Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15685 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 15685 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO R.G. e sul ricorso iscritto al n. 889672020 proposti da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, COGNOME NOME
DI TARANTO MODESTINO, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
COGNOME COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME
BANCA POPOLARE DI BARI, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 1855/2019 depositata il 02/09/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Uditi gli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME per delega dell’avvocato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME per delega dell’avvocato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
FCOGNOME DI CAUSA
I sette ricorsi di cui in epigrafe, iscritti al n. NUMERO_DOCUMENTO R.G. ed al n. NUMERO_DOCUMENTO R.G., sono tutti proposti contro la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1855/2019, pubblicata il 2 settembre 2019, e devono perciò riunirsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME è stato avviato per la notifica il 26 febbraio 2020 ed assume la natura di ricorso principale, mentre sono ricorsi incidentali i restanti.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorsi.
La Corte d’appello di Bari ha respinto i ricorsi proposti avverso la delibera RAGIONE_SOCIALE n. 20584 del 13 settembre 2018, emessa all’esito di procedimento ex art. 195 d.lgs. n. 58/1998, in seguito ad attività ispettiva della Banca d’Italia e a successiva propria attività di vigilanza. Con tale delibera sono state irrogate sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti della Banca Popolare di Bari soc. coop. p.a. nonché delle persone che ne avevano rivestito cariche amministrative e/o direttive, per la violazione dell’art. 94, secondo comma, TUF, per avere la Banca, nell’ambito delle operazioni di aumento di capitale 2014 e 2015, omesso di riportare nei Prospetti 2014 e 2015 informazioni complete in merito alla determinazione del prezzo di offerta delle azioni BPB, avuto riguardo alle valutazioni formulate dal consulente incaricato di assistere la Banca nella stima del valore delle azioni, così determinando l’impossibilità per gli investitori di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulle azioni offerte. Quanto al prospetto 2014, non risultavano ‘ incluse, infatti, le informazioni in merito: -alle valutazioni di COGNOME relative ai diversi intervalli di valorizzazione delle azioni emesse da BPB e, in particolare, all’intervallo di valore delle azioni BPB indicato da COGNOME, sulla base di che, …, era a livello allargato compreso tra Euro 7,0 ed Euro 8,0; per altro tali informazioni risultano diverse da quelle relative ai moltiplicatori di mercato concernenti le banche popolari non quotate, incluse nel par.
5.3.1, Sezione Seconda, del Prospetto 2014; alla circostanza che tale intervallo, compreso tra Euro 7,0 ed Euro 8,0, fosse sensibilmente inferiore rispetto al prezzo, pari ad Euro 9,53, considerato dal Consiglio di Amministrazione ai fini della determinazione del prezzo di offerta dell’aumento di capitale 2014, tramite l’applicazione a quest’ultimo valore di uno sconto pari al 6%; – che detto prezzo di Euro 9,53 si collocava nella parte superiore dell’intervallo di valorizzazione delle azioni espresse da COGNOME‘. Quanto al prospetto 2015, non risultavano incluse ‘ le informazioni in merito: – alle valutazioni di COGNOME relative ai diversi intervalli di valorizzazione delle azioni emesse da BPB e, in particolare, all’intervallo di valore delle azioni BPB indicato da COGNOME, sulla base dei che conduceva a stime più basse comprese nell’intervallo allargato tra 8,7 e 8,9 Euro; per altro tali informazioni risultano diverse da quelle relative ai moltiplicatori di mercato concernenti le banche popolari non quotate, incluse nel par. 5.3.1, Sezione Seconda, del Prospetto 2015; – alla circostanza che tale intervallo, compreso tra Euro 8,7 ed Euro 8,9 fosse inferiore rispetto al prezzo, pari a 9,53 Euro, considerato dal Consiglio di Amministrazione ai fini della determinazione del prezzo di offerta dell’aumento di capitale 2015, tramite l’applicazione a quest’ultimo valore di uno sconto pari al 6% ‘.
Le sanzioni sono state irrogate applicando il criterio del cumulo giuridico, ex art. 8, comma primo, l. n. 689/1981, e ravvisando quale più grave la violazione riguardante il Prospetto 2014.
I destinatari delle sanzioni hanno tutti proposto ricorso dinanzi alla Corte d’appello di Bari.
Il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha depositato memorie, chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Hanno altresì depositato memorie ai sensi dell’art. 378, comma 2, c.p.c.: NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; NOME COGNOME e NOME COGNOME; NOME COGNOME; NOME COGNOME ed altri; Banca Popolare di Bari; RAGIONE_SOCIALE.
MOTIVI COGNOMEA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME è articolato in due motivi.
Il ricorso di NOME COGNOME ed altri sette, come in epigrafe, è articolato in quattro motivi.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in quattro motivi.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in cinque motivi.
Il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME è articolato in quattro motivi.
Il ricorso della Banca Popolare di Bari è articolato in quattro motivi.
I complessivi ventisei motivi di censura sono generalmente suscettibili di esame congiunto, sia per l’identità delle vicende di fatto oggetto del thema decidendum , sia per la netta connessione delle questioni giuridiche poste, e saranno invece distintamente trattati solo allorché attengono a specifiche doglianze inerenti a situazioni peculiari dei singoli ricorrenti.
Non sono fondate le censure attinenti ai vizi o alle carenze della motivazione. La sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, consentendo un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento della Corte d’appello, come del resto contestano le concorrenti molteplici censure per violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, le quali postulano non difetti di attività del giudice del merito, ma che questi abbia preso in esame le questioni oggetto di doglianza e le abbia, piuttosto, risolte in modo giuridicamente non corretto (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023).
4. Non sussiste la denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 1, TUF. Le censura al riguardo sostengono che sin dall’ottobre del 2014 RAGIONE_SOCIALE poteva constatare le violazioni poi sanzionate, in base al semplice riscontro del Prospetto 2014.
La Corte d’appello di Bari (pagine 15 e segg. della sentenza impugnata) ha disatteso l’eccezione di decadenza per tardività della contestazione, in quanto ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE avesse ottenuto l’intero quadro documentale, utilizzato per l’irrogazione delle sanzioni, nell’arco temporale che va dal 21 marzo 2017 (momento di ricezione dello stralcio ispettivo inviato dalla Banca d’Italia per le verifiche condotte dal 20 giugno al 4 novembre 2016) al 12 dicembre 2017 (data in cui pervenne alla RAGIONE_SOCIALE il riscontro della Banca Popolare di Bari alla richiesta di informazioni del 7 dicembre 2017), allorché poteva intendersi chiusa l’attività di acquisizione delle notizie, con conseguente tempestività delle notifiche delle violazioni svolte nel gennaio del 2018. Secondo i giudici del merito, l’individuazione di una data antecedente di decorrenza del termine di decadenza avrebbe presupposto la conoscenza, in capo a RAGIONE_SOCIALE, del contenuto delle perizie RAGIONE_SOCIALE e degli elementi di fatto e tecnici dalle stesse desumibili.
La sentenza della Corte d’appello di Bari ha considerato la complessità degli accertamenti posti in essere dalla RAGIONE_SOCIALE e le particolarità del caso concreto, trattandosi di atti istruttori collegati e di più violazioni connesse da contestare con emissione di un unico provvedimento. I giudici del merito hanno così operato una corretta
applicazione alla fattispecie di causa del consolidato principio interpretativo, affermato da questa Corte, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, la decorrenza del termine da rispettare per la contestazione degli illeciti va individuata nel giorno in cui la RAGIONE_SOCIALE in composizione collegiale, dopo l’esaurimento dell’attività ispettiva e di quella istruttoria, è in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tenere conto di ingiustificati ritardi, derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati ai suddetti organi. Il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della RAGIONE_SOCIALE, non deve, perciò, essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, né con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, né con quello in cui è stata depositata la relazione dell’indagine, né con quello in cui la RAGIONE_SOCIALE si è riunita per prenderla in esame, poiché la “constatazione” dei fatti non comporta di per sé il loro “accertamento”. Ne consegue che occorre individuare, secondo gli elementi indicatori della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa (Cass. Sez. Unite, n. 5395 del 2007; Cass. n. 8687 del 2016; n. 9254 del 2018; n. 11961 del 2019; n. 21171 del 2019; n. 9022 del 2023). La ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la raccolta e per l’esame degli elementi istruttori necessari a dimostrare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della violazione, e per la successiva contestazione, così come la stima della congruità del tempo utilizzato dalla RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, sono, tuttavia,
rimessi al giudice del merito, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Neppure è veicolabile in sede di legittimità sub specie di violazione o falsa applicazione dell’ art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998 il mancato utilizzo da parte dei giudici del merito della «presunzione giurisprudenziale» consistente nella «regola di giudizio» per cui, qualora a carico di un intermediario finanziario siano state riscontrate irregolarità nell’ambito di procedura ispettiva diretta dalla Banca d’Italia, si deve, appunto, presumere, salvo prova del contrario, che la RAGIONE_SOCIALE abbia potuto apprezzare le stesse, ai fini della decorrenza del termine di decadenza stabilito dall’art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998, sin dal momento in cui sia stata trasmessa notizia dalla Banca d’Italia del rilievo di dette irregolarità, mediante inoltro dei rapporti elaborati, ovvero dei provvedimenti sanzionatori assunti dalla stessa Banca d’Italia.
Il principio generale che regge la disciplina sui termini di contestazione delle violazioni perseguite con sanzione amministrativa è che, ai fini dell’osservanza degli stessi, rileva la data dell’accertamento compiuto dalla autorità competente per il controllo dell’osservanza della specifica norma violata, e non la data in cui la stessa abbia ricevuto da un’altra autorità la notizia della violazione, poiché è l’autorità competente che deve compiere le indagini intese a verificare l’esistenza dell’infrazione, al compimento delle quali inizia a decorrere il termine di legge per la notificazione degli estremi della violazione.
La Corte d’appello di Bari ha ritenuto incomplete le acquisizioni probatorie sulle informazioni effettivamente comunicate dalla Banca d’Italia alla RAGIONE_SOCIALE con lo ‘stralcio ispettivo’ del marzo 2017, e perciò
carente il presupposto di fatto per l’insorgenza della ricordata «presunzione giurisprudenziale». La censura per violazione dell’art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998 non lascia emergere quell’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo, che potrebbe giustificare la cassazione della sentenza.
Non risultano infine indicati, nelle censure ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ‘fatti storici decisivi’, che, se esaminati dalla Corte d’appello, avrebbero perciò determinato con certezza un esito diverso in ordine alla individuazione del momento dell’accertamento degli illeciti ai fini della decorrenza del termine per la contestazione. I ricorrenti propugnano, piuttosto, un ‘diverso’ e più favorevole esame dei fatti storici allegati, e invocano, in sostanza, apprezzamenti di fatto difformi da quelli operati dai giudici del merito, auspicando che questa Corte proceda ad un accesso diretto agli atti e ad una loro rinnovata delibazione mediante applicazione di regole inferenziali.
5. È oggetto di censure anche la statuizione della Corte di Bari che ha ritenuto corretta l’applicazione delle sanzioni secondo la disciplina previgente al d.lgs. n. 75 del 2015, essendosi le condotte perfezionate in epoca anteriore all’entrata in vigore delle nuove norme.
Tali censure sono infondate, dovendosi dare continuità all’orientamento consolidato di questa Corte. Trova applicazione, nella specie, ratione temporis , il testo dell’art. 191, comma 2, TUF, in relazione a chiunque effettua un’offerta al pubblico in violazione dell’art. 94, comma 2, antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 72/2015, secondo il regime transitorio di cui all’art. 6, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 72 del 2015. Non vi è ragione per invocare l’operatività della nuova e più favorevole disciplina – parimenti introdotta dal d.lgs. 72/2015 -, a tenore del quale, peraltro, è
comunque sanzionabile colui che svolga funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo, nonché il personale, la cui condotta abbia inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali, ovvero abbia provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per la trasparenza, l’integrità e il corretto funzionamento del mercato.
Neppure induce a diversa conclusione quanto statuito dalla Corte Cost. con la sentenza 21 marzo 2019, n. 63, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 72, nella parte in cui tale norma, appunto, escludeva l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dal comma 3 dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dall’art. 187bis e dall’art. 187 -ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. La Corte costituzionale , premessa l’applicabilità del principio della retroattività della lex mitior in materia penale – fondato sull’art. 3 Cost. e sull’art. 117, primo comma, Cost. – anche alle sanzioni amministrative che abbiano natura “punitiva”, quali appunto sono le sanzioni amministrative previste per l’abuso di informazioni privilegiate di cui all’art. 187bis del d.lgs. n. 58 del 1998, ha così affermato che la deroga alla retroattività in mitius stabilita dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015 non supera il “vaglio positivo di ragionevolezza” ed è, pertanto, costituzionalmente illegittima. La natura sostanzialmente punitiva della sanzione pecuniaria stabilita dall’art. 187 -bis del d.lgs. n. 58 del 1998 è stata ravvisata dalla Corte Costituzionale alla luce della sua ‘elevatissima carica afflittiva’, giacché ‘destinata, nelle intenzioni del legislatore, ad eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall’autore, a sua volta oggetto di separata confisca’, ‘in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente
comune anche alle pene in senso stretto’. La natura «penale» di tale sanzione, ai sensi dell’art. 50 CDFUE, proprio in considerazione del suo «elevato carico di severità», è stata, peraltro, conclamata anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 20 marzo 2018, COGNOME e altri, in cause C-596/16 e C-596/16, paragrafo 38; nello stesso senso, ancora Cass. n. 31632 del 2018). Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, ha quindi negato la legittimità della deroga, contenuta nell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, alla retroattività in mitius del più favorevole regime sanzionatorio introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015 (il cui principale effetto pratico è consistito nella “dequintuplicazione” delle sanzioni amministrative previste dal d.lgs. n. 58 del 1998), risultandone irragionevolmente sacrificato il diritto degli autori dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate a vedersi applicare una sanzione proporzionata al disvalore del fatto, secondo il mutato apprezzamento del legislatore, che riflette, evidentemente, la consapevolezza del carattere non proporzionato di un minimo edittale di centomila euro.
L’interpretazione secondo cui non trovano applicazione nel caso in esame le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 apportate dal d.lgs. n. 72 del 2015, trattandosi di violazioni commesse prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca d’Italia, come dispone l’art. 6 del d.lgs. n. 72 cit., discende, allora, dalla considerazione che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE in tema di disciplina degli intermediari e di offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita di prodotti finanziari e ammissione alla negoziazione di titoli non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE ai sensi degli 187-bis e 187-ter del TUF, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono, quindi, un
problema di compatibilità con le garanzie riservate dall’art. 7 CEDU ai fini dell’applicazione all’imputato della legge più favorevole (si vedano Cass. n. 20689 del 2018; n. 23814 del 2019, anche per la motivazione sulla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015; n. 8855 del 2017; n. 8046 del 2019; n. 3248, n. 3243, n. 30499 e n. 30500 del 2022; n. 24375 e n. 33788 del 2023).
Quanto ai profili di responsabilità, essi sono censurati nei diversi ricorsi sotto più aspetti. La Corte d’appello di Bari: a) avrebbe errato nel richiedere la pubblicazione nel prospetto informativo delle indicazioni sul modello e sulle metodologie di pricing ; b) non avrebbe considerato l’affidamento ingenerato dalla RAGIONE_SOCIALE circa il fatto che nei prospetti non dovessero indicarsi metodi di determinazione del prezzo delle azioni diversi da quello utilizzato; c) non avrebbe tenuto conto, nemmeno in sede di quantificazione delle sanzioni, del contenuto delle deleghe attribuite ai diversi componenti del consiglio di amministrazione.
E’ allora indispensabile, per far fronte alle molteplici doglianze che lamentano, pure promiscuamente, violazioni di norme di diritto e difetti di attività perpetrati della Corte di appello di Bari (e, cioè, che i giudici del merito, pur prendendo in esame le questioni devolute in sede di opposizione, le abbiano risolte in modo giuridicamente non corretto, ovvero che essi non abbiano giustificato adeguatamente le decisioni al riguardo rese), premettere per tutte i passaggi più rilevanti della sentenza oggetto di impugnazione.
La sentenza della Corte d’appello di Bari ha affermato:
‘ eppure fondate sono le doglianze attinenti la sussistenza delle contestate violazioni amministrative all’art. 94, comma secondo, TUF, a norma del quale, il prospetto -imposto dal primo comma in
presenza di offerte al pubblico, qual è quella relativa all’operazione di aumento di capitale -contiene, in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti. Il prospetto contiene altresì una nota di sintesi la quale, concisamente e con linguaggio non tecnico, fornisce le informazioni chiave nella lingua in cui il prospetto è stato in origine redatto. Il formato e il contenuto della nota di sintesi forniscono, unitamente al prospetto, informazioni adeguate circa le caratteristiche fondamentali dei prodotti finanziari che aiutino gli investitori al momento di valutare se investire in tali prodotti.
Più nel dettaglio, il par. 5.3.1 dell’All. III Reg. 809/2004/CE, in tema di ‘ Informazioni minime da includere nella nota informativa sugli strumenti finanziari relativa ad azioni ‘, prevede l’ indicazione del prezzo al quale saranno offerti gli strumenti finanziari. Se il prezzo non è noto, o se non esiste un mercato consolidato e/o liquido per gli strumenti finanziari, indicare il metodo di determinazione del prezzo dell’offerta, nonché i soggetti che hanno fissato i criteri o sono formalmente responsabili della determinazione. Indicazione dell’ammontare delle spese e delle imposte specificamente poste a carico del sottoscrittore o dell’acquirente. La disciplina in argomento è, all’evidenza, dettata a tutela degli investitori al fine di consentire a ciascuno la corretta percezione dei dati occorrenti al compimento di scelte consapevoli (cfr. Cass. Sez. 1, n. 15707/2018).
Tale esigenza impone, quindi, l’indicazione del metodo di determinazione del prezzo di offerta, ogniqualvolta difetti un mercato
consolidato e/o liquido che offra sufficienti garanzie in ordine all’attendibilità e all’oggettività del prezzo offerto.
Nel caso in esame, va esclusa la configurabilità di un mercato consolidato e/o liquido e, pertanto, si imponeva l’indicazione chiara e trasparente delle modalità di determinazione del prezzo d’offerta, ai fini della scelta consapevole da parte dell’investitore, alla luce della corretta valutazione delle condizioni economiche dell’offerta, finalità certamente non soddisfatta dalla mera enunciazione del prezzo di emissione, ex art. 2528 cod. civ., unilateralmente determinato dall’assemblea sociale BPB, scontato del 6%.
In altri termini, l’indispensabile confronto tra i dati esposti pubblicamente attraverso il Prospetto, in funzione della valutazione di convenienza del prezzo di offerta, risulta frustrato dal fatto che il termine di confronto e il dato da confrontare si sovrappongono, a parte la decurtazione del 6%.
Inoltre, il sistema di scambio interno alla Banca, cui la stessa fa richiamo, non presentava i requisiti minimi, secondo la Direttiva MIFID ‘1’ (2004/39/CE), per essere qualificato come ‘mercato non regolamentato’, nel quale -come emerge dal rapporto ispettivo di Banca d’Italia del 21/3/2017 avrebbero potuto includersi i MTF ovvero gli internalizzatori sistematici intendendosi per essi, a norma dell’art. 4 Dir. MIFID ‘1’ cit., quelle imprese di investimento che, in modo organizzato, frequente e sistematico, negoziano, per conto proprio, eseguendo gli ordini dei clienti, al di fuori del mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione (quest’ultimo cioè gestito da una impresa d’investimento e da un gestore del mercato attraverso il quale è reso possibile l’incontro secondo regole ben definite e non discrezionali -di plurime offerte di acquisto e di vendita di titoli).
Come condivisibilmente osservato dalla difesa RAGIONE_SOCIALE, sulla base dei rilievi di Banca d’Italia espressi nel suo rapporto ispettivo, il sistema di scambio interno a BPB non offriva sufficienti garanzie di liquidità per plurime ragioni: a) predeterminazione ed immodificabilità del prezzo nel corso dell’anno; b) previsione di sole due aste al mese, costituente limitazione alla libera circolazione delle azioni, per altro chiaramente evidenziata dalla stessa Banca nel Prospetto 2014, ove era posta in risalto la possibilità, collegata alla mancata ammissione delle azioni BPB alla negoziazione su un mercato regolamentato o su mercati equivalenti, di difficoltà nella vendita, in difetto di controparti disponibili all’acquisto in tempi ragionevolmente brevi o ‘a prezzi in linea con le proprie aspettative’, non assumendo l’Emittente impegni di riacquisto, riservandosi la Banca ‘la facoltà di intervenire in contropartita diretta in ciascuna sessione di negoziazione utilizzando il RAGIONE_SOCIALE Acquisto azioni proprie nei limiti previsti dalla legge e dai regolamenti tempo per tempo vigenti’, nonché non assumendo impegni anche nel mantenere in futuro il sistema di negoziazione interno, neanche assimilabile -come già evidenziato -all’attività di internalizzazione sistematica o al sistema multilaterale di negoziazione, entrambe soggette ad autorizzazione della RAGIONE_SOCIALE.
Nello stesso Prospetto 2014, vengono evidenziati i tempi medi per la vendita delle azioni, indicati in 70,4 giorni, certamente incompatibili con la pronta liquidità delle azioni, quest’ultima esclusa anche dal fatto che, nel medesimo Prospetto, BPB ha ritenuto di non limitarsi ad indicare il prezzo d’offerta, spingendosi alla parziale specificazione delle modalità di calcolo, così dichiarando ‘ Tale ultimo Prezzo di Emissione è stato stabilito ai sensi dell’art. 2528 c.c., tenendo in considerazione il patrimonio netto della Banca e tenendo anche presente nel calcolo del prezzo la metodologica dei multipli di
transazioni comparabili ed in particolare il multiplo ‘price/tangible book value’ (P/TBV), che rapporta il prezzo dell’azione al patrimonio netto tangibile, e che è ampiamente utilizzato sul mercato per rappresentare il valore di una banca ‘.
Orbene, l’esigenza avvertita dalla stessa BPB di estendere le informazioni, nel Prospetto, anche alle modalità di determinazione del prezzo di emissione ex art. 2528 cod. civ., avrebbe ragionevolmente imposto, in ossequio al dovere di correttezza, trasparenza e buona fede, la necessità di enunciare tutte le metodologie di calcolo analizzate in sede di determinazione del prezzo stesso, quand’anche non utilizzate poi in concreto, quindi anche quelle -invece trascurate da BPB – che davano luogo a intervalli di prezzo più bassi: tanto avrebbe consentito agli investitori l’acquisizione di un più completo quadro informativo, per una scelta più consapevole sulla convenienza dell’offerta.
D’altronde, come sottolineato dalla difesa di RAGIONE_SOCIALE e confermato dal Supremo Collegio, il Regolamento 809/2004/CE fornisce unicamente le “informazioni minime”, di carattere non esaustivo, che devono corredare i prospetti, mentre l’art. 94 TUF contiene una previsione di carattere decisamente elastico e residuale, essendo ivi previsto che il prospetto debba comunque contenere “tutte le informazioni” necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti. L’ampiezza dell’art. 94 TUF e, al contempo, il carattere non esaustivo di schemi e moduli allegati al Regolamento consentono, dunque, di escludere che le informazioni da inserire nei prospetti siano esclusivamente quelle riconducibili al Regolamento medesimo, dovendosi anzi ritenere che, proprio per la loro funzione (quella, cioè, di consentire un
investimento consapevole) i prospetti vadano corredati da informazioni da adattare, nel rispetto del “minimo” prescritto dalla normativa unionale, alle circostanze del caso concreto (cfr. in termini, in motivazione, Cass. Sez. 2^ n. 8806/2018).
Ciò consente di ritenere che, nel caso in esame, proprio per l’esigenza, avvertita anche dalla stessa Banca, di non limitare le informazioni riportate nei Prospetti all’indicazione del prezzo dell’offerta pari a quello di emissione decurtato del 6%, per altro di determinazione unilaterale ed in difetto di possibilità di conforto dalle risultanze di mercati consolidati e liquidi, il panorama informativo diretto agli investitori avrebbe dovuto estendersi a tutti gli aspetti analizzati (quindi anche alle metodologie produttive di un intervallo di prezzo più basso di quello poi prescelto), in sede di determinazione del prezzo di emissione, dall’ente investito della consulenza (RAGIONE_SOCIALE. D’altronde, se è pur vero che, concettualmente il prezzo di emissione e cosa diversa dal prezzo dell’offerta, è anche vero che nel caso concreto, la necessità di approfondimento informativo in ordine ai criteri di determinazione del primo è la ragionevole e naturale conseguenza del criterio -prescelto dal RAGIONE_SOCIALE BPB -di determinazione del prezzo d’offerta, commisurato al primo, sebbene decurtato del 6%.
In altre parole, il collegamento stretto tra i metodi di determinazione dei due prezzi riviene proprio dalla scelta operativa di BPB, che intese ricavare in maniera diretta il secondo dal primo. Pertanto, una completa ed adeguata informazione non avrebbe potuto prescindere dall’inserimento di intervalli di prezzo più bassi emersi nelle perizie di COGNOME relative agli anni 2014 e 2015, con effetto benefico per gli investitori, indotti ad una maggiore e migliore ponderazione sulla convenienza degli investimenti.
Non v’è ragione, poi, per escludere l’utilità della suddetta informazione, se è vero, com’è vero, che essa era stata pure ritenuta non superflua dalla stessa COGNOME nelle sue perizie, tanto che aveva esposto le metodologie dei ‘multipli di transazioni comparabili’ ovvero dei ‘multipli del mercato secondario di banche non quotate’, con enunciazione dei relativi range di prezzo, sebbene a soli fini rappresentativi in un unico e inscindibile processo di valutazione, così qualificato dalla stessa consulente.
In definitiva, posto che l’addebito mosso a BPB attiene ad un aspetto meramente formale, quello cioè dell’incompletezza dell’informazione contenuta nei Prospetti 2014 e 2015, non anche alla congruità dei prezzi di offerta, l’esclusione delle suddette informazioni non può trovare giustificazione ragionevole nella ritenuta superfluità dei dati omessi, perché il loro inserimento avrebbe comunque consentito un risultato informativo più completo per l’investitore, ai fini di una sua scelta più consapevole.
D’altronde si ribadisce -che l’informazione, nei sensi richiesti da RAGIONE_SOCIALE, non fosse di per sé superflua, come ritenuto invece dalla difesa della Banca, si desume dalla semplice circostanza che le medesime informazioni furono comunque ritenute utili da COGNOME nelle sue perizie del 2014 e del 2015.
Neanche fondamento hanno le censure mosse dagli opponenti in ordine all’imputabilità alle persone fisiche delle violazioni accertate ed alla quantificazione della sanzione pecuniaria.
In primo luogo, a tutti i componenti del consiglio di amministrazione è attribuibile la predisposizione dei prospetti, approvati nelle riunioni del 29/9/2014 e del 31/12/2014.
È pur vero che, all’esito delle stesse, fu delegato al presidente del consiglio di amministrazione e al direttore generale il compito di completare il documento in oggetto e/o di modificarlo e/o di
integrarlo secondo necessità e/o opportunità. È anche vero, tuttavia, che, con il conferimento della delega, gli altri consiglieri non avrebbero potuto ritenersi esautorati da ogni doveroso intervento, restando a loro carico, quanto meno, il compito di vigilare e di informarsi sull’operato degli organi e funzionari delegati, al fine di assicurarsi che fosse dagli stessi portato a termine il compito affidato in maniera puntuale e corretta (in tal senso, cfr. Cass. Sez. 2, n. 2737/2013; Sez. 1, n. 17799/2014; Sez. 2, n. 18683/2014; Sez. 2 n. 5606/2019).
D’altronde, nulla è stato provato, né tanto meno allegato, per dimostrare la diligente, quanto infruttuosa, attivazione di ciascun amministratore al fine di impedire la consumazione degli illeciti amministrativi oggetto di causa.
Il presidente del consiglio di amministrazione (COGNOME NOME), il direttore generale (COGNOME NOME) e l’amministratore delegato nonché direttore generale subentrato al COGNOME (COGNOME NOME), inoltre, rispondono delle violazioni accertate in misura maggiore, rilevante ai fini della quantificazione della sanzione, in considerazione del ruolo qualificato, agli stessi affidato, che li ha visti coinvolti in prima persona nella predisposizione dei Prospetti, risultati incompleti sotto il profilo informativo, nei sensi sopra evidenziati.
Per altro, il presidente del C.d.A. sottoscrisse, per entrambi i Prospetti, le dichiarazioni, previste dall’All. 1° Regolamento RAGIONE_SOCIALE n. 11971/1999 e dall’art. 94/2 TUF, e tanto induce a ritenere maggiore la responsabilità per gli illeciti in argomento, ai fini della quantificazione della sanzione.
Sicché, corretta e condivisibile è la quantificazione operata da RAGIONE_SOCIALE a suo carico, diversa e più severa, sia rispetto a quella irrogata a carico di tutti i componenti il consiglio di amministrazione, sia rispetto
a quella inflitta agli altri delegati (direttori generali e amministratore delegato).
Quanto ai componenti il collegio sindacale (COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), la loro responsabilità discende dal ruolo istituzionale dagli stessi ricoperto, ruolo implicante una funzione di controllo sul corretto adempimento, da parte degli altri organi societari, dei rispettivi doveri, a mente dell’art. 2403 e seg. cod. civ. Non va trascurato, al riguardo, che, per un verso, i componenti del collegio sindacale erano pienamente consapevoli e informati delle delibere del C.d.A. in merito all’adozione dei Prospetti 2014 e 2015 e, per altro verso, spettava agli stessi, anche singolarmente, un potere ispettivo che avrebbe loro consentito di verificare, in qualsiasi momento, l’esecuzione, da parte degli organi incaricati, delle deleghe conferite dal CRAGIONE_SOCIALE al proprio presidente e ai direttori generali ‘.
9. A fronte di tale articolata motivazione della sentenza impugnata, deve darsi risposta alle censure di violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ove esse risultano effettivamente dirette a colpire i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: quello, cioè, concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto, risolvendosi la violazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella negazione o nell’affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una precetto legislativo, ovvero nell’attribuzione ad esso di un contenuto che non ha; e quello invece concernente la sussunzione del caso concreto nella norma stessa correttamente individuata ed interpretata, risolvendosi la allegazione del vizio di falsa applicazione nell’assumere che la fattispecie di causa è stata giudicata in base ad una disposizione che non le si addice, o che siano state tratte dalla norma in relazione alla res litigiosa conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.
Estraneo al giudizio di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. è ogni profilo di censura finalizzato a dimostrare l’erronea ricognizione da parte dei giudici del merito della fattispecie concreta attraverso la valutazione delle risultanze probatorie.
Può così già concludersi che nessuno dei motivi ricondotti o riconducibili al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è fondato. Nessuno di quelli proposti dai ricorrenti attiene, invero, ad un fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Le censure avanzate o non risultano rispettose del requisito di contenutoforma dettato dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (in quanto non illustrano il contenuto rilevante degli atti processuali o dei documenti su cui si fondano, oppure non specificano come e quando il singolo ‘fatto’ sia stato sottoposto alla discussione nel contraddittorio tra le parti, mediante analitica istanza nei rispettivi scritti difensivi avanzata prima della maturazione delle preclusioni assertive e istruttorie), o riguardano fatti non decisivi (cioè inidonei a determinare con certezza, se apprezzati correttamente, l’accoglimento dell’opposizione), o, infine, e ciò nella maggior parte dei casi, concernono fatti comunque presi in considerazione nella sentenza della Corte d’appello di Bari (di talché le doglianze tendono, nella sostanza, a lamentare non un omesso esame, ma un esame contrario alla aspettative delle parti).
10. L’art. 191 TUF (Offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita), nella formulazione ratione temporis applicabile, sanzionava ‘chiunque’ effettua un’offerta al pubblico in violazione degli articoli 94, comma 1 e 98-ter, comma 1; nella specie, ai ricorrenti è stata contestata la violazione dell’art. 94, secondo comma, del TUF, per
avere la Banca, nell’ambito delle operazioni di aumento di capitale 2014 e 2015, omesso di riportare nei Prospetti 2014 e 2015 informazioni complete in merito alla determinazione del prezzo di offerta delle azioni BPB, avuto riguardo alle valutazioni formulate dal consulente incaricato di assistere la Banca nella stima del valore delle azioni, così determinando l’impossibilità per gli investitori di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulle azioni offerte. L’art. 94, secondo comma, cit., nella formulazione vigente all’epoca dei fatti di causa, stabilisce che il prospetto contiene, in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti. Il prospetto contiene altresì una nota di sintesi e i due documenti devono fornire informazioni adeguate circa le caratteristiche fondamentali dei prodotti finanziari che aiutino gli investitori al momento di valutare se investire in tali prodotti.
La Corte d’appello di Bari ha concluso che, in ossequio al dovere di correttezza, trasparenza e buona fede, vi fosse necessità di enunciare tutte le metodologie di calcolo analizzate in sede di determinazione del prezzo stesso, quand’anche non utilizzate poi in concreto, quindi pure quelle -invece trascurate da BPB – che davano luogo a intervalli di prezzo più bassi, aspetto analizzato, in sede di determinazione del prezzo di emissione, dall’ente investito della consulenza.
La norma, per come vigente, sanzionava ‘chiunque’ effettuasse un’offerta al pubblico violando le prescrizioni inerenti alla pubblicazione del relativo prospetto informativo, pur non essendone l’offerente, l’emittente od il responsabile del collocamento, ancorché
egli si limitasse ad operare nell’ambito di un’attività di collocamento svolta alle dipendenze del soggetto responsabile.
In particolare, la pubblicazione del “prospetto informativo” è prevista nelle ipotesi di sollecitazione all’investimento, ai sensi dell’art. 94, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 58 del 1998 (nel testo “ratione temporis” vigente), caratterizzate per essere l’offerta comunque rivolta, secondo lo schema dell’art. 1336 c.c., ad un numero indeterminato ed indistinto di investitori in modo uniforme e standardizzato, cioè a condizioni di tempo e prezzo predeterminati (Cass. n. 18039 del 2012; n. 8733 del 2016; n. 7575 del 2019).
La sentenza impugnata ha considerato che, perché il prospetto contenesse, in forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che occorrevano agli investitori per pervenire ad un fondato giudizio sul se investire nei prodotti offerti, sarebbe stato necessario non soltanto indicare il prezzo ed il metodo di determinazione del prezzo, ma anche fornire ulteriori informazioni circa i criteri di determinazione del prezzo non seguiti, che avrebbero dato luogo ad intervalli più bassi.
Si tratta di interpretazione conforme alle prescrizioni sui requisiti informativi già stabiliti dal paragrafo 5.3.1 dell’Allegato III al Regolamento n. 809/2004/CE in materia di “fissazione del prezzo”, nonché alle migliori prassi di mercato seguite dagli emittenti quotati (cfr. Cass. n. 8806 del 2018). Anche ove l’emittente fornisca nel prospetto il prezzo definitivo di offerta, vi possono essere circostanze, legate fondamentalmente allo svolgimento di negoziazioni su detti strumenti finanziari al di fuori di un mercato consolidato e/o liquido, che rendono raccomandabile l’inserimento nel prospetto medesimo di ulteriori informazioni circa i criteri di determinazione del prezzo. Ciò, in particolare, ove gli strumenti finanziari siano trattati in un mercato
non regolamentato che non assicura meccanismi trasparenti per la formazione e pubblicazione dei prezzi in esso registrati.
L’accertamento della adeguatezza del prospetto rispetto agli scopi prefissati dall’ art. 94, secondo comma, TUF è, comunque, frutto di apprezzamento che spetta ai giudici del merito e che non è sindacabile in sede di legittimità mediante censura per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Non rappresenta un punto di debolezza delle motivazioni della sentenza impugnata, a differenza di quanto invece si assume in alcune censure, l’affermazione in essa contenuta secondo cui ‘l’addebito mosso a BPB attiene ad un aspetto meramente formale, quello cioè dell’incompletezza dell’informazione contenuta nei Prospetti 2014 e 2015, non anche alla congruità dei prezzi di offerta’. Questa argomentazione è, piuttosto, coerente con la considerazione che le verifiche, da parte dei soggetti responsabili dei prospetti relativi alle offerte pubbliche (nella specie, quelli approvati nelle riunioni del 29 settembre e del 31 dicembre del 2014), della coerenza della base contabile adottata con i principi applicati, attengono proprio alla correttezza formale nella redazione dei dati previsionali e devono avere ad oggetto tutte le informazioni incluse in essi.
Quanto poi all’elemento soggettivo, la Corte d’appello ha fatto legittimo ricorso alla presunzione iuris tantum in ragione delle cariche societarie rivestite dai ricorrenti, le cui singole posizioni sono state analizzate nelle pagine 28 e segg. della sentenza impugnata, ed in assenza di dimostrazione della estraneità dei medesimi ai fatti o all’impossibilità di evitarli tramite un diligente espletamento dei compiti connessi alle rispettive cariche.
Invero, doveri di particolare pregnanza sorgono in capo al consiglio di amministrazione di una RAGIONE_SOCIALE, doveri che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i
quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi (fra le tante, Cass. n. 24851, n. 24081 e n. 16323 del 2019).
Le attività oggetto di causa avrebbero dovuto indurre gli amministratori, pure non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo. Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle RAGIONE_SOCIALE bancarie, sancito dagli artt. 2381, commi 3 e 6, e 2392 c.c., non va, del resto, rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto, il quale afferma la
responsabilità, allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima od all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste per iscritto all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazione, la segnalazione al p.m. o all’autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno.
Non costituisce dato di per sé decisivo nemmeno la circostanza, posta a fondamento di alcune censure, attinente alla qualità di ‹‹ consiglieri indipendenti ›› rivestita in seno all’organo amministrativo. Anche, infatti, gli amministratori indipendenti sono comunque ‹‹amministratori››, dotati di tutte le prerogative e gravati dei doveri tipici di questo ufficio, muniti di una competenza generale sul governo della RAGIONE_SOCIALE, parimenti incaricati di funzioni di management , di direzione e anche di controllo interno, sicché la loro ‹‹indipendenza›› non li rende per ciò solo estranei alle dinamiche gestionali. Anzi, gli amministratori indipendenti cumulano le tipiche attribuzioni gestorie stricto sensu alle precipue competenze di monitoraggio dell’attività degli esecutivi, al punto che il loro ruolo attivo essenziale attiene proprio alla verifica dell’operato degli altri amministratori e dei manager, per evitare che vengano commessi abusi da parte di chi esercita il potere all’interno della RAGIONE_SOCIALE ed assicurare che l a medesima RAGIONE_SOCIALE persegua nello svolgimento della propria attività i principi di trasparenza e correttezza. Resta quindi confermata pure
per gli ‹‹ amministratori indipendenti›› l’interpretazione giurisprudenziale in forza della quale ‘a fronte di una vicenda di assoluta rilevanza per la gestione della RAGIONE_SOCIALE‘ – quale un’offerta al pubblico finalizzata ad un aumento di capitale sussiste ‘in capo all’intera compagine amministrativa il dovere di attivarsi, e perciò la connessa rilevanza della loro condotta omissiva nella causazione dell’illecito’ (Cass. n. 18846 del 2018).
A tal fine, non è plausibile neppure l’invocazione di un affidamento ingenerato dalla RAGIONE_SOCIALE circa la correttezza dell’operato dei ricorrenti. Agli effetti dell’esimente della buona fede di cui all’art. 3, secondo comma, della legge 24 novembre 1981 n. 689, non è stata data prova di atti positivi delle competenti autorità, volti a creare un ragionevole affidamento sulla legittimità delle condotte contestate, non rilevando a tal fine, al contrario, un comportamento tacito che si desume in via inferenziale dalla non immediata attivazione della procedura sanzionatrice (cfr. Cass. n. 24386 del 2023).
Così, parimenti, riscontrata la violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la complessa articolazione della struttura organizzativa di una RAGIONE_SOCIALE di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione , gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della RAGIONE_SOCIALE di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare RAGIONE_SOCIALE, a
garanzia degli investitori -e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia ed alla RAGIONE_SOCIALE (Cass. n. 6037 del 2016; n. 5357 del 2018; n. 1602 del 2021).
La Corte d’appello di Bari ha evidenziato che a tutti i componenti del consiglio di amministrazione era attribuibile la predisposizione dei prospetti, approvati nelle riunioni del 29 settembre e del 31 dicembre del 2014. I giudici del merito hanno poi differenziato le posizioni con riguardo alle specifiche deleghe conferite in riferimento alla quantificazione delle rispettive sanzioni. Non rileva decisivamente ai fini della responsabilità, come detto, la distinzione prospettata dai ricorrenti tra amministratori delegati ed amministratori indipendenti. Spetta, peraltro, al giudice del merito del procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione del TUF il potere di quantificarne l’entità, entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri della gravità della violazione, della personalità dell’agente e delle sue condizioni economiche, ove dedotte (Cass. n. 9126 del 2017).
11. Tutti i ricorsi vanno perciò rigettati.
Sussistendo il requisito dell’interesse comune tra i più soccombenti, per la convergenza degli atteggiamenti difensivi rispetto alle questioni dibattute in causa, si giustifica la condanna in solido degli stessi, ai sensi dell’art. 97 c.p.c., a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo unico complessivo, aumentato in base ai criteri di cui all’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, come liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta tutti i ricorsi e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 15.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile