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Prova compenso amministratore: non basta la nomina

Una società creditrice, che aveva acquistato il diritto al compenso di un ex amministratore di un’azienda fallita, si è vista rigettare la richiesta di insinuazione al passivo. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che per ottenere il compenso non è sufficiente provare la nomina alla carica di amministratore. È indispensabile fornire la prova specifica e concreta dell’attività effettivamente svolta, onere che nel caso di specie non è stato assolto. La genericità delle prove testimoniali proposte è stata una delle ragioni principali del rigetto del ricorso.

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Prova Compenso Amministratore: Perché la Sola Nomina Non è Sufficiente

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto societario: la prova del compenso dell’amministratore. Molti ritengono che la semplice nomina a una carica sociale generi automaticamente il diritto a una retribuzione. Tuttavia, questa pronuncia chiarisce che, di fronte a contestazioni, è necessario un passo ulteriore: dimostrare l’effettivo svolgimento dell’attività gestionale. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Compenso Contestata

Una società operante nel settore sanitario aveva acquistato un credito vantato dall’ex amministratore unico di una società di investimenti, successivamente dichiarata fallita. Tale credito, pari a oltre 190.000 euro, si riferiva al compenso per l’attività di amministratore svolta per diversi anni. La società creditrice ha quindi presentato domanda di insinuazione al passivo del fallimento per recuperare la somma.

Tuttavia, il Giudice Delegato ha rigettato la domanda. La società ha proposto opposizione, ma anche il Tribunale ha confermato il rigetto. Secondo il giudice di primo grado, la società opponente non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare l’attività concretamente svolta dall’amministratore, nonostante non fosse in discussione la sua nomina formale.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale ha sostenuto che, a fronte delle eccezioni sollevate dalla curatela fallimentare, gravava sulla società creditrice l’onere di provare non solo la carica, ma anche l’effettiva entità del lavoro prestato dall’amministratore. Le prove testimoniali proposte sono state ritenute troppo generiche e, pertanto, inidonee a tale scopo.
Contro questa decisione, la società ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La violazione delle norme che presumono l’onerosità del mandato (art. 1709 c.c.) e che regolano il compenso degli amministratori (art. 2389 c.c.), sostenendo che la nomina e l’accettazione della carica fossero sufficienti a far sorgere il diritto al compenso.
2. La violazione delle norme processuali relative all’ammissione delle prove, lamentando che il Tribunale avesse erroneamente negato l’ammissione delle prove testimoniali, impedendo di dimostrare il fondamento della pretesa.

La Prova del Compenso Amministratore secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili, confermando la decisione del Tribunale. Il punto centrale, la ratio decidendi, non era se l’incarico di amministratore fosse oneroso o meno, principio che non era in discussione. Il vero problema era la mancanza di prova dell’attività concretamente esercitata. Il Tribunale non aveva negato che l’amministratore avesse ricoperto la carica, ma aveva ritenuto che la società non avesse dimostrato cosa avesse fatto e come lo avesse fatto.

La Genericità delle Prove Testimoniali

La Corte ha inoltre validato la decisione del Tribunale di non ammettere le prove per testimoni. I capitoli di prova proposti sono stati giudicati estremamente generici sia riguardo ai periodi temporali, sia riguardo alle specifiche attività svolte. Frasi come “gestione e coordinamento di tecnici e imprese” o riferimenti a “molteplici questioni amministrative” non sono state considerate sufficientemente dettagliate per costituire una prova valida. La ricorrente, secondo la Corte, si è limitata a riproporre i capitoli di prova senza confrontarsi criticamente con la motivazione articolata e puntuale del giudice di merito che ne aveva evidenziato la genericità.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha chiarito un principio fondamentale: mentre la carica di amministratore si presume onerosa, il diritto al compenso non sorge in astratto dalla sola nomina. Esso è la contropartita di una prestazione effettiva. Quando l’esecuzione di tale prestazione viene contestata, spetta a chi richiede il compenso fornire la prova concreta delle attività svolte. Non è sufficiente affermare di aver ricoperto un ruolo; bisogna dimostrare di averlo esercitato attivamente. La ricorrente non ha colto il nucleo della decisione del Tribunale, che non metteva in dubbio la nomina, ma l’assenza di prove sull’attività. Il ricorso è stato quindi giudicato inammissibile per non aver centrato e criticato la vera ragione della decisione impugnata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Amministratori

Questa ordinanza offre un monito importante per tutti gli amministratori di società. Per tutelare il proprio diritto al compenso, specialmente in contesti di crisi aziendale o fallimento, è essenziale documentare meticolosamente la propria attività. Non basta fare affidamento su verbali di nomina o delibere assembleari che stabiliscono il compenso. È cruciale conservare traccia di decisioni, progetti seguiti, trattative condotte e, in generale, di ogni attività gestionale significativa. In caso di contenzioso, questa documentazione diventerà la prova indispensabile per dimostrare che il compenso richiesto è giustificato da un lavoro concreto e non da una mera posizione formale.

Per ottenere il compenso come amministratore di una società, è sufficiente dimostrare di essere stati nominati?
No. Secondo l’ordinanza, sebbene l’incarico si presuma oneroso, la semplice prova della nomina non è sufficiente se viene contestata l’effettiva attività svolta. Il creditore ha l’onere di dimostrare concretamente le attività gestionali prestate.

Perché la Corte ha ritenuto inammissibili le prove testimoniali proposte dalla società ricorrente?
Le prove testimoniali sono state giudicate inammissibili a causa della loro estrema genericità. I capitoli di prova non specificavano in modo dettagliato né il periodo temporale né le attività concrete svolte dall’amministratore, risultando quindi inidonei a fornire la prova richiesta.

Qual è il principio fondamentale ribadito dalla Corte di Cassazione in questa ordinanza riguardo alla prova del compenso dell’amministratore?
Il principio fondamentale è che il diritto al compenso dell’amministratore è la contropartita di una prestazione effettiva. Di conseguenza, chi richiede il pagamento deve essere in grado di fornire una prova specifica e dettagliata dell’attività concretamente svolta, non potendo fare affidamento esclusivamente sulla prova della nomina alla carica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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