SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA N. 1270 2025 – N. R.G. 00000808 2022 DEPOSITO MINUTA 14 07 2025 PUBBLICAZIONE 14 07 2025
N. R.G. 808/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA
Terza Sezione Civile
La Corte di Appello nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 808/2022 promossa da:
(C.F.
, con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOME e
dell’avv. , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 43121 PARMApresso il difensore avv. COGNOME NOME
(C.F.
),
con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOME e
dell’avv. , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 43121 PARMApresso il difensore avv. COGNOME NOME
(C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOME e dell’avv. , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 43121 PARMApresso il difensore avv. COGNOME NOME C.F.
(C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOME e dell’avv. , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 43121 PARMApresso il difensore avv. COGNOME NOME C.F.
APPELLANTE
contro
(C.F.
),
APPELLATO CONTUMACE
QUALE MANDATARIA DI
) (C.F.
), con il P.
C.F.
C.F.
P.
1.
patrocinio dell’avv. COGNOME e dell’avv. , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO PARMApresso il difensore avv. COGNOME
APPELLATO
In punto a: appello avverso la sentenza n. 526 del 2022 del Tribunale di Parma, publicata il 23 marzo 2022.
Conclusioni come da note
Motivi della decisione
,
,
E
proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1708/2018, emesso dal Tribunale di Parma in data 5/10/2018 in favore di
(già
) per il pagamento della somma di € 705.501,82 oltre interessi come da domanda e spese di lite.
2. In particolare, gli opponenti evidenziavano che nei rapporti posti a fondamento della pretesa azionata in sede monitoria da parte di ovvero a) apertura di credito in C/C ipotecario n. 35657565 del 28/12/2009 fino ad € 500.000, b) C/C n. 6815728 del 28/09/1990, c) C/C n. 35658373 del 27/01/2010) vi erano stati addebiti illegittimi per: – violazione del divieto di anatocismo, ai sensi dell’art. 1283 c.c. (prima della delibera CIRC del 9/02/2000) e per difetto di specifica approvazione scritta della capitalizzazione infrannuale reciproca (dopo la delibera CIRC del 9/02/2000); -applicazione di tassi di interesse indeterminati ed indeterminabili per rinvio ai c.d. ‘usi piazza’; -applicazione di interessi usurari e di oneri finanziari non pattuiti.
3.
Inoltre, gli opponenti facevano valere la nullità della fideiussione prestata da , E per rispondenza al modello ABI e, quindi, violazione dell’art. 2 della normativa antitrust.
4. Gli opponenti domandavano in via preliminare la sospensione della procedura per l’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione (d.lgs. n. 28 del 4/03/2010). Inoltre, in via principale domandavano la revoca del d.i. opposto e la ripetizione di quanto indebitamente percepito da parte di o comunque la rideterminazione del saldo debitore.
5. Si costituiva in giudizio parte opposta, la quale eccepiva la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto e domandava il rigetto di tutte le pretese avversarie.
6. Il giudice accoglieva l’istanza di sospensione della provvisoria esecutività del d.i. opposto nei confronti di , mentre rigettava l’istanza di sospensiva con riferimento ai fideiussori (obbligati entro l’importo garantito di € 62.500,00).
7. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così disponeva:
TABLE
TABLE
-pone le spese di CTU definit tt rni in ragione di 1/3 ciascuna (1/3 in capo al debitore, 1/3 in capo ai fideiussori, 1/3 in capo all’istituto di credito).
8. Con riferimento alla domanda monitoria, il Tribunale rilevava che in atti erano presenti i contratti di conto corrente del rapporto del 1990 (v. doc. 6 fascicolo monitorio) e del 2010 (v. doc. 9 fascicolo monitorio) ed il contratto di apertura di credito del rapporto del 2009 (v. doc. 3 fascicolo monitorio), mentre nella ricostruzione dei rapporti di debito-credito il CTU aveva dato atto che gli estratti prodotti
in atti da presentavano alcune discontinuità.
In particolare, rispetto al rapporto risalente al 1990 la banca aveva prodotto gli estratti conto solo a far data dal 1994 e per 240 mensilità su un totale complessivo di 334 mensilità; quanto agli altri due rapporti, la documentazione cominciava regolarmente a decorrere dall’apertura, ma in seguito risultava carente di alcuni documenti che ne interrompevano la sequenza temporale ( ndr. rispetto al rapporto del 2009, su un totale di 103 mensilità ne erano state prodotte 89 e, per il rapporto del 2010, su un totale di 102 mensilità se ne aveva evidenza solo di 85).
In ragione di ciò, nella relazione di CTU il consulente aveva dato conto degli strumenti di raccordo utilizzati per la rideterminazione del saldo, invero ‘ la circostanza che registra fra le produzioni attoree la mancanza di diversi estratti conto analitici sin dall’apertura del conto, impone di non considerare l’eventuale saldo debitorio riportato nel primo estratto conto disponibile. Non potendo infatti ricostruire la serie di movimenti (attivi e passivi) che ha determinato quel dato saldo, il CTU è stato espressamente autorizzato a considerare pari a zero il primo saldo negativo disponibile. Viceversa, quando la mancanza di documenti è intermedia e quindi l’interruzione non permette di ricostruire tutti i movimenti (attivi e passivi) che hanno determinato il saldo successivo all’interruzione, la ripresa non determinerà nuovamente il saldo pari a zero, ma verrà preso in considerazione quello più favorevole per il cliente. Ogni saldo positivo per il cliente rappresenta un debito per la banca e di converso ogni saldo negativo per il cliente rappresenta un credito per la banca. Nel caso in esame è la banca (attrice in senso sostanziale) ad aver prodotto l’intera documentazione contabile. Fatte queste premesse, ove la produzione di una sequenza di estratti conto negativi (per il cliente) venga interrotta e riprenda con un saldo ‘migliorativo’ (per il cliente), la situazione verrà considerata per come appare, dato che
giuridicamente la circostanza denota una ricognizione di debito della banca nei confronti del proprio cliente. Viceversa, ove la produzione di una sequenza di estratti conto venga interrotta e riprenda con un saldo ‘peggiorativo’ (per il cliente), la situazione non potrà essere considerata per come appare, dato che la banca attrice con i suoi estratti conto mancanti non ha potuto dimostrare come sia pervenuta a questo suo maggior credito .’
Secondo il Tribunale, tale metodo era logico e ragionevole; inoltre, la considerazione del saldo zero era in linea con la consolidata giurisprudenza in materia.
9. Con riferimento a spese e commissioni non pattuite, il CTU aveva rilevato la carenza di pattuizione di oneri accessori (spese di istruttoria, commissioni di massimo scoperto, commissioni di istruttoria veloce e commissione disponibilità fondi) rispetto a tutti i rapporti in causa ( cfr. relazione di CTU pp. 24 e 25). In particolare, quanto all’apertura di credito del 2009, il CTU aveva precisato che ‘ vi è un atto notarile a ministero del Notaio di Parma (rep. 28091 del 28/12/2009) che su quel rapporto di conto corrente determina un’apertura di credito pari ad € 500.000,00. E proprio l’atto notarile (art. 6) precisa espressamente l’esclusione di ogni applicazione di CMS ed altri oneri accessori. Pertanto, non avendo rinvenuto il contratto che disciplina l’apertura del conto, ovvero successive modifiche unilaterali apportate dalla banca ai sensi dell’art. 118 TUB, lo scrivente CTU non ha elementi per ritenere la corretta pattuizione di questi costi accessori del credito ‘.
10. Quanto alla violazione del divieto di anatocismo,
Secondo il tribunale, il ragionamento del CTU era pregevole e condivisibile, la capitalizzazione di interessi doveva pertanto essere espunta da tutti e tre i rapporti sia per il periodo antecedente all’anno 2000, in ragione delle pronunce Cass. nn. 1096 e 2374 /1999 che hanno completamente ribaltato l’assunto per cui le norme bancarie uniformi sarebbero usi normativi in grado di derogare al dettato dell’art. 1283 cod. civ. che, a far data dalla delibera CIRC del 9/02/2000 in quanto mai pattuita (o solo apparentemente pattuita v. rapporto del 2010) secondo la regola della pari periodicità, che rispetto al biennio 2014-2016, anni in cui la pratica era in ogni caso vietata ( cfr. Corte d’appello di Torino sent. n. 509/2019, Collegio di coordinamento ABF, 08 ottobre 2015, n. 7854, ordinanze del Tribunale di Milano del 25 marzo e del 3 aprile 2015).
11. Oggetto di contestazione da parte degli opponenti era anche l’applicazione di interessi indeterminati o indeterminabili per rinvio ai c.d. ‘usi piazza’ con conseguente nullità dei tassi praticati ex art. 117, VI comma, TUB.
Nella relazione di CTU si evinceva che l’unico contratto contenente una valida pattuizione di interessi era quello del 2009 (v. relazione di CTU pag. 34), il cui ammontare, calcolato secondo il tasso stabilito nel contratto (‘ Euribor 360 a tre mesi calcolato sul valore medio del mese precedente l’inizio di ogni
15.
singolo trimestre, rilevato il 1° gennaio, 1° aprile, 1° luglio e 1° ottobre di ogni anno, con una maggiorazione di punti 1,80 ) era pari ad € 77.566,54.
Viceversa, il contratto di conto corrente del 1990 faceva espresso rinvio agli usi piazza.
In proposito, come correttamente rilevato anche dal CTU e confermato in Corte Costituzionale ord. n. 338/2009, per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della Legge n. 154/1992 non poteva trovare applicazione la sostituzione automatica dei tassi nulli con i tassi BOT emessi nei dodici mesi precedenti di cui all’art. 117 TUB, trovando, viceversa applicazione, la disciplina degli interessi legali di cui all’art. 1284 c.c. Cosicché, il ricalcolo degli interessi al tasso sostitutivo legale aveva de terminato un ammontare pari ad € 13.055,44.
Rispetto al rapporto del 2010, il CTU aveva osservato come ‘ da un’analisi degli estratti scalari messi a disposizione del perito (si rileva come) il tasso debitore pattuito in misura del 12,000% abbia nel tempo subito (le seguenti) variazioni Da quanto si è visto la banca ha sistematicamente provveduto a modificare i tassi ogni trimestre, senza peraltro darne comunicazione scritta al cliente. …
A parere di chi scrive questo tipo di contratto appare a tutti gli effetti indeterminato ed indeterminabile. L a sanzione per questo tipo di omissione è quella prevista dall’art. 117 del TUB vigente all’epoca della stipula del contratto: applicare il tasso nominale dei buoni ordinari del tesoro emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto. ‘ Cosicché, applicando il tasso BOT, gli interessi dovuti alla banca ammontavano ad € 4.511,01.
12. Con riferimento alla lamentata usura, essa era da escludere, quanto al rapporto sorto nel 1990 e a quello sorto nel 2010, in quanto l’applicazione di tassi di legge escludeva in radice la usurarietà dei tassi medesimi, e quanto al rapporto del 2009, in quanto il CTU ne aveva escluso la ricorrenza in concreto.
13. In conclusione, fatta applicazione del criterio del saldo zero e tenuto conto dell’interruzione della sequenza temporale degli estratti conto depositati, espunti costi e interessi illegittimamente addebitati al il CTU aveva rideterminato la posta creditoria in € 546.238,22 (a fronte della somma ingiunta di € 705.501,84).
14.
La divergenza tra la somma ingiunta e la legittima pretesa creditoria di impone
la revoca del decreto ingiuntivo opposto nei confronti di
.
Con riferimento invece ai fideiussori
,
(v. doc. 12 fascicolo monitorio), la cui ingiunzione risultava emessa nei limiti di € 62.500,00, il debito degli stessi nei confronti dell’istituto di credito non era in alcun modo intaccato dalla rideterminazione di cui infra.
16. Ciò posto, il Tribunale riteneva nella fattispecie infondata la domanda di liberazione dei fideiussori per nullità della fideiussione prestata in data 08.06.2011 dagli stessi per conformità al modello ABI e violazione della normativa antitrust. Difatti, posto che non erano stati prodotti il modello ABI ed il
provvedimento della da cui poter inferire la sovrapponibilità tra le clausole dichiarate in violazione della normativa ANTITRUST e le clausole di cui alla fideiussione, il trivunale aderiva all’orientamento della eventuale nullità parziale della fideiussione con conseguente sostituzione della clausola fideiussoria con la disciplina normativamente prevista.
Nella fattispecie, però, risulta l’assenza di alcuna allegazione tale da far ritenere la liberazione dei fideiussori nell’ipotesi di sostituzione delle clausole ritenute conformi al modello ABI con quelle normativamente previste, essendo la questione stata proposta genericamente e in termini di mero principio.
17. Nei confronti dei fideiussori il decreto ingiuntivo doveva pertanto essere confermato.
18. Proponevano appello e
19. Col primo motivo si dolevano del fatto che il tribunale non avesse ritenuto il difetto di prova tout court del credito azionato, facendo, invece, erronea applicazione del principio del c.d. saldo zero.
20. Col secondo motivo veniva dedotta la nullità integrale o parziale della fideiussione sottoscritta dalle appellanti e in quanto contenente clausole riproduttive di quelle previste dallo schema ABI e dichiarate nulle dal provvedimento della (n. 55/2005).
21. Si costituiva in giudizio e per essa la mandataria nella qualità di cessionaria del credito azionato in virtù di cessione di crediti pro soluto in blocco, come da avviso pubblicato nella G.U. della Repubblica Italiana, Parte Seconda n.149 del 16 dicembre 2021.
22. Non si costituiva l’appellata , di cui occorre dichiarare la contumacia.
23. Nelle successive difese parte appellante contestava la titolarità del credito in capo alla parte costituitasi in giudizi o nella qualità di cessionaria del credito, contestando addirittura l’esistenza stessa del contratto di cessione (si veda la comparsa conclusionale)
24. Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione di tardività del deposito della comparsa conclusionale da parte degli appellanti, deposito avvenuto in data 29 ottobre 2024. Il termine ex art. 190 c.p.c. decorreva, nella fattispecie, dalla comunicazione della ordinanza di trattenimento in decisione, avvenuta in data 30 agosto 2024, e scadeva, dunque, anche tenuto conto della sospensione feriale dei termini, in data 31 ottobre 2024 (in ogni caso, facendo decorrere i sessanta giorni dal 30 agosto, il termine sarebbe scaduto il 29 ottobre e dunque la comparsa sarebbe, comunque, stata depositata l’ultimo giorno utile).
25. Deve, altresì, darsi atto del fatto che ogni doglianza di parte appellante, già accolta quantomeno in parte dal primo giudice, non risulta, ancorché ribadita nella presente sede nelle conclusioni dell’atto di appello, sorretta da alcuna argomentazione o censura specifica alla sentenza.
Ne consegue che, fatta salva la disamina del primo motivo di gravame, unicamente fondato sulla ritenuta erroneità dell’applicazione del principio del c.d. saldo zero, ogni altra statuizione afferente alla rideterminazione del saldo dei rapporti bancari dedotta in giudizio, deve ritenersi passata in giudicato.
26. Il primo motivo di gravame è infondato.
Secondo parte appellante, le lacune nella sequenza degli estratti conto dei rapporti bancari inter partes avrebbe dovuto determinare il rigetto tout court della azione monitoria per difetto di prova del credito azionato nella sua interezza.
L’assunto è infondato.
Nel paragrafo 8 della presente motivazione si riporta il passo della relazione di CTU, in cui il consulente dà atto della metodologia applicata in caso di lacuna sia iniziale sia intermedia della sequenza degli estratti conto.
Il consulente ha fatto corretta applicazione dei principi in materia, come affermati dalla Suprema Corte nella recente Sez. 1, Sentenza n. 1763 del 17/01/2024 (Presidente: COGNOME Estensore: ):
‘In tema di rapporti bancari regolati in conto corrente, ove la banca agisca in giudizio per il pagamento dell’importo risultante a saldo passivo ed il correntista chieda, a sua volta, la rideterminazione del saldo, concludendo per la condanna dell’istituto di credito a pagare la differenza in proprio favore o per l’accoglimento della domanda principale in misura inferiore, l’eventuale carenza di alcuni estratti conto o, comunque di altra documentazione che consenta l’integrale ricostruzione dell’andamento del rapporto, comporta che: a) per quanto riguarda la banca, il calcolo del dovuto potrà farsi: a.1) nell’ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all’inizio del rapporto azzerando il saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (ove quest’ultimo non coincida, appunto, con il primo estratto del rapporto) e procedendo, poi, alla rideterminazione del saldo finale utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura del conto o alla data della domanda; a.2) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, azzerando i soli saldi intermedi, intendendosi con tale espressione che non si dovrà tenere conto di quanto eventualmente accumulatosi nel periodo non coperto da documentazione, sicché si dovrà ripartire, nella prosecuzione del ricalcolo, dalla somma che risultava a chiusura dell’ultimo estratto conto disponibile ‘.
Dunque, la pronuncia afferma espressamente che, in caso di interruzione della sequela degli estratti conto (lacuna intermedia), la soluzione deve essere la seguente, ai fini della ricostruzione del saldo di conto corrente: ‘a.2) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, azzerando i soli saldi intermedi, intendendosi con tale espressione che non si dovrà tenere conto di quanto eventualmente accumulatosi nel periodo non coperto da documentazione, sicché si dovrà ripartire, nella prosecuzione del ricalcolo, dalla somma che risultava a chiusura dell’ultimo estratto conto disponibile’.
Nel caso di specie, il CTU, come si evince dalla sua relazione, ha adottato una soluzione ancora più favorevole al correntista, confermando il primo saldo disponibile, posto al termine del periodo
intermedio non documentato, laddove più favorevole al correntista di quello ultimo disponibile, posto immediatamente prima del periodo intermedio non documentato, e tenendo conto, invece, soltanto di quest’ultimo, laddove fosse il medesimo più favorevole al correntista.
Deve dunque confermarsi la determinazione del quantum del credito, così come operata dal primo giudice.
27. Il secondo motivo di appello è infondato.
Infondato è il secondo motivo di gravame, in quanto incentrato sulla pretesa nullità integrale della fideiussione omnibus per conformità al modello ABI.
Parte appellante ha chiesto dichiararsi la nullità della fideiussione omnibus prestata, costituente titolo della propria responsabilità solidale, in quanto contenente clausole nulle, in violazione del divieto di intese restrittive la concorrenza ex art. 2 L. 287/1990 (cd. Legge antitrust).
Sul punto, la Corte di cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia n. 41994/2021 si è espressa nel senso di ritenere la nullità parziale della fideiussione:
‘I contratti di fideiussione ‘a valle’ di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. A) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti’.
Nella motivazione della sentenza la Corte ha inoltre precisato la sussistenza, a carico dell’eccipiente, dell’onere della prova dell’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale:
‘Va osservato che la regola dell’art. 1419, primo comma, c.c. ignota al codice del 1865, come pure al code civil, provenendo dall’esperienza tedesca insieme agli analoghi principi rinvenibili negli artt. 1420 e 1424 c.c., enuncia il concetto di nullità parziale ed esprime il generale favore dell’ordinamento per la «conservazione», in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale. Da ciò si fa derivare il carattere eccezionale dell’estensione della nullità che colpisce la parte o la clausola all’intero contratto, con la conseguenza che è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto. ……. La nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende, pertanto, all’intero contratto, o a tutta la clausola, solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità. …Agli effetti dell’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 1419 c.c., vige, infatti, la regola secondo cui la nullità parziale non si estende all’intero contenuto della disciplina negoziale, se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti, secondo quanto accertato dal giudice. Per converso, l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata.’
La Suprema Corte ha, dunque, affermato che spetta alla parte che invoca la nullità integrale del contratto provare che la nullità parziale delle singole clausole travolge tutto il contratto, stante la correlazione inscindibile delle clausole illecite con le altre in sé lecite.
Tale onere non è stato adempiuto, nel caso di specie.
A prescindere da ogni altra considerazione, parte appellante non ha dedotto né provato per quale motivo le parti contraenti avrebbero dovuto ritenere essenziale, ai sensi dell’art. 1419 c.c., la parte del contratto colpita da nullità.
In adesione a quanto affermato dalla Suprema Corte, in casi come quello di specie, deve escludersi che le parti contraenti potessero considerare essenziali le clausole nulle in modo da determinare l’estensione della nullità all’intero rapporto contrattuale.
In tal senso si vedano le considerazioni versate nella motivazione della sentenza e che di seguito si riportano:
‘Agli effetti dell’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 1419 c.c., vige, infatti, la regola secondo cui la nullità parziale non si estende all’intero contenuto della disciplina negoziale, se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti, secondo quanto accertato dal giudice. Per converso, l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata (Cass. 21/05/2007, n. 11673). 2.15.3. E tuttavia, tale ultima evenienza è di ben difficile riscontro nel caso in esame. Ed invero, avuto riguardo alla posizione del garante, la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI ha certamente prodotto l’effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione. D’altro canto, però, il fideiussore (nel caso di specie socio della società debitrice principale) – salvo la rigorosa allegazione e prova del contrario – avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, anche senza le clausole predette, essendo una persona legata al debitore principale e, quindi, portatrice di un interesse economico al finanziamento bancario. Osserva – al riguardo – il provvedimento n. 55/2005 che il fideiussore è normalmente cointeressato, in qualità di socio d’affari o di parente del debitore, alla concessione del finanziamento a favore di quest’ultimo e, quindi, ha un interesse concreto e diretto alla prestazione della garanzia. Al contempo, è del tutto evidente che anche l’imprenditore bancario ha interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole a lui favorevoli, attesa che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti’.
In sostanza, secondo la Suprema Corte, di norma, il legame patrimoniale o parentale del fideiussore col debitore principale induce a ritenere che il fideiussore avrebbe, in ogni caso, prestato la garanzia, anche senza le clausole nulle: parte appellante non ha offerto prova contraria sul punto.
Deve conclusivamente escludersi che la nullità delle clausole, riproducenti il contenuto delle clausole 2, 6 e 8 del modello ABI, implichi la nullità dell’intera fideiussione.
Ne consegue il rigetto dell’eccezione di nullità integrale delle fideiussioni dedotte in giudizio.
In ogni caso, la nullità delle clausole predette non preclude l’azione fondata sui diritti nascenti dalla fideiussione, in mancanza della rituale e tempestiva proposizione di eccezioni fondate sulla specifica invalidità delle predette clausole nulle o comunque logicamente presupponenti tale invalidità.
28. Quanto alla eccepita mancanza di titolarità del credito in capo a
si è limitata alla produzione in giudizio dell’avviso pubblicato nella G.U. della Repubblica Italiana, Parte Seconda n.149 del 16 dicembre 2021.
Non vi sono altre produzioni finalizzate alla prova della titolarità del credito in capo alla pretesa cessionaria.
La Corte di Cassazione ha costantemente (v. Cass. n. 28790/2024, n. 17944/2023) ed anche recentemente chiarito (v. Cass. n. 391/2025) che, ove una delle parti del giudizio venga ad agire nella veste di cessionaria ‘ in blocco ‘ di crediti e sul punto vengano mosse contestazioni dalla controparte, si deve operare una distinzione tra a) l’ipotesi in cui il debitore ceduto venga a contestare unicamente l’inclusione dello specifico credito vantato nei propri confronti tra quelli oggetto della cessione, dall’ipotesi b) in cui ad essere contestata sia l’esistenza stessa della cessione. Nel primo caso ( a) , infatti, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’Avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale ex art. 58 TUB, può costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano di ricondurre con certezza il credito litigioso tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento ‘ in blocco ‘, in base alle sue caratteristiche concrete (v. Cass. n. 17944/2023). In tal caso, infatti, in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato (in quanto i fatti non contestati devono considerarsi al di fuori del cd. thema probandum): il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione.
Diverso, invece, è il secondo caso ( b) , e cioè l’ipotesi in cui ad essere contestata (come nella fattispecie) sia la stessa esistenza della cessione, contestazione che investe un profilo che non concerne la legittimazione attiva del cessionario, bensì la titolarità in capo al medesimo del lato attivo dell’obbligazione, e cioè un profilo che, come tale, può essere verificato anche d’ufficio (Cass. SS.UU. n. 2951/2016; n. 11744/2018; n. 16814/2024; n. 391/2025, n. 2511/2025). In tal caso, è stato precisato ch e ‘ in presenza di una contestazione sullo stesso an della cessione, quest’ultima debba essere oggetto di adeguata prova (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 17944 del 22/06/2023; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5478 del 2024) e che tale prova, pur non dovendo essere necessariamente scritta – potendosi ricorrere a qualunque mezzo di prova, anche indiziario, da ciò derivando l’operatività, in assenza di contestazione, dell’art. 115 c.p.c. -non può tuttavia essere costituita esclusivamente dall’avviso ex art. 58 TUB, avendo lo stesso la sola funzione di esentare il cessionario dalla notifica della cessione al debitore ceduto, ma non anche dalla prova dell’avvenuta cessione’ (così in motivazione Cass. n. 391/2025 cit.).
In sintesi, l’Avviso in G.U. può costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito
oggetto di contestazione, laddove non sia contestata l’esistenza della cessione stessa e contenga indicazioni sufficientemente precise. Invece se è contestata l’esistenza della cessione, come nel caos di specie, per provare il contratto non è sufficiente la pubblicazione dell’Avviso in G.U., ma occorre la produzione in atti dell’atto negoziale: ‘ la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima ” (così espressamente Cass. n. 17944/2023). Difatti, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 c.c., quanto meno nel caso in cui sul punto il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione. Ancora recentemente la Corte di cassazione, si è occupata di un caso sovrapponibile a quello oggetto del presente giudizio, ribadendo che, a fronte dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva, ha escluso che la produzione dell’Avviso in G.U. non accompagnata dalla produzione in giudizio anche del contratto di cessione -valga ad assolvere all’onere probatorio (v. Cass. n. 13289/2024) ( 1 ).
Ricostruito il quadro giurisprudenziale e venendo alla fattispecie, la Corte osserva che nel caso di specie gli appellanti hanno contestato la sussistenza stessa della cessione; il deposito da parte della cessionaria dell’Avviso in G.U., assolve al solo requisito della “notificazione” della cessione al debitore ceduto, necessario ai fini dell’efficacia della cessione stessa nei confronti di quest’ultimo e dell’esclusione del carattere liberatorio dell’eventuale pagamento dal medesimo effettuato in favore del cedente, ma non anche la prova del concreto trasferimento della titolarità del credito.
I n ogni caso, nella fattispecie, difettano i presupposti ravvisati dalla suprema corte per l’attribuzione all’avviso in g.u. della piena valenza probatoria in ordine alla cessione del credito azionato in giudizio. Si veda Sez. 3 – , Sentenza n. 4277 del 10/02/2023 : ‘ In caso di cessione “in blocco” dei crediti da parte di una banca ex art. 58 d.lgs. n. 385 del 1993, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che rechi l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti “in blocco” è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno dei rapporti oggetto della cessione, allorché gli elementi che accomunano le singole categorie consentano di individuarli senza incertezze; resta comunque devoluta al giudice di merito la valutazione dell’idoneità asseverativa, nei termini sopra indicati, del suddetto avviso, alla stregua di un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità in mancanza dei presupposti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
N el caso di specie, le categorie di crediti descritti nell’avviso in g.u. presentano un livello di genericità tale da precludere la riconducibilità a tali categorie dei rapporti bancari dedotti in giudizio.
C iò è tanto più vero se si considera che l’avviso in g.u. fa espresso rinvio ai fini della precisa individuazione del singolo credito ceduto al ‘ documento di identificazione dei crediti allegato al rispettivo Contratto di Cessione’: ‘ In virtù dei Contratti di Cessione, la Società ha acquistato pro soluto dalle Banche Cedenti, tutti i crediti pecuniari (derivanti, tra le altre cose, da finanziamenti ipotecari e/o chirografari o da contratti di leasing risolti) che siano stati individuati nel relativo ‘docume nto di identificazione dei crediti allegato al rispettivo Contratto di Cessione e che siano vantati verso debitori classificati a sofferenza (collettivamente, i “Crediti”).
Ebbene, nel presente giudizio non sono stati prodotti né il contratto di cessione né l’allegato documento di identificazione dei crediti.
Tale mancata allegazione documentale preclude ogni certezza nella possibile riconduzione dei crediti azionati in giudizio alle categorie di crediti oggetto della cessione, così come individuate nell’avviso in G.U..
Deve pertanto escludersi che in giudizio sia stata provata la titolarità del credito in capo alla parte qualificatasi come cessionaria.
29. La soccombenza implica la condanna di al rimborso in favore di parte appellante delle spese del grado, che si liquidano come da dispositivo sulla base dei parametri forensi di cui al DM 55/2014, in conformità ai valori medi dello scaglione di riferimento, ad esclusione della fase istruttoria non svolta.
30. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla Legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a norma dello stesso art. 13, comma 1
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
I
–
dichiara la contumacia di
;
II – rigetta l’appello e conferma la sentenza appellata;
III -dichiara il difetto di titolarità del credito in capo a rappresentata in giudizio da
IV – condanna rappresentata in giudizio da
alla refusione in
favore di
,
,
E
delle spese del grado , che liquida in € 14.000,00 per compenso, oltre al 15% di spese forfettarie ed oltre accessori di legge.
V – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla Legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.
Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno 8 luglio 2025.
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