Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15088 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15088 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23552/2022 r.g. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata (EMAIL elettivamente domicilia.
-ricorrente contro
RAGIONE_SOCIALE (quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE unipersonale), con sede in Milano, alla INDIRIZZO in persona della procuratrice speciale NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’Avvocato NOME COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata (EMAIL elettivamente domicilia.
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE
–
intimati –
avverso la sentenza, n. cron. 276/2022, della CORTE DI APPELLO DI ANCONA depositata in data 17/03/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 30/05/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Banca dell’Adriatico s.p.a. ottenne dal Tribunale di Pesaro un’ingiunzione di pagamento, provvisoriamente esecutiva, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, quale obbligata principale, nonché di NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, quali suoi fideiussori, per l’importo di € 872.107,73, da limitarsi, quanto ai fideiussori, alla somma di € 750.000,00 oltre interessi convenzionali nella misura e con la decorrenza ivi specificamente indicate, a titolo di saldo negativo di un conto corrente, assistito da apertura di credito, intrattenuto con la prima dalla menzionata società debitrice principale.
Quest’ultima, il COGNOME ed il COGNOME proposero tempestiva opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso quel decreto, chiedendone, previa sospensione della provvisoria esecutorietà, la revoca stante l’insussistenza o, comunque, l’eccessiva quantificazione del credito azionato.
Si costituì la Banca dell’Adriatico s.p.a., resistendo alle pretese di controparte e sostenendo l’impossibilità per i garanti di sollevare eccezioni con riferimento al rapporto principale, unitamente alla legittimità di tutti gli oneri annotati sui conti correnti.
Disposta la riunione di questo procedimento a quello incardinato dal COGNOME contro il medesimo decreto, il giudizio, dopo il sopravvenuto fallimento della debitrice principale, proseguì a seguito della corrispondente istanza del Rossi del 13 novembre 2017.
Successivamente, l’adito tribunale, con sentenza n. 101/2018: i ) revocò il decreto ingiuntivo opposto, siccome portante un credito parzialmente inesistente; ii ) condannò NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME,
in solido tra loro, al pagamento, in favore di Banca dell’Adriatico s.p.a., dell’importo di € 687.464,32, oltre interessi dalla data della domanda al saldo.
2. Pronunciando sui separati gravami promossi, contro quella decisione, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME l’adita Corte di appello di Ancona li riunì e, con sentenza del 17 marzo 2022, n. 276, resa nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE unipersonale, ivi intervenuta, tramite la mandataria RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria in blocco dei crediti già di Banca dell’Adriatico s.p.a., e nella contumacia di Intesa Sanpaolo s.p.a. (a sua volta incorporante Banca dell’Adriatico s.p.a.) e di En zo COGNOME, così dispose: « In accoglimento degli appelli proposti, dichiara l’inammissibilità della costituzione in giudizio di RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo procuratore speciale RAGIONE_SOCIALE, per carenza di legittimazione e titolarità del credito dedot to in giudizio; condanna l’intervenuta RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo procuratore speciale RAGIONE_SOCIALE, alla refusione delle spese di lite del grado di appello, che liquida in favore di ciascun appellante NOME e COGNOME NOME in complessivi €. 17.628 , oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettario al 15% sulle voci imponibili di legge; autorizza la distrazione delle spese ex art. 93 c.p.c. in favore dell’Avv. NOME COGNOME.
Quella corte scrutinò, preliminarmente, l’eccezione concernente la costituzione di RAGIONE_SOCIALE unipersonale, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 cod. proc. civ. in forza di un contratto stipulato ai sensi degli artt. 4 e 7.1 della legge 30 aprile 1999, n. 130, in data 20 aprile 2018 e con effetto giuridico dal successivo 23 aprile 2018, avente ad oggetto la cessione pro soluto dei crediti pecuniari in sofferenza interessati da operazioni di cartolarizzazione e detenuti da Intesa Sanpaolo s.p.aRAGIONE_SOCIALE (incorporante Banca dell’Adriatico s.p.a.), tra i quali asseritamente quelli oggetto del presente giudizio, come vantati da essa cedente nei confronti di tutte le altre parti in causa.
Gli appellanti, solo nelle rispettive comparse conclusionali, avevano sostenuto la carenza di titolarità del credito e di legittimazione processuale in capo a RAGIONE_SOCIALE in persona della sua rappresentante RAGIONE_SOCIALE
s.p.a., sul presupposto che non potesse costituire piena prova del diritto di credito in questione l’avviso di cessione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, in mancanza di produzione del contratto di cessione.
La difesa della cessionaria intervenuta, di contro, aveva replicato rimarcando la tardività dell’eccezione, risultando RAGIONE_SOCIALE costituita fin dalla fase inibitoria e ravvisando il motivo della mancata costituzione dell’appellata Intesa Sanpaolo proprio nella perdita della titolarità del credito; inoltre, la proposizione di difese nel merito ad opera degli appellanti e l’iniziale mancanza di specifica eccezione costituiva, a suo dire, implicito riconoscimento della legittimazione sostanziale della cessionaria, comunque sussistente nel merito in considerazione della produzione dell’avviso di cessione in cui risultavano riportate le categorie dei crediti ceduti.
La corte dorica accolse l’appena descritta eccezione, innanzitutto osservando, « oltre alla rilevabilità d’ufficio, in ogni stato e grado, della carenza della legittimazione ad agire, attenendo essa al diritto di azione che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare (cfr. Corte di Cassazione Sez. Unite civili, sentenza n. 2951 del 16.02.2016), come gli adempimenti pubblicitari previsti dall’art. 58, commi 2, 3 e 4, TUB rivestano carattere sostitutivo rispetto alla sola notificazione della cessione al debitore ceduto o alla sua accettazione, di cui alla norma dell’art. 1264 c.c., a tenore della quale la cessione produce effetti nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o gli sia stata notificata e, nel caso di specie, l’eseguita pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione di crediti pro soluto assolve perfettamente alla funzione di sostituire, per il cessionario, l’onere della notificazione suddetta, ma non anche quella di provare l’ esistenza del credito oggetto di causa e la sua effettiva cessione ».
Richiamò, poi, gli insegnamenti di Cass. n. 4116 del 2016, Cass. n. 22268 del 2018, Cass. n. 2780 del 2019, opinando, in linea generale, che « Di conseguenza, è certamente non sufficiente – ai fini della prova della sussistenza della contestata legittimazione la pubblicazione dell’avviso di cessione, atteso che, anche per la giurisprudenza della Suprema Corte,
l’adempimento pubblicitario ha una portata ben più modesta rispetto a quella di provare il fatto costitutivo della titolarità del credito, in quanto la pubblicazione interviene – in via di sostituzione – solo in relazione al disposto del comma 2 dell’art. 1264 c.c., con l’unica funzione di impedire l’eventualità di pagamenti liberatori, per il caso che il ceduto versi, nonostante la sopravvenuta cessione, la propria prestazione nelle mani del cedente. Ed infatti, la norma dell’art. 58, comma 4, si limita a stabilire che la pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale fissa il giorno a decorrere dal quale il pagamento fatto nelle mani del cedente comunque non libera il ceduto (cfr. Cass., 25 settembre 2018, n. 22548) e si applica nel caso in cui una cessione rilevante esista, ma non dimostra affatto che la stessa esista. D’altro canto, la disposizione del citato art. 58 si limita a prescrivere che venga data la notizia di avvenuta cessione, fissando la sola enunciazione di essa come contenuto minimo essenziale della pubblicazione, che certamente non dà contezza in questa sua minimale struttura informativa- degli specifici e precisi contorni dei crediti che vi sono inclusi ovvero esclusi, salvo che l’inserzione in G.U. rechi indicazioni sufficientemente analitiche e chiare atte a provare che ‘il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta (in relazione, prima di ogni altra cosa, al necessario rispetto del principio di determinatezza dell’oggetto e del contenut o contrattuale ex art. 1346 cod. civ), sui crediti inclusi/esclusi dall’ambito della cessione’ (Corte di Cassazione, prima sez. civile, ordinanza n.5617 del 28.02.2020): ciò in quanto la disposizione in esame non vieta che comunicazione relativa alla cessione da pubblicare in Gazzetta contenga più diffuse e approfondite notizie ».
Infine, tornando ad occuparsi della fattispecie concreta, rimarcò che, « dalla produzione documentale, non emerge la prova che lo specifico credito oggetto di causa sia compreso tra quelli oggetto di cessione, non reputando la Corte sufficiente la pur avvenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione di crediti ad assolvere all’onere probatorio di esistenza del credito e ritenendolo invero realizzabile solo con la produzione in giudizio del contratto di cessione, tuttavia non rinvenuto in atti, né potendo soccorrere
l’indicazione delle categorie di crediti oggetto di cessione, in ragione della sua inidoneità ad individuare con certezza l’oggetto della cessione a causa del generico riferimento a crediti derivanti ‘da contratti di mutuo, di apertura di credito o da fina nziamenti erogati in altre forme tecniche … e qualificati come attività finanziarie deteriorate’, come indicato nell’avviso di cessione prodotto. Né può cogliere nel segno l’argomentazione della difesa della cessionaria, secondo cui la dimostrazione dell’i nclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco sarebbe stata ‘implicitamente riconosciuta’ dagli appellanti, che anzi hanno espressamente contestato la carenza di legittimazione a stare in giudizio e, al di là della tempestività o meno della contestazione (comunque avvenuta nel primo atto difensivo utile e successivo al deposito dell’atto di intervento della cessionaria, ossia nelle rispettive comparse conclusionali), tale contegno processuale è del tutto incompatibile con il p reteso ‘riconoscimento’ di cui sopra ».
Per la cassazione di questa sentenza, NOME COGNOME ha promosso ricorso affidato ad un motivo. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE, tramite la propria rappresentante RAGIONE_SOCIALE, proponendo anche ricorso incidentale affidato a cinque motivi, a sua volta resistito dal COGNOME con controricorso ex art. 371, comma 4, cod. proc. civ. Sono rimasti solo intimati Intesa Sanpaolo s.p.a. e NOME COGNOME. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo del ricorso principale di NOME COGNOME, rubricato « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. », contesta alla corte di appello di non aver delibato i motivi di gravame proposti dal COGNOME. In sintesi, l’errore ascritto alla corte dorica, investita del compito di vagliare le specifiche doglianze articolate da quest’ultimo contro la decisione di primo grado, è consistito nell’avere omesso qualsivoglia deliberazione sul punto, concentrando unicamente la propria attenzione sulla questione, non incidente sul merito, attinente al difetto di legittimazione ad intervenire di RAGIONE_SOCIALE
1.1. Questa censura è manifestamente fondata, posto che, come agevolmente emerge dal complessivo testo della sentenza oggi impugnata, la corte distrettuale, pur dando atto ( cfr . pag. 3-4) delle puntuali ragioni per cui il Rossi aveva chiesto la riforma della decisione del tribunale, non ha poi minimamente statuito sulle stesse, tutto il suo argomentare essendo stato rivolto esclusivamente allo scrutinio dell’eccezione di difetto di legittimazione ad intervenire di RAGIONE_SOCIALE
Resta solo da aggiungere che la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sussiste, tra l’altro, quando il giudice trascuri di esaminare una domanda od una eccezione ( cfr. ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 21444 del 2024; Cass. n. 19214 del 2023; Cass. n. 29952 del 2022; Cass. n. 12909 del 2004; Cass. n. 9644 del 2003). Nel caso di specie, pertanto, ricorre il suddetto vizio, avendo la corte d’appello omesso di provvedere sui motivi di gravame specificamente formulati dal Rossi come descritti nella stessa sentenza impugnata. Né può ipotizzarsi, nella specie, l’esistenza di una reiezione implicita di quei motivi, sul presupposto che, benché non espressamente trattati, gli stessi sarebbero incompatibili con la soluzione concretamente adottata sull’unica questione decisa dalla corte: è palese, infatti, che detta questione non presuppone, come suo necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza.
Postulando, infine, quei motivi accertamenti fattuali incompatibili con il giudizio di legittimità, il vizio così accertato impone comunque la cassazione con rinvio della medesima sentenza ( cfr . Cass. n. 17416 del 2023).
Ancor prima di procedere, poi, all’esame del ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE tramite la propria rappresentante RAGIONE_SOCIALE giova rimarcare che risultano pacifiche le seguenti circostanze: i ) la sentenza oggi impugnata è stata pubblicata il 17 marzo 2022 e non ne risulta l’avvenuta notificazione ad istanza di una delle parti (del tutto irrilevante, invece, si rivela, ai fini di cui all’art. 327 cod. proc. civ., la data 25 marzo 2022 -di sua comunicazione. Cfr., ex aliis , Cass. n. 19535 del 2024; Cass. n. 3372 del 2022); ii ) il ricorso principale del Rossi è stato
proposto con atto inviato per la notifica il 27 settembre 2022 e notificato in pari data; iii ) RAGIONE_SOCIALE si è costituita in questa sede, tramite la propria mandataria RAGIONE_SOCIALE con controricorso notificato alla controparte il 4 novembre 2022 e recante anche ricorso incidentale.
2.1. Nel caso di specie, dunque, quanto a quest’ultimo, si è al cospetto di una impugnazione promossa oltre il termine di sei mesi, maggiorato del periodo feriale, dalla pubblicazione della sentenza predetta, sancito dall’art. 327, comma 1, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis , modificato dalla legge n. 69 del 2009), scaduto il 18 ottobre 2022, in quanto proposta sotto forma, appunto, di ricorso incidentale unitamente al tempestivo deposito, in questa sede, del controricorso. L’ammis sibilità, o non, di una tale impugnazione richiede, quindi, di verificare l’applicabilità, o meno, alla concreta fattispecie, della norma di cui all’art. 334 cod. proc. civ. (che consente alle parti ivi indicate -cioè quelle ‘ contro le quali è proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 ‘ -la proposizione del ricorso incidentale, ex art. 371, comma 1, cod. proc. civ., contestualmente al controricorso, ‘ anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza ‘).
È utile rimarcare, allora, che, come ricordato dalla recente Cass., SU, n. 8486 del 2024 (anche se tanto non costituiva un aspetto sollecitato con l’ordinanza di rimessione, ma, tuttavia, risultava connesso a quello dei ‘ limiti soggettivi ‘ di tale forma di impugnazione, sicché se ne è ivi ritenuto opportuno il richiamo), con riguardo al tema dei limiti oggettivi dell’impugnazione incidentale tardiva, la giurisprudenza di questa Corte, dopo un lungo periodo in cui aveva imposto rigorosi confini oggettivi alla possibilità di esperire detta impugnazione, ritenendola ammissibile solo in quanto rimanesse nell’ambito del capo della sentenza investita dall’impugnazione principale o riguardasse un capo connesso con quest’ultimo o da questo dipendente a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, avviò un percorso di ripensamento, consacrato dalla pronuncia resa da Cass., SU, n. 4640 del 1989, con la quale venne enunciato il seguente principio di diritto: « L’art. 334 cod. proc. civ., che consente alla parte, contro
cui è stata proposta impugnazione (o chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 cod. proc. civ.), di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale ».
Con questa pronuncia si ritenne che: a ) la ratio dell’art. 334 cod. proc. civ. è una finalità ” transattivo-ritorsiva “: la norma, infatti, ha lo scopo di indurre la parte parzialmente vittoriosa a rinunciare all’impugnazione, per non correre il rischio che l’appellato o il controricorrente, attraverso l’impugnazione tardiva, possa rimettere in discussione anche le parti della sentenza favorevoli all’appellante o al ricorrente principale; b ) se questa è la ratio della norma, essa sarebbe frustrata se si impedisse all’appellato o al controricorrente di impugnare tardivamente anche capi di sentenza diversi da quelli impugnati in via principale, perché l’esigenza di favorire la definitiva composizione della lite, dissuadendo le parti dall’impugnazione, sussiste anche in questa ipotesi; c ) pertanto, l’interesse a proporre l’impugnazione tardiva non coincide con quello che sorge dalla mera soccombenza, ma è un interesse diverso e sorge dall’impugnazione altrui, ” che tende a modificare l’assetto di interessi che l’impugnato, in mancanza dell’altrui impugnazione principale, avrebbe accettato “.
Per effetto della sentenza appena ricordata, dunque, cadde il limite all’impugnazione incidentale tardiva rappresentato dalla identità o dipendenza tra il capo di sentenza impugnato dall’impugnante principale e quello impugnato dall’impugnante incidentale. A quest’ultimo, di conseguenza, si è consentito impugnare qualsiasi capo della sentenza, anche se diverso da quello investito dall’impugnazione principale ( cfr ., ad esempio, Cass., n. 14596 del 2020) e pure se autonomo rispetto a questo ( cfr . Cass. n. 26139 del 2022). È importante rimarcare che questo principio è stato
recepito nell’art. 96 del d.lgs. n. 104/2010 – che reca la nuova disciplina sul processo amministrativo -prevedendosi proprio, al comma 4, che « Con l’impugnazione incidentale proposta ai sensi dell’art. 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde o gni efficacia », impugnazione che la giurisprudenza amministrativa ha denominato come impugnazione incidentale t ardiva cd. ‘ impropria ‘.
Riepilogando, allora, può dirsi che l’impugnazione incidentale tardiva è consentita: a ) ai litisconsorti ex art. 331 cod. proc. civ., sia contro l’impugnante principale che contro altre parti; b ) al destinatario dell’impugnazione principale ( rectius : alla parte contro la quale è proposta impugnazione principale), contro l’impugnante principale ( cfr. Cass., SU, n. 4640 del 1989); c ) al destinatario dell’impugnazione principale ( rectius : alla parte contro la quale è proposta impugnazione principale), contro parti diverse dall’impugnante principale, se l’accoglimento dell’impugnazione principale sia suscettibile di pregiudicare un giuridico interesse dell’impugnante incidentale ( cfr . Cass., SU, n. 8486 del 2024).
2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, secondo la qui condivisa giurisprudenza di legittimità, il successore a titolo particolare nel diritto controverso, che abbia spiegato intervento volontario, assume nel processo una posizione coincidente con quella del suo dante causa, divenendo titolare del diritto in contestazione; pertanto, il suo intervento -che è regolato dall’art. 111 cod. proc. civ. e non dall’art. 105 cod. proc. civ. dà luogo ad una fattispecie di litisconsorzio necessario ( cfr . Cass. n. 18767 del 2017. In senso sostanzialmente conforme, sebbene specificamente riferita ad un intervento svolto in primo grado, Cass. n. 17479 del 2023).
Nell’odierna fattispecie, quindi, RAGIONE_SOCIALE intervenuta volontariamente nel giudizio di secondo grado affermandosi cessionaria in blocco di crediti (tra cui quello oggetto di lite) di Intesa Sanpaolo s.p.a. (a sua volta già incorporante Banca de ll’Adriatico s.p.a.) e, come tale, successore a titolo particolare nel diritto controverso, senza che risulta esserci
stata estromissione della sua dante causa, ha assunto nel processo una posizione coincidente con quella di quest’ultima, sicché tale intervento ha dato luogo ad una fattispecie di litisconsorzio necessario con inscindibilità delle relative cause.
Pertanto, proprio in quanto litisconsorte necessaria, l’avvenuta notifica del ricorso principale nei suoi confronti, benché il Rossi abbia affermato di averla effettuata a mero di titolo di denuntiatio litis (avendo rivolto l’impugnazione contro Intesa Sanpaolo s.p.a.), può essere agevolmente considerata alla stregua di una integrazione del contraddittorio ex art. 331 cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 15905 del 2018 e Cass. n. 1505 del 2010, dalle quali si ricava, affatto chiaramente, che, nel giudizio di impugnazione contro la sentenza, il successore intervenuto in causa e l’alienante non estromesso sono litisconsorti necessari e che, se la sentenza è impugnata da uno solo soltanto o contro uno soltanto dei medesimi, deve essere, ordinata, anche d’ufficio, l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro, a norma dell’art. 331 cod. proc. civ., dovendosi, in mancanza, rilevare, anche d’ufficio, in sede di legittimità, il difetto di integrità del contraddittorio).
Ne consegue, allora, da un lato, che, ex art. 334, comma 1, cod. proc. civ., in quanto soggetto chiamato ad integrare il contraddittorio ex art. 331 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE ben poteva proporre l’impugnazione incidentale tardiva; dall’altro, che detta impugnazione ben poteva investire capi della sentenza diversi da quelli interessati dal ricorso principale del Rossi.
Tanto premesso, i formulati motivi del ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE unipersonale, tramite la propria mandataria RAGIONE_SOCIALE, denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione degli artt. 2907 c.c., art. 24 Cost., artt. 81 99100 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte disconosciuto la legittimazione processuale di RAGIONE_SOCIALE ». Si deduce che « La legittimazione ad agire serve ad individuare la titolarità del diritto ad agire in giudizio, e spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare, ragion per cui l’analisi che va a riguardo eseguita è relativa alla domanda. RAGIONE_SOCIALE si è dichiarata titolare
del credito per averlo acquisito a titolo particolare da Intesa Sanpaolo s.p.a., facendo così valere ex art. 81 c.p.c. un diritto prospettato come proprio, per il quale, dunque, aveva interesse ad agire (rectius, contraddire ) ex art. 100 c.p.c., azionandolo ex art. 99 c.p.c., così come espressamente riconosciuto dall’art. 24 della Carta Costituzionale. Ergo la Corte territoriale ha erroneamente sussunto la legittimazione processuale alla stregua della titolarità sostanziale del credito, facendo conseguire il difetto di legittimazione all’azione alla ritenuta mancata titolarità sostanziale del diritto »;
II) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1260-1262-1264-2697 c.c. e degli artt. 115116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 -4, c.p.c. », per avere la corte dorica richiesto una prova legale non prevista dalla legge. La stessa, infatti, ha preteso di porre a fondamento della cessione del credito una prova legale non altrimenti prevista dalla legge -cioè il contratto scritto di cessione -e, non ultimo, senza desumere argomenti di prova dagli elementi emergenti dall’incarto processuale, compresa la mancata contestazione avversaria ed il contegno processuale degli appellanti;
III) « Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 385 del 1993, art. 58, della L. n. 130 del 1999, art. 14 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », per essersi la corte distrettuale disinteressata dal verificare se, avuto riguardo alle caratteristiche del credito, la pretesa azionata rientrasse tra quelle trasferite alla cessionaria o fosse annoverabile tra i crediti esclusi dalla cessione. Si deduce che « L’oggetto del contratto di cessione non è costituito dal singolo rapporto, ma dall’insieme dei crediti dotati dei requisiti di cui al blocco, sicché ciò che il giudice deve accertare è se il singolo credito corrisponda ai detti requisiti. . Nell’avviso di cessione del credito de quo sono riportati tutti i criteri necessari e sufficienti ad identificare i crediti rientranti nell’operazione di cessione in blocco e nulla autorizzava a ritenere che le indicazioni contenute nella Gazzetta Ufficiale non rispecchiassero fedelmente quelle contenute nell’atto 17 di cessione, vieppiù rafforzate nel caso di specie dalle difese avversarie incompatibili con la negazione della cessione, dalla produzione del fascicolo di primo grado da parte della cessionaria, dalla contumacia della cedente. La Corte non avrebbe
dunque dovuto sottrarsi dal verificare se, avuto riguardo alle caratteristiche del credito, la pretesa azionata rientrasse tra quelle trasferite alla cessionaria o fosse annoverabile tra i crediti esclusi dalla cessione »;
IV) « Violazione degli artt. 115116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, (capo A) per error in procedendo , per aver erroneamente affermato la utile contestazione avversaria, e n. 5 c.p.c., (capo B) per omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ». Si sostiene che: i ) la corte territoriale « è incorsa in una errata percezione del fatto processuale, che infatti è totalmente diverso da quello reale: la sede deputata alla prima difesa utile è la pri ma udienza successiva all’avvenuta allegazione della cessione del credito, ovvero quella di cui all’art. 350 c.p.c., ove invece nessuna eccezione e/o difesa è stata ex adverso sollevata in ordine alla titolarità del credito; stesso dicasi alla successiva udienza di precisazione delle conclusioni. La titolarità del credito era da considerarsi quale fatto non contestato o, in ogni caso, derivante condotta difensiva incompatibile con la negazione della titolarità del diritto. La Corte ha invece erroneamente dichiarato di non dover applicare l’art. 115 c.p.c. »; ii ) « La non contestazione emerge dalla sentenza nella parte in cui la Corte dà atto, a pag. 8 della decisione, che la questione riguardante la mancata prova della cessione del credito è stata ex adverso sollevata solamente nelle comparse conclusionali: ergo la Corte territoriale non ha considerato che il pregresso contegno processuale degli appellanti costituiva non contestazione alla cessione del credito. Tale mancata contestazione è da qualificarsi come fatto, in quanto rilevante anche quale substrato materiale delle difese degli appellanti, alla stregua di quanto predicabile per i fatti costituitivi della domanda »;
V) « Violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, c.p.c. ». In via subordinata rispetto al terzo motivo, si censura la mancata applicazione dell’art. 2729 cod. civ. in relazione agli elementi di prova che la corte territoriale avrebbe dovuto utilizzare presuntivamente al fine di trarre la prova della cessione del credito. « In particolare, per trarre la prova della cessione del credito a RAGIONE_SOCIALE la Corte avrebbe dovuto applicare le presunzioni di cui all’art. 2729 c.c. co nsiderando: i) la mancata
contestazione avversaria nella prima (e seconda) difesa utile; ii) il contegno processuale degli appellanti nell’espletare difese di merito incompatibili con la negazione della cessione del credito; iii) l’avvenuta produzione del fascicolo processuale di primo grado ad opera di RAGIONE_SOCIALE e contenente anche il titolo; iv) l’avvenuta produzione della Gazzetta Ufficiale contenente l’esatta indicazione dei criteri di individuazione dei crediti rientrante nel blocco di quelli ceduti. Trattasi all’evide nza di elementi ampiamente muniti dei tre caratteri -gravità, precisione e concordanza -che individuano la presunzione, ragione per cui la corte territoriale ha omesso di sussumere la fattispecie de qua alla norma in esame, la cui applicazione avrebbe ancora una volta condotto alla prova della cessione del credito e, quindi, alla sua titolarità in capo RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Tali doglianze, di cui è possibile l’esame unitario in ragione dell’evidente connessione che le caratterizza, si rivelano fondato nei soli limiti di cui appresso.
La corte di appello, accogliendo l’eccezione del Rossi pacificamente formulata, per la prima volta, solo nella sua comparsa conclusionale d’appello, ha dichiarato la ‘ carenza di legittimazione e titolarità del credito dedotto in giudizio ‘ in capo a RAGIONE_SOCIALE in persona del suo procuratore speciale RAGIONE_SOCIALE, sul presupposto che non potesse costituire piena prova del diritto di credito in questione il solo avviso di cessione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (Parte Seconda n. 52 del 5.05.2018), in mancanza di produzione del contratto di cessione.
3.2. Orbene, la questione relativa alla possibilità di far valere il difetto di legittimazione di una parte in giudizio va esaminata alla luce di quanto chiarito, nel contesto di una valutazione complessiva dei profili attinenti alla legittimazione al giudizio ed alla titolarità attiva e passiva del rapporto, dalla pronuncia resa da Cass., SU, n. 2951 del 2016.
Esigenze di chiarezza impongono di premettere -in continuità con quanto ricordato già da Cass. n. 30207 del 2024 ( cfr . in motivazione) -che la legittimazione ad agire serve ad individuare la titolarità del diritto ad agire in
giudizio. Ragionando ex art. 81 cod. proc. civ., per il quale ” Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui “, essa spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare. Secondo una tradizionale e condivisibile definizione, la ” parte ” è il soggetto che in proprio nome domanda o il soggetto contro il quale la domanda, sempre in proprio nome, è proposta. Oggetto di analisi, dunque, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è la domanda, nella quale l’istante deve affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio. Ciò che rileva, quindi, è la prospettazione (discorso analogo vale per la simmetrica legittimazione a contraddire, che attiene alla titolarità passiva dell’azione e che, anch’essa, dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell’obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio).
Nel caso in cui l’atto introduttivo del giudizio (o, per quanto qui di specifico interesse, l’atto mediante il quale si interviene in un giudizio instaurato da altri) non indichi, quanto meno implicitamente, l’istante medesimo come titolare del diritto di cui si chiede l’affermazione ed il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l’azione (al pari dell’intervento in causa) sarà inammissibile. Naturalmente ben potrà accadere che poi, all’esito del processo, si accerti che la parte non era titolare del diritto che aveva prospettato come suo (o che la controparte non era titolare del relativo obbligo), ma ciò attiene al merito della causa e non esclude la legittimazione a promuovere un processo (oppure ad intervenirvi). L’istante perderà la causa, con le relative conseguenze, ma aveva diritto di intentarla (o di intervenirvi).
Da quest’analisi emerge, allora, come una cosa sia la legittimazione ad agire, altra cosa sia la titolarità del diritto sostanziale oggetto del processo. La legittimazione ad agire, dal lato attivo o passivo, mancherà tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda o delle difese della parte convenuta o, come nella specie, interveniente, emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore, al convenuto o, come nella specie, all’interveniente (nell’odierna vicenda, dunque, la legittimazione ad
intervenire di RAGIONE_SOCIALE unipersonale, tramite la sua mandataria RAGIONE_SOCIALE, deve considerarsi sussistente in ragione della mera sua affermazione di essersi resa cessionaria da Intesa Sanpaolo s.p.a. -a sua volta incorporante Banca dell’Adriatico s.p.a. del credito qui controverso).
La titolarità del diritto sostanziale, di cui qui concretamente si discute, attiene, invece, al merito della causa, alla fondatezza della domanda. I due regimi giuridici sono, conseguentemente, diversi, qui rilevando effettivamente il secondo di essi.
È consolidata ed univoca la giurisprudenza per cui la carenza di legittimazione ad agire può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Del resto, non si pongono problemi probatori, perché si ragiona sulla base della domanda e della prospettazione in essa contenuta. È comprensibile, quindi, che la questione non sia soggetta a preclusioni, in quanto una causa non può chiudersi con una pronuncia che riconosce un diritto a chi, alla stregua della sua stessa domanda, non aveva titolo per farlo valere in giudizio o impone un obbligo a chi, per stessa prospettazione dell’istante, non era tenuto a subirlo. In fatto, peraltro, ciò accade raramente e l’incidenza pratica di tale tipo di questione può ritenersi trascurabile.
In molti casi si parla di legittimazione ad agire, ma impropriamente, in quanto il problema è diverso, attiene al merito della causa e riguarda non la prospettazione ma la fondatezza della domanda: si tratta di stabilire se colui che vanta un diritto in giudizio sia effettivamente il titolare. Proprio quest’ultima, allora, è, come si già anticipato, l’ipotesi qui concretamente verificatasi.
Anche quanto alla titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio, la difesa con la quale il convenuto, ma anche l’attore, si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare, rispettivamente, che l’attore non è titolare del diritto azionato o che il convenuto non è titolare della situazione soggettiva dedotta in giudizio, integra una mera difesa ( cfr . Cass., SU, n. 2951 del 2016), sicché è stato chiarito che il rilievo espresso al riguardo dalla parte interessata non è un’eccezione, con la quale si contrappone un
fatto impeditivo, estintivo o modificativo, né, quindi, un’eccezione in senso stretto, proponibile, a pena di decadenza, solo in sede di costituzione in giudizio e non rilevabile d’ufficio, ben potendo la relativa proposizione avvenire in ogni fase del giudizio (in Cassazione solo nei limiti del giudizio di legittimità e sempre che non si sia formato il giudicato) con possibilità, a sua volta, per il giudice di rilevare dagli atti la carenza di titolarità del diritto anche d’ufficio.
È opportuno ricordare, poi, che la non contestazione può rilevare soltanto per la questione (di merito) attinente alla titolarità della posizione attiva o passiva del rapporto e deve essere attentamente valutata dal giudice, specie quando non attenga alla sussistenza di un fatto storico, ma riguardi un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto, in tale ambito il semplice difetto di contestazione non imponendo alcun vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte, anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto ( cfr . Cass., SU, n. 2951 del 2016, con richiami a Cass., SU, n. 11377 del 2015).
Alla stregua di tali osservazioni, dunque, la contestazione del difetto di legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE come effettuata dal Rossi non si pone in contrasto con i richiamati principi, che valorizzano la possibilità, sia per il rilievo di carenza di legittimazione passiva, che per quello relativo alla deduzione di carenza di titolarità passiva del rapporto, di sollevare in ogni fase del giudizio la relativa eccezione, e con la possibilità di valutare un contegno di non contestazione solo con riguardo alla titolarità attiva o passiva del rapporto.
3.3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il soggetto che proponga impugnazione oppure vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova – la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del
contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 24050 del 2019; Cass. n. 22244 del 2006 e Cass. n. 25344 del 2010, conforme a quest’ultima. Nel medesimo senso sostanziale, peraltro, risultano anche, ex aliis , Cass. n. 13685 del 2006, in cui si legge pure che « Ai fini del convincimento probatorio, il giudice può utilizzare come argomento di prova, ex art. 116 cod. proc. civ., il comportamento tenuto dalle parti, ed in particolare il fatto che la controparte consideri l’intervenuta successione come verificata e riconosca la qualità di erede, ovvero imposti una linea difensiva incompatibile con la mancanza di quella qualità »; Cass. n. 15352 del 2010; Cass. n. 1943 del 2011).
Pertanto, alla stregua dell’appena descritto indirizzo ermeneutico, che, qui condiviso, si intende ribadire –RAGIONE_SOCIALE unipersonale, affermatasi cessionaria da Intesa Sanpaolo s.p.a. (a sua volta incorporante Banca dell’Adriatico s.p.a.) del credito di cui si discute, al fine di giustificare la propria legittimazione ad intervenire in sede di appello per essere subentrata nella titolarità del credito di cui si discute, avrebbe dovuto non soltanto allegare ma anche fornire la dimostrazione della relativa circostanza, la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, era, come già anticipatosi, rilevabile d’ufficio.
L’odierna ricorrente incidentale, in proposito, ha dichiarato di avere ivi depositato, fin dalla sua tempestiva costituzione già in sede di inibitoria, l’avviso di cessione, ove risultavano riportate, il tipo di crediti ceduti (id est per capitale, interessi, accessori, spese etc.); gli istituti di credito cedenti, tra cui Intesa Sanpaolo s.p.a.; la fonte dei crediti (contratti di mutuo, apertura di credito o finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e perone giuridiche, come quello per cui è causa); la data di formazione del credito (crediti sorti nel periodo compreso, per ciascuno dei cedenti, tra l’1 gennaio 1995 ed il 31 dicembre 2017 e qualificati come attività finanziarie deteriorate, tra i quali rientrava, a suo dire, quello de quo ).
3.4. Orbene, ciò che non persuade della pronuncia oggi impugnata è l’avere la stessa preteso come unica modalità di prova della successione di RAGIONE_SOCIALE nel diritto controverso la produzione del contratto di cessione di crediti in blocco intervenuto tra Intesa Sanpaolo s.p.a. (già incorporante Banca dell’Adriatico s.p.a.) e la menzionata controricorrente/ricorrente incidentale.
Giova considerare, invero, che, in linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata.
Tale principio vale, ovviamente, in qualunque forma sia avvenuta la cessione e in qualunque forma sia avvenuta la relativa notificazione da parte del cessionario al ceduto; quindi, almeno di regola, anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’opera zione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T. U.B.
Gli arresti di questa Corte in cui pare farsi riferimento alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia della cessione quale prova della stessa vanno rettamente intesi. Sul punto, si deve certamente condividere, in diritto, quanto già espressamente e ripetutamente affermato nei vari precedenti in cui si è precisato che « una cosa è l’avviso della cessione necessario ai fini dell’efficacia della cessione un’altra la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima » (così espressamente Cass. n. 22151 del 2019), ovvero, più specificamente, che « la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di
un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta » ( cfr . Cass. n. 24798 del 2020; Cass. n. 4116 del 2016).
Va tenuto presente che, come condivisibilmente puntualizzato da Cass. n. 17944 del 2023 (ma si vedano pure, nello stesso senso, le più recenti Cass. nn. 5478 e 30207 del 2024): a ) la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma; dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità; b ) opera, poi, certamente, in proposito, il principio di non contestazione; c ) va, comunque, sempre distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B.
Sulla base di tali ultime puntualizzazioni, allora, si può certamente confermare, in primo luogo, che, in caso di cessione di crediti individuabili blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra q uelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete. In tal caso, infatti, in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere aff atto dimostrato (in quanto i fatti non
contestati devono considerarsi al di fuori del cd. thema probandum ): il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione (più precisamente, della esatta corrispondenza tra le caratteristiche del credito controverso e quelle che individuano i crediti oggetto della cessione in blocco) e, pertanto, sotto tale limitato aspetto, le indicazioni contenute nell’avviso di cessione dei crediti in blocco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in relazione ad una operazione da ritenersi certamente esistente in quanto non contestata, possono ben essere valutate al fine di verificare se esse consentono, o meno, di ricondurre con certezza il credito di cui si controverte tra quelli trasferiti in blocco al preteso cessionario (di modo che, solo laddove tale riconducibilità non sia desumibile con certezza dalle suddette indicazioni sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito oggetto di controversia in altro modo.
Diverso, però, è il caso in cui sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore ceduto la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in questo caso, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, come sopra chiarito, di regola non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e, quindi, come tale, neanche la mera ‘notificazione’ della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco. D’altra parte, ciò non esclude che tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione: ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nel caso in cui l’avviso risulti pubblicato su iniziativa della stessa banca cedente o di quest’ultima unitamente alla società cessionaria, ovvero quando vi siano altre particolari ragioni che inducano a ritenerlo un elemento che faccia effettivamente presumere l’effettiva esistenza della dedotta cessione. In tali casi, la questione si risolve in un accertamento di fatto da effettuare in base alla valutazione delle prove da
parte del giudice del merito e detto accertamento, come è ovvio, se sostenuto da adeguata motivazione, non sarà sindacabile in sede di legittimità.
3.5. Nella specie, come già anticipato, gli argomenti utilizzati dalla corte d’appello per negare l’avvenuta successione di RAGIONE_SOCIALE nel diritto di credito oggi controverso non possono ritenersi conformi ai principi sin qui esposti, risultando del tutto erronea, in diritto (ancor prima, dunque, del corrispondente accertamento fattuale) la sua affermazione per cui l’unica modalità di prova di detta successione doveva essere la produzione del contratto di cessione di crediti in blocco intervenuto tra Intesa Sanpaolo s.p.aRAGIONE_SOCIALE (già incorporante Banca dell’Adriatico s.p.a.) e la menzionata controricorrente/ricorrente incidentale.
Negli appena precisati limiti, quindi, anche il ricorso incidentale in esame merita accoglimento, affidandosi al giudice di rinvio il compito di procedere ad un nuovo esame dell’eccezione di carenza di titolarità passiva di RAGIONE_SOCIALE come sollevata dal Rossi, alla stregua dei suddetti principi.
4. In conclusione, dunque, devono essere accolti sia il ricorso principale del Rossi, sia, nei limiti di cui si è detto, quello incidentale di RAGIONE_SOCIALE. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso principale di NOME COGNOME e, nei limiti di cui in motivazione, quello incidentale di RAGIONE_SOCIALE unipersonale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile