’ ed anche alla categoria ‘di non particolare importanza’ , con deduzioni che esulano dal perimetro delimitante la cognizione del giudizio di legittimità.
Il quarto mezzo deduce ‘violazione e falsa applicazione del DM 55/2014. Violazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2233, comma 2, c.c. Violazione dell’art. 360, punto 5) c.p.c.: Travisamento di prova ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
4.1 Anche il quarto motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
Con deduzione generica e peraltro neanche formulata in modo autosufficiente, i ricorrenti contestano che si sia trattato di una ipotesi di ‘abuso del processo’, ex art. 4, 7° comma, D.M. 55/2014.
Anche in questo caso le censure attingono profili di carattere fattuale e di apprezzamento della prova documentale, volti alla determinazione del compenso dei professionisti, scrutinio che, come ripetuto più volte, esula dal sindacato del giudizio di legittimità, perché come tale implicante una rilettura degli atti istruttori, invece inibita a questa Corte.
I ricorrenti propongono infine un quinto mezzo col quale denunciano ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, del DM 55/2014 Travisamento delle prove ai sensi dell’art. 360 n. 5) c.p.c.’.
5.1 Si contesta cioè, da parte dei ricorrenti, la valutazione del Tribunale, in ordine all’apprezzamento delle cause come identiche.
Ebbene, questo Collegio è costretto a rilevare ancora una volta che le doglianze così articolate tentano di far ripetere al giudice di legittimità un nuovo apprezzamento della quaestio facti , non consentito in questa sede di giudizio.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 15.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 6.11.2024