Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1518 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1518 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7383-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’ avv. NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DI COGNOME NOME E COGNOME NOME, in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5956/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/09/2018;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 14.7.2009 il Fallimento COGNOME NOME e COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Cassino, invocando l’emissione di sentenza di accertamento della sua proprietà di un complesso adibito ad albergo e ristorante, edificato su terreno demaniale da COGNOME NOME, in ampliamento di un preesistente edificio pervenuto al medesimo per successione dei genitori, che a loro volta lo avevano acquistato giusta atto per notaio COGNOME del 12.6.1976, ed in subordine per l’accertamento dell’usucapione del predetto complesso edilizio a fronte del suo possesso ultraventennale da parte del COGNOME NOME. Il Fallimento deduceva che il terreno, di proprietà del Comune di San Vittore del Lazio, era stato ceduto a COGNOME NOME con atto dell’8.8.2007, con espressa esclusione del complesso immobiliare sullo stesso insistente, che dunque era rimasto di proprietà del padre COGNOME NOME, che lo aveva edificato e comunque posseduto per oltre un ventennio.
Nella resistenza del convenuto il Tribunale, con sentenza n. 504/2013, accoglieva la domanda principale.
Con la sentenza impugnata, n. 5956/2018, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame proposto da COGNOME NOME avverso la decisione di prime cure.
Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento COGNOME NOME e COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe affermato l’esistenza di un diritto di superficie ex lege di COGNOME NOME sul terreno acquistato nel 2007 da COGNOME NOME, in virtù della semplice edificazione del complesso immobiliare insistente sulla predetta area.
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha affermato che, per effetto della sanatoria degli abusi edilizi realizzati dal COGNOME NOME su area demaniale, costui aveva acquisito il diritto di superficie ex lege sulle aree occupate senza titolo, per effetto della disposizione di cui all’art. 32, comma quinto, della legge n. 47 del 1985 (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
La domanda proposta dal Fallimento, tuttavia, non era diretta ad ottenere l’accertamento dell’esistenza, in capo al COGNOME NOME, di un diritto di superficie, bensì del diritto di proprietà dell’immobile, in tesi per averlo edificato su area demaniale in ampliamento di preesistente edificio di sua proprietà, ed in ipotesi per averlo usucapito.
La statuizione della Corte territoriale, quindi, è stata assunta in difetto di relativa domanda, non potendosi, sul punto, neppure richiamare il principio della natura autodeterminata dei diritti reali, stante la differenza esistente tra il diritto di proprietà, che costituiva oggetto della domanda del Fallimento, e quello di superficie, effettivamente riconosciuto dal giudice di merito a favore della procedura concorsuale istante. Sul punto, va ribadito che ‘La proprietà superficiaria deve ritenersi un diritto ontologicamente diverso da quello di piena proprietà, cosicché, ove -nell’ambito di un
contratto preliminare di compravendita- il promittente venditore si sia obbligato a trasferire al promissario acquirente la proprietà piena di un immobile del quale abbia soltanto la proprietà superficiaria, ricorre la figura dell’aliud pro alio, che legittima l’azione per la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1453 c.c..; ove, poi, la promessa di vendita abbia ad oggetto la proprietà di un immobile senza ulteriore specificazione, deve presumersi che si tratti della piena proprietà, spettando al promittente venditore l’onere di provare che il promissario acquirente era a conoscenza dell’inerenza dell’obbligo alla sola proprietà superficiaria’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23547 del 09/10/2017, Rv. 645581). Il principio, affermato in relazione ad una fattispecie in cui si controverteva circa la corrispondenza tra i due istituti, della piena proprietà e della proprietà superficiaria, può ben essere esteso anche al caso di specie: la diversità ontologica tra i due istituti, quindi, esclude che il giudice di merito possa, in difetto di domanda, accertare l’uno in luogo dell’altro, non sussistendo, peraltro, tra piena proprietà e proprietà superficiaria, neppure un rapporto di continenza.
Peraltro, l’art. 32, comma quinto, della legge n. 47 del 1985 prevede che ‘Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all’uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all’uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle
costruzioni oggetto della sanatoria, oltre a quelle delle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all’area coperta dal fabbricato. Salve le condizioni previste da leggi regionali, il valore è stabilito dall’ufficio tecnico erariale competente per territorio sulla base di quello del terreno all’epoca della costruzione aumentato dell’importo corrispondente alla variazione del costo della vita così come definito dall’ISTAT al momento della determinazione di tale valore. L’atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall’ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell’importo come sopra determinato’ .
La norma, quindi, prescrive che la domanda di sanatoria sia accoglibile soltanto qualora l’ente pubblico proprietario del suolo occupato con la costruzione abusiva abbia espresso il consenso all’uso del suolo, dietro versamento del valore stabilito dall’ufficio tecnico erariale territorialmente competente e sottoscrizione di un atto di disponibilità della durata massima di anni sessanta. Né dalla sentenza impugnata, né dal controricorso, nel quale peraltro è testualmente riprodotta anche la decisione di prime cure, emerge che le condizioni previste dalla legge si siano verificate. Sia il Tribunale, infatti, che la Corte di Appello hanno fatto riferimento esclusivamente alla ‘sanatoria’ degli abusi edilizi, e non al ‘rilascio della concessione in sanatoria’ di questi ultimi; l’espressione utilizzata dal giudice di merito, dunque, potrebbe alludere alla mera presentazione della domanda di sanatoria, che assicura comunque la commerciabilità del bene, ove sia dimostrato l’avvenuto pagamento delle prime due rate dell’oblazione edilizia, (cfr . Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23541 del 09/10/2017, Rv. 645580; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 52 del 07/01/2010, Rv. 610647; Cass Sez. 2, Sentenza n. 8685 del 17/08/1999, Rv. 529350).
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che l’edificazione del fabbricato di cui è causa ad opera di COGNOME Mario non sarebbe stata contestata dall’odierno ricorrente.
La censura è fondata.
Il ricorrente riporta -ai fini della specificità della doglianza- la parte dell’atto di gravame con il quale aveva espressamente contestato che l’edificio fosse stato realizzato dal padre, evidenziando, tra l’altro, che in relazione allo stesso erano state presentate diverse domande di rilascio di concessione in sanatoria, anche a firma di COGNOME NOME. Lo stesso, inoltre, aveva evidenziato che lo stesso atto del 2007, con il quale egli aveva acquistato la proprietà del suolo sul quale insiste il manufatto di cui è causa, dava atto che, in relazione alla parte di edificio realizzata dopo il 1.9.1967 lo stesso COGNOME NOME aveva presentato domanda di rilascio della concessione in sanatoria corredata delle ricevute di pagamento delle rate di oblazione e degli oneri accessori (cfr. ancora pag. 6 del ricorso). L’odierno ricorrente, dunque, aveva specificamente contestato che il complesso edilizio fosse stato realizzato soltanto dal padre ed aveva indicato, al riguardo, precisi riscontri documentali, rappresentati dalla domanda di sanatoria e dall’atto di acquisto del terreno dell’8.8.2007.
Al riguardo, va peraltro rilevato che il riferimento, in detto atto, alla sola presentazione della domanda, e non anche al rilascio della concessione in sanatoria, dimostra che, a quella data, la procedura di regolarizzazione dell’abuso non si era conclusa, il che conferma l’impossibilità di configurare, a favore del COGNOME NOME, un diritto di proprietà superficiaria la cui insorgenza è espressamente condizionata, a norma dell’art. 32, comma quinto, della legge n. 47 del 1985, alla
manifestazione del consenso dell’ente pubblico proprietario del suolo occupato dalla costruzione realizzata senza titolo autorizzativo, al pagamento del valore dell’area determinato dal competente ufficio tecnico erariale ed alla firma di una convenzione della durata massima di sessanta anni.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che COGNOME NOME avrebbe acquistato, con l’atto per notar Gamberale del 12.6.1976, la proprietà del terreno sul quale è stato realizzato il fabbricato di cui è causa. Detto atto, infatti, faceva riferimento al trasferimento del solo possesso di una porzione di fabbricato rurale.
La censura è assorbita dall’accoglimento delle prime due.
Peraltro, giova osservare che la stessa parte controricorrente conferma che con l’atto del 1976 era stato trasferito al COGNOME NOME il ‘possesso di una porzione del fabbricato rurale in Cassino, località San Cesareo, composto di due camere al piano terra e due camere al primo piano, con diritto di accesso alle scale e coll’uso del bagno posto al primo piano e ciò fino a quando non costruirà a sua cura e spese altra scala e altro bagno, con adiacente terreno esteso are quaranta e centiare venti, a confine il tutto con largario comune, rimanente proprietà da attribuire a COGNOME NOME, COGNOME Gaetano, e via INDIRIZZO, in catasto al foglio 83, particella 408 (derivata dalla 267) di mq. 3910, RDL 101,76 e RAL 48,48 (derivata dalla 268) di mq. 110 senza redditi; il terreno e al foglio 83, particella 268/1 (il Fabbricato)’ (cfr . pag. 13 del controricorso). Stante la differenza ontologica esistente tra il possesso, che si sostanzia in una relazione di fatto tra il possessore e la cosa, e la proprietà, che costituisce un diritto reale il cui contenuto si realizza nella facoltà di escludere altri dal godimento e
dalla relazione con la cosa, è evidente che il titolo con il quale si trasferisca il solo possesso di un bene non è sufficiente a dimostrare l’acquisizione della proprietà dello stesso. Né è possibile affermare, come sembra fare la sentenza impugnata, che la proprietà di un fabbricato realizzato in ampliamento di altro, preesistente, appartenga al proprietario di quest’ultimo per effetto di una sorta di ‘accessione orizzontale’ , posto che il principio dell’accessione opera, per legge, soltanto in direzione verticale, e dunque con riferimento alla relazione esistente tra edificio e suolo sul quale esso è realizzato. La circostanza che i genitori del NOME NOME avessero acquistato con l’atto del 12.6.1976 la proprietà del fabbricato originario, poi ampliato sino a realizzare il complesso oggetto di causa, non è dunque in alcun modo rilevante ai fini dell’attribuzione della proprietà della porzione ampliata, per la quale deve farsi riferimento esclusivamente ai modi di acquisto della proprietà previsti dal codice civile.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia infine la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare il fatto decisivo, rappresentato dall’edificazione del fabbricato di cui è causa da parte del ricorrente, e non del padre COGNOME NOME.
La censura è assorbita dall’accoglimento dei primi due motivi.
In definitiva, vanno accolti i primi due motivi del ricorso e vanno dichiarati assorbiti gli ulteriori due motivi. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata in relazione alle censure accolte e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione.
PQM
la Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte
e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione.