Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8213 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8213 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
Oggetto: successioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18635/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME E COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-RICORRENTI –
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTI-
e
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTE- avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna 2184/2018, pubblicata in data 22.8.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.2.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. NOME, NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, deceduta il 15.9.2000, hanno convenuto in giudizio la nonna materna NOME COGNOME, vedova di NOME COGNOME, e gli zii materni NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo che NOME COGNOME aveva richiesto il pagamento di £. 6.504.701.78 4 (€ 3.359.398, 11), in base ad una scrittura del 9 gennaio 1970 che le attribuiva il diritto di ricevere le rendite dell’immobile di INDIRIZZO n. 10, in Bologna, in comunione ordinaria ai tre fratelli COGNOME, e che, dando corso a tale richiesta, NOME COGNOME aveva trasferito alla RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 232.408,12, prelevandoli dal conto corrente presso la Cassa di Risparmio in Bologna, n. 16016, intestato alla “RAGIONE_SOCIALE“, dove affluivano tutte le rendite della Comunione RAGIONE_SOCIALE, azzerando il saldo del conto.
Hanno proposto domanda di divisione dell’asse ereditario di NOME COGNOME, pervenuto per successione agli attori e agli zii materni (la moglie del de cuius , NOME COGNOME, aveva, invece, rinunciato all’eredità del marito) e del citato complesso immobiliare in comunione ordinaria sito in INDIRIZZO INDIRIZZO, acquistato dai tre fratelli COGNOME (NOME, NOME e NOME) dagli zii NOME e NOME COGNOME (fratelli di NOME COGNOME), con riserva di usufrutto in favore dei venditori, successivamente deceduti, chiedendo, altresì, di ordinare ai convenuti la presentazione del rendiconto della gestione dei beni compresi nell’asse ereditario di NOME COGNOME e degli immobili in comunione ordinaria, previa declaratoria di nullità della menzionata scrittura del 9 gennaio 1970, e la condanna della COGNOME alla restituzione di quanto percepito; in subordine, nel caso la scrittura fosse stata ritenuta valida, hanno insistito per la condanna di COGNOME
COGNOME al pagamento di quanto spettante alla nonna materna, ordinando la restituzione dell’importo di €. 232.408,12 indebitamente prelevato dai conti comuni.
NOME e NOME COGNOME hanno eccepito la competenza degli arbitri in virtù di una convenzione stipulata dalle parti in data 6.9.1990; hanno chiesto la chiamata in causa di NOME COGNOME, deducendo che, di prima di formalizzare la rinuncia all’eredità della moglie NOME COGNOME, questi aveva compiuto atti che comportavano l’accettazione dell’eredità; hanno aderito alla richiesta di divisione, resistendo ad ogni altra domanda ed eccependo la prescrizione delle pretese restitutorie.
Si è costituita anche NOME COGNOME, che ha chiesto di integrare il contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, proponendo riconvenzionale per il pagamento di £. 6.504.701.784 o di quella maggiore o minore accertata in giudizio, nonché, in caso di divisione, di stabilire le garanzie dovute dai condividenti per il pagamento dei debiti ereditari, proponendo domanda di revoca per ingratitudine della donazione effettuata in favore di NOME COGNOME, avente ad oggetto beni immobili siti in Icogne (Svizzera).
NOME COGNOME si è costituito a seguito di chiamata iussu iudicis ex art. 107 c.p.c., negando di aver compiuto atti di accettazione tacita dell’eredità di NOME COGNOME.
In corso di causa è deceduta NOME COGNOME e il giudizio è proseguito nei confronti di NOME e NOME COGNOME, anche nella qualità di eredi della parte deceduta.
Con sentenza n. 2214/2014, il Tribunale di Bologna così provvedeva:
-definitivamente pronunciando sul rapporto processuale instauratosi tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, sia in proprio che nella qualità di eredi di NOME COGNOME, da un lato,
e COGNOME NOME, dall’altro, rigettava la domanda di nullità della rinuncia all’eredità di NOME COGNOME fatt a da NOME COGNOME;
dichiarava il difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME;
non definitivamente pronunciando quanto al rapporto processuale intercorrente tra gli attori NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, da un lato, ed i convenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella predetta duplice qualità, rigettava l’eccezione di compromesso; – dichiarava il diritto degli attori di chiedere la divisione della comunione ereditaria tra gli stessi e i citati convenuti formatasi a seguito della morte di NOME COGNOME, oltre che del compendio immobiliare -in base alle quote loro rispettivamente spettanti -sito in INDIRIZZO, INDIRIZZO–INDIRIZZO; – dichiarava che la scrittura privata del 9 gennaio 1970, prima richiamata, non era fonte di obbligazioni civili a favore di NOME COGNOME e, poi, dei suoi eredi NOME COGNOME e NOME COGNOME, nei confronti di NOME COGNOME e, quindi, dei suoi eredi NOME, NOME e NOME COGNOME; rigettava le domande riconvenzionali proposte contro gli attori; dichiarava inammissibile la domanda avanzata dagli attori volta ad ottenere la condanna di NOME COGNOME a corrispondere alla madre NOME COGNOME e, quindi, ‘pro quota’ ai suoi eredi le somme alla stessa eventualmente spettanti sulle rendite del suddetto cespite immobiliare; – respingeva le ulteriori domande.
La citata sentenza del giudice di primo grado, impugnata da NOME COGNOME e NOME COGNOME, è stata confermata dalla Corte distrettuale di Bologna con sentenza n. 2184/2018.
Secondo la Corte emiliana, gli appellanti non avevano interesse a far accertare la nullità della rinuncia all’eredità effettuata da NOME COGNOME, evidenziando che NOME COGNOME non era parte necessaria del giudizio di divisione del patrimonio di NOME COGNOME, avendo rinunciato all’eredità, e non aveva interesse a che il giudizio di divisione ereditaria si svolgesse tra tutti i legittimi contraddittori;
inoltre, la convenuta, essendo creditrice di NOME COGNOME, avrebbe dovuto accettare l’eredità in luogo del chiamato rinunciante.
Ha affermato che NOME COGNOME non era neppure litisconsorte necessario rispetto alla domanda di condanna al pagamento delle rendite di cui alla scrittura del 9 gennaio 1970 e che, comunque, la COGNOME avrebbe dovuto evocare in giudizio il COGNOME ai sensi dell’art. 167 c.p.c., essendo insufficiente la chiamata effettuata su ordine del giudice ai sensi dell’art. 107 c.p.c. .
In merito alla qualificazione della indicata scrittura del 9 gennaio 1970, la Corte distrettuale ha ritenuto decisiva ed assorbente l’infondatezza delle tesi de gli odierni ricorrenti in merito alla configurabilità di una promessa di pagamento costitutiva di una rendita vitalizia, sostenendo che il documento conteneva una promessa unilaterale inidonea a produrre effetti a vantaggio della NOME COGNOME, mancando un sottostante contratto a favore di terzo con previsione di un corrispettivo e con individuazione della causa contrattuale, oltre all’adozione della forma ad substantiam prescritta per le donazioni, potendo riconoscersi nelle dichiarazioni contenute nello scritto una semplice ricognizione di un’obbligazione naturale o di un dovere morale incoercibile, reputando irrilevanti le richieste istruttorie volte a dimostrare che la provvista per l’acquisto della nuda proprietà del menzionato immobile sito in Bologna era stata fornita da NOME COGNOME.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso, affidato quattro motivi, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi e successori processuali di NOME COGNOME.
Hanno resistito con separati controricorsi NOME COGNOME nonché NOME, NOME e NOME COGNOME.
Le difese di questi ultimi e dei ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 100, 101, 102, 103, 106, 107, 112, 113, 115, 167, 269 e 784 c.p.c., 460, 474, 476, 519 e 2697 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia dichiarato la carenza di interesse dei ricorrenti ad ottenere la declaratoria di nullità della rinuncia all’eredità di NOME COGNOME, senza pronunciare sul perfezionamento da parte di questi di atti di accettazione dell’eredità di NOME COGNOME.
Sostengono, per contro, i ricorrenti che la domanda di divisione deve sempre essere trattata nel contraddittorio di tutti i coeredi e che, ove ad uno di essi subentrino i chiamati alla successione, anche questi ultimi sono parti necessarie del giudizio, essendo interesse di tutti i condividenti che il processo si svolga tra i legittimi contraddittori.
In tali situazione il giudice deve disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c. o la chiamata in causa ex art. 107 c.p.c. qualora ritenga necessario accertare l’acquisito di detta qualità che non risulti già ex actis , non occorrendo necessariamente che a tale chiamata proceda uno dei convenuti ai sensi dell’art. 167 e 269 c.p.c. .
Il secondo motivo denuncia, sotto altro profilo, la violazione degli artt. 100, 101, 102, 103, 106, 107, 112, 113, 115, 167 e 269 c.p.c., 460, 474, 476, 519, 754 e 2697 c.c., censurando la sentenza di appello per aver ritenuto che i ricorrenti non avessero interesse a far dichiarare la nullità della rinuncia all’eredità di NOME COGNOME proposta dai ricorrenti, trascurando che gli attori avevano agito per ottenere la divisione dei beni in comunione ordinaria ed ereditaria, oltre al rendiconto e al pagamento dei debiti contratti da NOME COGNOME con la scrittura del 9 gennaio 1970 di cui dovevano rispondere tutti i suoi eredi, avendo la stessa
sentenza stabilito che tali debiti erano maturati prima dell’apertura della successione.
Infondatamente la Corte di merito avrebbe ritenuto inammissibile la domanda di nullità della rinuncia poiché non introdotta mediante una formale chiamata in causa del terzo ai sensi dell’art. 167 e 269 c.p.c., poiché, una volta disposta la chiamata iussu iudicis , tutte le domande erano state estese nei confronti del COGNOME.
1.1. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono meritevoli di accoglimento.
Occorre, in primo luogo, respingere l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia a causa dell’intervenuto decesso di NOME COGNOME, essendo necessario accertare se questi avesse titolo a concorrere nella successione della moglie e dovesse partecipare al giudizio, dato che, in caso positivo, i suoi eredi acquisirebbero la quota di eredità e i debiti, dovendo rispondere sia per la parte di propria spettanza, sia per quella ricevuta iure successionis, occorrendo verificare se l’integrità del contraddittorio sia garantita, per il prosieguo, dalla presenza in giudizio dei figli della parte deceduta o se vi siano altri eredi.
1.2. Le azioni proposte in via principale dagli eredi di NOME COGNOME miravano allo scopo di ottenere la divisione dell’asse ereditario di NOME COGNOME e dei beni in comunione ordinaria, la cui titolarità competeva solo ai tre fratelli COGNOME, mentre NOME COGNOME non aveva titolo a partecipare a nessuna delle divisioni, avendo rinunciato all’eredità del marito e non essendo comproprietaria dell’immobile sito in Bologna.
La COGNOME era, invece, destinataria delle azioni di rendiconto e di restituzione delle somme ricevute in esecuzione della citata scrittura del 9 gennaio 1970 e, inoltre, aveva a sua volta proposto domanda di pagamento dei debiti -anche nei confronti di NOME COGNOME -di cui dovevano rispondere tutti gli eredi di quest’ultima, incluso il COGNOME ove fosse stata accertata l’inefficacia
della rinuncia per l’avvenuto compimento di atti di accettazione tacita.
Il Tribunale, ritenendo la causa comune al COGNOME, ne aveva ordinato la chiamata in giudizio iussu iudicis ai sensi dell’art. 107 c.p.c., non avendo la COGNOME formulato istanza di chiamata in causa ai sensi dell’art. 167 e 269 c.p.c. .
La necessità di accertare se NOME COGNOME avesse accettato tacitamente l’eredità della moglie veniva in rilievo riguardo alle domande di divisione introdotte in via principale, in modo da assicurare l’integrità del contraddittorio, essendo interesse di tutti i condividenti che la sentenza di divisione non fosse inutiliter data per violazione dell’art. 102 c.p.c. (Cass. 23315/2020; Cass. 3973/2020; Cass. 21510/2019; Cass. 6644/2018).
NOME COGNOME (e poi, in luogo di quest’ultima, i suoi eredi NOME e NOME COGNOME) aveva chiesto il pagamento di debiti gravanti anche sull’eredità di NOME COGNOME e, sebbene l’azione di pagamento di debiti ereditari non richieda la partecipazione al giudizio di tutti gli eredi ai sensi dell’art. 102 c.p.c. (Cass. 13644/2010; Cass. 8487/2016), rispondendo ciascuno di essi solo per la quota di propria spettanza, tuttavia l’interesse a far accertare il compimento di atti di accettazione tacita dell’eredità di NOME COGNOME era funzionale ad ottenere il pagamento anche da NOME COGNOME, soggetto solvibile, incrementando le chances di adempimento.
Non era ostativo in tal senso il disposto dell’art. 524 c.c. poiché, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte di merito, la norma consente ai creditori personali dell’erede di accettare l’eredità in luogo del rinunciante e non si applica alla diversa ipotesi in cui l’azione di pagamento riguardi i debiti dell’eredità; non a caso la norma esige il presupposto oggettivo del prevedibile danno ai creditori, che si verifica quando, al momento dell’esercizio dell’azione, fondate ragioni facciano apparire i beni personali del
rinunziante insufficienti a soddisfare del tutto i suoi debiti (Cass. 8519/2016; Cass. 5994/2020). La disposizione non riguarda, quindi, la responsabilità del rinunciante per i debiti ereditari, quali quelli di cui si discute, avendo la sentenza chiarito che trattavasi di passività maturate prima del decesso di NOME COGNOME.
Deve, invece, considerarsi che l’atto di accettazione dell’eredità è irrevocabile e comporta in maniera definitiva l’acquisto della qualità di erede, la quale non può cessare, non solo laddove l’accettante intenda revocare l’atto di accettazione in precedenza posto in essere, ma anche nell’ipotesi in cui compia un successivo atto di rinuncia all’eredità. Proprio alla luce del principio di irrevocabilità dell’atto di accettazione, la regola della retroattività della rinuncia va correttamente riferita alla sola ipotesi in cui nelle more tra l’apertura della successione e la data della rinuncia il chiamato non abbia ancora posto in essere atti idonei ad accettare l’eredità, ma non anche al diverso caso, qui ricorrente, in cui nelle more sia intervenuta l’accettazione dell’eredità (cfr. Cass. 15663/2020; Cass. 1735/2024; Cass. 4373/1980; Cass. n. 801/1972).
1.3. Deve, inoltre, rilevarsi che il COGNOME si è costituito in giudizio a seguito della chiamata in causa su ordine del giudice (art. 107 c.p.c.) e che i ricorrenti avevano esteso nei suoi confronti le domande introdotte in via riconvenzionale, in tal modo superando il fatto che la chiamata non era stata chiesta con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata.
E’ principio consolidato di questa Corte che la chiamata iussu iudicis può essere ordinata in qualunque fase del giudizio, e ove disposta, diventa irrilevante il decorso del termine previsto dall’art. 269 c.p.c. previsto per la chiamata in causa del terzo ad istanza di parte (cfr., già con riferimento al vecchio regime, Cass. 4000/1985; Cass. 2330/1970; Cass. 7083/1995; Cass. 25127/2010).
Il giudice, ai sensi del combinato disposto degli artt. 270 e 107 c.p.c., può ordinare la chiamata in causa del terzo ex art. 107 c.p.c. senza limiti di tempo, non essendo vincolato dalle preclusioni in cui siano eventualmente incorse le parti originarie, in considerazione della finalità pubblicistica di garantire l’economia dei giudizi e l’uniformità dei giudicati (cfr. Cass. 707/2004, con riferimento ai giudizi dinanzi al giudice di pace).
In questo caso neppure le parti incontrano preclusioni nel manifestare la volontà di estendere le loro istanze al terzo chiamato, non vertendosi in ipotesi di proposizione di una domanda nuova, ma di estensione di quella già proposta (Cass. 4724/2019; Cass. 84955/2010; Cass. 2901/2008; Cass. 13907/2007).
2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 100, 101, 102, 103, 106, 107, 112, 113, 115, 167, 269 e 784 c.p.c., nonché degli artt. 460, 474, 476, 519, 754, 2021, 2022, 2355 e 2697 c.c., per aver il Tribunale negato che le attività di gestione del patrimonio ereditario da parte di NOME COGNOME, consistite nel trasferimento di azioni della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE originariamente intestate alla de cuius , integrassero atti di accettazione tacita dell’eredità.
Il motivo è inammissibile sia perché censura la sentenza di primo grado, sia perché attinge un tema che la Corte di merito ha implicitamente ritenuto assorbito dalla statuizione in rito e dalla mancanza di interesse alla domanda (cfr. sentenza, pag. 17), per cui su tale aspetto i ricorrenti non risultano soccombenti e non hanno interesse ad impugnare la decisione, potendo riproporre la questione al giudice del rinvio (Cass. 8817/2012; Cass. 12153/2006).
3. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 100, 112, 113, 115 e 132, comma secondo, n. 4 c.p.c., oltre che degli artt. 769, 771, 782, 1173, 1174, 1324, 1350, 1362-1371, 1872-1876, 1987, 1988 e 2034 c.c., contestando al giudice distrettuale di non
aver esaminato tutte le argomentazioni, anche di carattere letterale, proposte in appello per giustificare la validità della più volte menzionata scrittura del 9 gennaio 1970, con cui erano state riservate a NOME COGNOME le rendite degli immobili in comunione ordinaria, avendo la Corte di merito richiamato per relationem la motivazione della pronuncia di primo grado senza vagliarne criticamente il contenuto e senza rendere esplicite le ragioni della sua conferma.
Deducono i ricorrenti di aver dedotto che la scrittura di cui si discute costituiva valido esercizio di disposizione delle rendite rinvenienti dal complesso immobiliare in INDIRIZZO per il tempo successivo alla morte degli originari venditori, come confermato dalla condotta successiva delle parti, che avevano provveduto al pagamento, essendo, inoltre, la promessa collegata alla vendita conclusa sempre il 9 gennaio 1970, dei 2/3 della nuda proprietà effettuata da NOME e NOME COGNOME a favore di NOME e NOME COGNOME, rendite che, con l’atto di vendita, le acquirenti avevano riservato ai venditori, fratelli di NOME COGNOME.
Si sostiene con il motivo che il negozio sottostante alla promessa doveva rinvenirsi nella coeva vendita immobiliare con riserva di usufrutto, beni che erano stati venduti ad un prezzo esiguo, in considerazione della contemporanea costituzione del diritto a favore degli alienanti, che, inoltre, era stato versato dalla COGNOME, essendo le figlie, formali acquirenti, all’epoca prive di reddito, potendosi al più configurare un negozio misto, giustificando sul piano sinallagmatico la costituzione delle rendite in favore dei beneficiari.
Si aggiunge che sarebbero da considerare, comunque, valide ed ammissibili promesse unilaterali atipiche costitutive di rendite vitalizie collegate ad un atto di attribuzione patrimoniale del
vitaliziando, negozi da ritenersi collegati funzionalmente e a causa onerosa.
Il motivo è fondato.
La scrittura del 9 gennaio 1970 conteneva una dichiarazione di NOME ed NOME COGNOME con cui le dichiaranti, premesso di aver acquistato lo stesso giorno la nuda proprietà del complesso immobiliare ubicato in Bologna di INDIRIZZO, avevano affermato che, in caso di consolidamento dell’usufrutto per premorienza degli usufruttari, avrebbero lasciato tutte le rendite a coloro che fossero sopravvissuti tra NOME, NOME o NOME.
Occorre, anzitutto, evidenziare che la Corte di merito non ha riesaminato il tenore letterale delle dichiarazioni che, secondo il Tribunale, non consentiva di riconoscere allo scritto valore negoziale, avendo ritenuto decisiva l’impossibilità di costituire la rendita vitalizia mediante una promessa unilaterale (quale quella di cui si discute: cfr. sentenza, pag. 17).
Tale tesi non può essere condivisa.
Incontestato il carattere unilaterale della dichiarazione, la Corte di merito, ritenendo configurabile una mera obbligazione naturale incoercibile, ma non una promessa ad effetti obbligatori, ha omesso di considerare che secondo un orientamento risalente -ma mai superato – di questa Corte, sussiste la possibilità di costituire rendite mediante promesse di pagamento immediatamente vincolanti fino a quando non si dimostri l’insussistenza del rapporto sottostante.
L’art. 1987 c.c. dispone che la promessa unilaterale non produce effetto obbligatori fuori dai casi previsti per legge, ma la norma va coordinata con il successivo art. 1988 c.c., secondo cui la promessa dispensa il beneficiario della prova del rapporto sottostante, che si presume esistente fino a prova contraria.
Questa Corte, in fattispecie analoga, ha ricordato come il riferimento al pagamento, contenuto nella disposizione, sia sufficientemente ampio da ricomprendere anche la costituzione di una rendita vitalizia, trattandosi pur sempre di prestazione di dare (Cass. 1562/1961; Cass. 4025/1995).
Ne deriva che, dinanzi ad un impegno unilaterale a riconoscere la rendita a favore di individuati beneficiari, non era consentito attribuire effetti obbligatori alla promessa di pagamento solo ove fosse emersa una giustificazione causale (o il rapporto sottostante), che si presumeva esistente fino a prova contraria.
In queste ipotesi l’astrazione processuale tipica della promessa consente di attribuire all’atto valore obbligatorio, non occorrendo che l’atto espliciti la causa, né rendendosi necessario il consenso del beneficiario.
Non sono pertinenti i precedenti richiamati dalla Corte distrettuale che riguardano la sola ipotesi in cui la rendita sia stata costituita a favore di un terzo secondo lo schema dell’art. 1411 c.c. (ipotesi cui si riferiscono Cass. 7492/1996; Cass. 8075/1994; Cass. 7026/1986 che si limitano stabilire che, per configurare il contratto a favore di terzi, non è sufficiente che il terzo riceva un beneficio indiretto da un contratto stipulato da altri, ma che le parti gli abbiano esplicitamente attribuito un diritto), potendo detta rendita essere oggetto anche di una mera promessa di pagamento, fermo restando che, data l’espressa previsione dell’art. 1875 c.c., detta rendita, anche quando importi una liberalità, non richiede le forme stabilite per la donazione, come invece ritenuto erroneamente dal giudice distrettuale, né essendo necessaria la previsione di un corrispettivo.
Inoltre, del tutto immotivatamente la Corte di merito ha ritenuto di non dover prendere in considerazione l’ipotesi di un collegamento tra la promessa ed il coevo acquisto della nuda proprietà con riserva di usufrutto e, dunque, la plausibilità della giustificazione
causale agganciata alla circostanza che la COGNOME aveva fornito i mezzi economici per l’acquisto dei figli, all’epoca nullatenenti, e che il bene era stato acquistato a prezzo inferiore a quello equo proprio in considerazione dei vantaggi che la COGNOME avrebbe ottenuto in caso di premorienza degli usufruttuari, prospettazione che, ove verificata, avrebbe potuto dar conto della causa giustificativa della rendita (Cass. 4025/1995), occorrendo valutare anche le istanze istruttorie formulate, in proposito, dai ricorrenti.
4. In definitiva, vanno accolti i motivi primo, secondo e quarto (con conseguente uniformazione del giudice di rinvio ai principi giuridici richiamati sub 1.2, sub 1.3 e sub 3 della motivazione che precede), mentre deve essere dichiarato inammissibile il terzo.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi primo, secondo e quarto, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda