Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25904 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25904 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 14075/2024 r.g. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata il 7/10 febbraio 2025 , dall’Avvocato Prof. NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Sant’Agata dei Goti (BN), al INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso.
-controricorrente
–
avverso la sentenza, n. cron. 1392/2024, della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI depositata in data 29/03/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 17/09/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato il 15 marzo 2010, NOME COGNOME in proprio e nella qualità di socio della società RAGIONE_SOCIALE, nonché RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , citarono la Banca di Credito Popolare società cooperativa per azioni dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere esponendo che: i ) il Natale, il 5 giugno 2009, aveva depositato ricorso ai sensi dell’art. 700 c od. proc. civ. chiedendo ordinarsi alla Camera di Commercio di Caserta la cancellazione del suo nominati vo dall’elenco dei protesti, con specifico riferimento all’assegno n. 00202811956 per l’importo di euro 3.500,00 tratto sul conto corrente che lo stesso intratteneva presso la filiale di Caserta della Banca di Credito Popolare s.c.p.a. -protestato in Caserta l’8 ottobre 2008, per notaio NOME COGNOME, nonché la cancellazione del suo nominativo dalla Centrale Rischi Interbancaria; ii ) quell’assegno era stato presentato all’incasso dal prenditore, NOME COGNOME, presso il Banco di Napoli, filiale di Marcianise; iii ) come si evinceva dal ‘certificato di avvenuto protesto’, la levata del protesto era stata eseguita per la seguente causale: ‘ Conto bloccato-Provvedimento di sequestro preventivo e di affidamento in giudiziale Custodia (ex art. 321 c.p.p.) ‘; iv ) contrariamente alle risultanze del ‘certificato di avvenuto protesto’, alla data di emissione dell’assegno e di sua presentazione per l’incasso, il conto corrente intestato al Natale non era stato oggetto di alcun provvedimento di sequestro e, pertanto, le somme ivi depositate ‘ erano tali da giustificare l’emissione dell’assegno e il pagamento dello stesso ‘; v ) l’illegittimo protesto aveva cagionato un danno grave, imminente e irreparabile al Natale, socio di alcune società svolgenti attività di Bingo ed attività immobiliari, le quali intrattenevano rapporti con diverse banche che richiedevano ‘ non solo alla società ma anche ai soci garanzie nonché la insussistenza di alcuna ‘macchia’ in ordine alla solvibilità degli stessi ‘; ‘ Senza contare poi il discredito sociale che una simile pubblicità aveva arrecato e continuava ad arrecare al ricorrente ‘; vi ) il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva accolto il ricorso cautelare, ordinando alla Camera di
Commercio di Caserta di sospendere la pubblicazione dal registro dei protesti dell’assegno bancario in questione.
Tanto premesso, la difesa degli attori, deducendo che dalla vicenda esposta nel proposto ricorso cautelare ante causam erano derivati alla società RAGIONE_SOCIALE ed al Natale gravi danni, chiese condannarsi la banca convenuta al risarcimento dei danni, nella misura, rispettivamente, di € 2.007.606,00, in favore della menzionata società, e di € 500.000,00 in favore del Natale, oppure nelle diverse misure ritenute eque , ai sensi dell’art. 1226 cod. civ.
Si costituì la Banca di Credito Popolare società cooperativa per azioni, che contestò le avverse pretese, concludendo per il loro rigetto, e chiamò in causa il notaio NOME COGNOME al fine di essere manlevata da ogni eventuale responsabilità che fosse stata accertata a suo carico all’esito del giudizio.
Si costituì pure il Barletta chiedendo il rigetto di ogni avversa domanda.
A seguito del decesso di quest’ultimo e della declaratoria di interruzione del giudizio, il processo fu riassunto nei confronti dei suoi eredi, NOME e NOME COGNOME i quali si costituirono affermando di aver accettato con beneficio di inventario l’eredità del de cuius e si riportarono alle difese già svolte nel suo interesse.
Con sentenza del 12 marzo 2020, n. 740, l’adito tribunale rigettò le domande degli attori, dichiarò assorbita la domanda di manleva formulata dalla banca convenuta nei confronti degli eredi Barletta e compensò le spese di lite.
Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi, rispettivamente, dagli originari attori e dalla Banca di Credito Popolare società cooperativa per azioni, l’adita Corte di appello di Napoli, con sentenza del 29 marzo 2024, n. 1392, pronunciata nel contraddittorio anche con NOME e NOME COGNOME, così dispose: « Rigetta l’appello principale, nei sensi di cui in motivazione, proposto da NOME NOME, in proprio e nella qualità di socio della società RAGIONE_SOCIALE, nonché da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t.; in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla Banca di Credito Popolare società
cooperativa per azioni, condanna, in via solidale, NOME Vincenzo, in proprio e nella qualità di socio della società RAGIONE_SOCIALE nonché RAGIONE_SOCIALE, al pagamento delle spese processuali del giudizio di primo grado a favore della Banca di Credito Popolare società cooperativa per azioni, in persona del legale rappresentante p.t., spese che si liquidano in euro 30.000,00 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15%, iva e cpa, con attribuzione al difensore anticipatario; condanna, in via solidale, NOME Vincenzo, in proprio e nella qualità di socio della società RAGIONE_SOCIALE nonché RAGIONE_SOCIALE, al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio a favore della Banca di Credito Popolare società cooperativa per azioni, spese che si liquidano in euro 22.200,00 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15%, iva e cpa, con attribuzione al difensore anticipatario; condanna la Banca di Credito Popolare società cooperativa al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio a favore di Barletta Carlo e Barletta Doralisa, spese che si liquidano in euro 16.500,00 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15%, con attribuzione al difensore dichiaratosi anticipatario ».
Per quanto qui ancora di interesse, quella Corte ritenne che « Le doglianze suesposte non incidono sulla decisione del primo giudice, nella parte in cui ha statuito che, con riguardo ai danni non patrimoniali, NOME Vincenzo, non ha allegato sotto quale profilo la vicenda in questione abbia arrecato pregiudizio ai suoi rapporti familiari, sociali e professionali, al fine di valutare la consistenza del pregiudizio e la sua riferibilità sul piano eziologico alla levata del protesto, essendosi limitato NOME NOME a rappresentare di aver subito un danno all’immagine e alla reputazione. E invero, la mera deduzione, con il motivo di gravame, che ‘un protesto illegi ttimamente elevato (come nel caso di specie) è del tutto idoneo a provocare danni patrimoniali e non patrimoniali’, non si confronta con la condivisibile ragione che il primo giudice ha posto a fondamento del rigetto della domanda
risarcitoria per i lamentati danni non patrimoniali, ragione rappresentata dalla mancanza di ‘una compiuta allegazione della natura e dell’intensità del pregiudizio subito onde consentire al giudicante di valutare la sussistenza della consistenza del medesimo pregiudizio e la sua riferibilità alla condotta del soggetto asseritamente danneggiante’, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera potenzialità del fatto lesivo di produrre il danno (cfr. penultimo periodo della pag. 7 della sentenza impugnata). Ne consegue che, con riguardo al mancato riconoscimento della sussistenza dei danni non patrimoniali che NOME deduce di aver subito, il motivo di gravame è inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. Con riguardo ai danni patrimoniali che avrebbe subito la società RAGIONE_SOCIALE, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, la relazione tecnica del dott. COGNOME non fornisce alcun elemento probatorio in merito alla circostanza che l’elevato protesto sia stata la causa del mancato rilascio da parte di istituti di credito e di società assicurative della fideiussione necessaria per l’erogazione del contributo da parte della Regione Campania . . Ne consegue che non risulta scalfita la decisione del primo giudice nella parte in cui ha ritenuto la mancanza di sufficienti elementi probatori a sostegno della sussistenza del nesso di causalità tra i danni patrimoniali che la società deduce di aver subito e la levata del protesto» ( cfr . pag. 10-12 della impugnata sentenza).
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidandosi ad un motivo. Ha resistito, con controricorso, Banca di Credito Popolare società cooperativa per azioni.
Il 5/6 novembre 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 14/16 dicembre 2024, il Natale ha chiesto la decisione del suo ricorso. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico formulato motivo di ricorso ascrive alla corte distrettuale la « Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2050 e 2059 cod. civ.,
nonché dell’art. 13 del d.lgs. nr. 196 del 30 giugno 2003 , per aver ritenuto carente la prova del nesso causale tra l’illegittima levata di protesto ed i danni patrimoniale e non patrimoniali subiti dal dott. NOME NOME (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) ». Si assume, in particolare, che « Il dott. NOME Mario COGNOMErectius COGNOME. Ndr], contrariamente a quanto statuito dai giudici di primo e di secondo grado, ha ineludibile diritto a vedersi riconosciuto e liquidato in via equitativa quantomeno il danno non patrimoniale dovendosi infatti ritenere dimostrata anche per presunzioni che dalla mera pubblicazione del nominativo dello stesso nel Registro dei Protesti e nella Centrale dei Rischi è derivata al medesimo ‘una compromissione dei propri assetti relazionali’ come invero affermato dalla Corte di Appello di Napoli – Ottava Sezione Civile – con la sentenza nr. 2406 del 31 maggio 2022 nella risoluzione di una analoga vicenda ».
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. L’unico formulato motivo di ricorso si rivela manifestamente inammissibile.
1.1. Invero, nella misura in cui contesta il mancato riconoscimento, in favore del Natale, del danno non patrimoniale, esso si limita a ribadire assunti già prospettati innanzi alla corte distrettuale, senza confrontarsi adeguatamente, tuttavia, con la puntuale ratio decidendi di quest’ultima secondo cui (cfr. pag. 11-12 della sentenza impugnata) «Le doglianze suesposte non incidono sulla decisione del primo giudice, nella parte in cui ha statuito che, con riguardo ai danni non patrimoniali, Natale NOME, non ha allegato sotto quale profilo la vicenda in questione abbia arrecato pregiudizio ai suoi rapporti familiari, sociali e professionali, al fine di valutare la consistenza del pregiudizio e la sua riferibilità sul piano eziologico alla levata del protesto, essendosi limitato NOME NOME a rappresentare di aver subito un danno all’immagine e alla reputazione. E invero, la mera deduzione, con il motivo di gravame, che ‘un protesto illegittimamente elevato (come nel caso di specie) è del tutto idoneo a provocare danni patrimoniali e non patrimoniali’, non si confronta con la condivisibile ragione che il primo giudice
ha posto a fondamento del rigetto della domanda risarcitoria per i lamentati danni non patrimoniali, ragione rappresentata dalla mancanza di ‘una compiuta allegazione della natura e dell’intensità del pregiudizio subito onde consentire al giudicante di valutare la sussistenza della consistenza del medesimo pregiudizio e la sua riferibilità alla condotta del soggetto asseritamente danneggiante’, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera potenzialità del fatto lesivo di produrre il danno (cfr. penultimo periodo della pag. 7 della sentenza impugnata). Ne consegue che, con riguardo al mancato riconoscimento della sussistenza dei danni non patrimoniali che NOME deduce di aver subito, il motivo di gravame è inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c.».
1.1.1. La doglianza, dunque, non appare rispettosa di quanto chiarito, del tutto condivisibilmente, da Cass. n. 21563 del 2022 (cfr. pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 (cfr. pag. 41 e ss. della motivazione), da Cass. n. 25495 del 2024 (cfr. pag. 7-8 della motivazione) e da Cass. n. 26871 del 2024 (cfr. pag. 11-12 della motivazione), a tenore delle quali «l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo ” decisum ” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo
idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01)».
1.2. Laddove, invece, insiste nel riconoscimento, in favore dell’odierno ricorrente, del danno patrimoniale, la censura è parimenti inammissibile.
1.2.1. Giova premettere, infatti, che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 27328, 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. nn. 5490, 3246 e 596 del 2022; Cass. nn. 40495, 28462, 25343, 4226 e 395 del 2021). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente (cfr., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una
erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
1.2.2. Nella specie, la corte distrettuale ha fornito ampia giustificazione del proprio convincimento circa la carenza di prova in ordine al danno patrimoniale lamentato dal Natale. Pertanto, non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo, rispetto ai quali le argomentazioni della censura in esame si rivelano, oltre che generiche, perché riproduttive dell’analoga doglianza già respinte dalla corte di appello, sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così dimenticando che: i) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn.
27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, «in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa»); ii) il giudizio di legittimità, come si è già detto, non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024) » .
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, altresì evidenziando che le stesse nemmeno risultano efficacemente confutate nella memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del ricorrente del 4/5 settembre 2025.
Invero, quanto agli invocati danni non patrimoniali, il ricorrente non ha censurato l ‘espressa statuizione di inammissibilità per genericità, ex art. 342 cod. proc. civ., resa dalla corte distrettuale sul corrispondente motivo di gravame. Deve trovare applicazione, dunque il principio (desumibile da Cass. n. 24550 del 2023 e Cass. n. 8669 del 2025) per cui, nel giudizio di
cassazione, la censura che, a fronte della inammissibilità del corrispondente motivo di gravame, attinga direttamente l’apprezzamento di merito operato dal giudice d’appello, senza censurare l’ error in procedendo in cui questi è incorso, così da rimuovere la ragione in rito impedienti la valutazione nel merito delle censure mosse con l’atto di appello, determina l’inammissibilità del motivo di ricorso, derivando da tale omissione il passaggio in giudicato della inammissibilità del motivo di gravame ed il conseguente venir meno dell’interesse della parte a far valere, in sede di legittimità, l’erroneità della ulteriore statuizione di merito, sul medesimo punto, della decisione impugnata.
Laddove, poi, con la menzionata memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., il Natale ha insistito nel contestare la sentenza impugnata per non aver tenuto conto delle prove da lui fornite in giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità e dei danni patrimoniali (e non patrimoniali), egli altro non ha fatto che reiterare, sostanzialmente, le contestazioni già avanzate e respinte in sede di merito (oltre che riproposte in ricorso) relative ad una pretesa erronea valutazione delle prove da lui asseritamente fornite circa la sussistenza di detto nesso. Il ricorrente, in altri termini, ha inteso ricostruire concretamente l’intera vicenda sulla base di una propria (e diversa da quella effettuata dalla corte distrettuale) valutazione delle risultanze istruttorie.
Così operando, tuttavia, lo stesso non ha considerato che, come correttamente rimarcato nella proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge e che le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito.
In definitiva, il formulato motivo, per come concretamente articolato sul punto, è volto a contestare accertamenti di natura chiaramente fattuali e, come tali, insindacabili in questa sede, posti dalla corte distrettuale a
fondamento della sua conclusione (con una motivazione che non integra violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti), così dimenticando che la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in Cassazione ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017). In effetti, come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022, Cass. n. 8671 del 2025 e Cass. n. 20895 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, con attribuzione, ex art. 93 cod. proc. civ., all’Avvocato NOME COGNOME dichiaratosene antistatario ( cfr . conclusioni del controricorso).
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va
disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024). Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’ del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni p er discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), il ricorrente suddetto va condannato nei confronti della costituitasi controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME e lo condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge , con attribuzione, ex art. 93 cod. proc. civ., all’Avvocato NOME COGNOME dichiaratosene antistatario.
Condanna il medesimo ricorrente al pagamento della somma di € 10.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di NOME COGNOME dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME