Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4548 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4548 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5470-2021 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO NOME COGNOME INDIRIZZO, nello studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3757/2020 della CORTE DI APPELLO di ROMA, depositata il 27/07/2020;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 10.8.2007 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Roma, rivendicando la proprietà esclusiva della corte antistante il piano terreno di un fabbricato, riconoscendo alla convenuta la spettanza di una servitù di passaggio, per destinazione del padre di famiglia, sulla stessa, per accedere alla sua proprietà posta al primo piano del fabbricato.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda ed eccependo la proprietà comune dell’area oggetto di causa.
Con sentenza n. 12687/2013, il Tribunale adito rigettava la domanda, ritenendo che la corte fosse di proprietà comune.
Con la sentenza impugnata n. 3757/2020, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame principale proposto avverso la decisione di prime cure dall’odierno ricorrente, confermando la natura comune della corte esterna del fabbricato e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale spiegato da NOME, affermava la natura pertinenziale del sottotetto dell’edificio all’appartamento al primo piano, di proprietà esclusiva di quest’ultima, compensando le spese del doppio grado di giudizio.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME RobertoCOGNOME affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
A seguito di proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la parte ricorrente, con istanza del 2.10.2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe reso una motivazione apparente, fondata sulla pedissequa ed acritica adesione al contenuto della decisione di prime cure, a sua volta mutuato dalla C.T.U. esperita in quel grado di giudizio.
Con il secondo motivo, invece, denunzia la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe travisato il contenuto del contratto di divisione del 13.1.2004, che aveva assegnato al ricorrente i
subalterni 5 e 7, identificativi di una delle porzioni della corte oggetto di causa; avrebbe omesso di considerare il contenuto degli articoli 3, 4 e 5 del detto contratto, confrontandoli l’uno con l’altro; ed avrebbe, quindi, mancato di verificare la coerenza del contenuto del detto contratto con la condotta delle parti, antecedente e successiva alla sua stipulazione.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte distrettuale ha ritenuto che nella divisione del 2004 la corte esterna al fabbricato (oggetto della domanda principale di rivendicazione proposta dall’odierno ricorrente) non fosse stata menzionata ed ha dunque ritenuto che le parti non avessero inteso attribuirne la proprietà esclusiva allo COGNOME NOME, al quale era stato assegnato il piano terra dell’edificio in comune. Ha poi valorizzato la circostanza che con atto d’obbligo del 3.10.2003 le parti si erano impegnate a destinare il sottotetto a servizio dell’alloggio al primo piano (assegnato alla COGNOME NOME in sede di divisione) ed ha di conseguenza ravvisato la sussistenza del vincolo pertinenziale tra il primo ed il secondo.
A tale ricostruzione del fatto il ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). In particolare, non è consentito censurare l’interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito, ove essa non appaia manifestamente implausibile e non coerente con le pattuizioni negoziali, dovendosi ribadire che la censura che attinga l’ermeneusi deve concentrarsi sui criteri adottati dal giudice di merito,
e non invece sul risultato finale del procedimento interpretativo. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013).
Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi altresì ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del
proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il c.d. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole altresì della violazione degli artt. 1362 e ss., 817 e 818 c.c., nonché dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare l’esistenza di un vincolo pertinenziale tra la corte e gli immobili al piano terreno, assegnati in divisione al medesimo ricorrente. Il giudice del gravame, in particolare, avrebbe omesso l’interpretazione dell’art. 5 del contratto di divisione e non avrebbe applicato, in favore di COGNOME NOME, la presunzione legale di trasferimento, in uno al bene principale, anche delle relative pertinenze.
La censura è inammissibile, in quanto anch’essa, come le precedenti, attinge la ricostruzione in fatto e l’interpretazione del contratto di divisione e delle risultanze istruttorie prescelta dal giudice di seconde cure. Quest’ultimo, nel confermare la decisione di prima istanza, relativamente al rigetto della domanda dell’odierno ricorrente, ha escluso che la corte antistante il fabbricato fosse stata oggetto della
divisione, non ravvisando alcuna prescrizione, nel contratto del 13.1.2004, idonea a suffragare tale tesi. In particolare, la Corte capitolina ha affermato che ‘Né -contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante- può ritenersi che laddove è stato attribuito a COGNOME NOME l’intero piano terra debba intendersi non soltanto il piano terra del fabbricato, ma anche la corte circostante. E’ agevole infatti osservare che laddove le parti hanno inteso attribuire in proprietà esclusiva ad alcuno dei condividenti la corte (già di proprietà comune) lo hanno espressamente indicato, come per il caso di COGNOME NOME al quale è stata assegnata ‘la casa con piano terra con annessa corte’ al civico INDIRIZZO. Né si desumono ulteriori elementi che inducano a ravvisare l’esistenza di una diversa univoca volontà delle parti. Per di più nell’atto non è prevista espressamente la costituzione di una servitù di passaggio sulla corte in favore di NOME COGNOME, come invece sostiene l’appellante; pertanto anche tale circostanza induce a ritenere che l’appellata potesse usufruire del bene come cosa comune’ (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).
Il ricorrente contesta tale ricostruzione del fatto e del contenuto del contratto di divisione del 2004, intervenuto tra le parti, introducendo tuttavia, in tal modo, una doglianza relativa al merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità. Possono, al riguardo, essere richiamati i medesimi argomenti richiamati in occasione dello scrutinio dei primi due motivi di impugnazione.
In considerazione dell’inammissibilità di tutti i motivi proposti dalla parte ricorrente, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000 per compensi, oltre ad € 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda