Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18358 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18358 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/07/2025
R.G. 19928/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 27/5/2025
C.C. 14/4/2022
RISARCIMENTO DEI DANNI DERIVANTI DA STRAGE NAZISTA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19928/2022 R.G. proposto da : COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’ ECONOMIA E FINANZE, rappresentato e difeso per legge dall’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
nonché contro
REPUBBLICA FEDERALE GERMANIA, PROVINCIA DI ASCOLI PICENO, NOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ANCONA n. 594/2022 depositata il 04/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il presente giudizio ha ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Repubblica federale di Germania da alcuni familiari delle vittime della strage di Massignano, avvenuta nel 1944 ad opera delle truppe tedesche. La domanda risarcitoria fu proposta davanti al Tribunale di Fermo, tra gli altri, da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali assunsero di essere tutti eredi, a vario titolo, di NOME COGNOME, rimasto vittima dell’eccidio.
Nel giudizio intervenne anche NOME COGNOME invocando il medesimo titolo successorio e aderendo alla domanda proposta dai suoi familiari.
La Repubblica federale tedesca rimase contumace.
Il Tribunale, mentre accolse la domanda presentata da altri attori, che qui non occorre indicare, condannando la parte convenuta al pagamento di diverse somme a titolo risarcitorio, rigettò invece la domanda proposta dagli attori suindicati e dalla COGNOME ritenendo che non fosse stato dimostrato il rapporto di parentela con la vittima.
La sentenza è stata impugnata solo dagli attori soccombenti e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 4 maggio 2022, in parziale accoglimento del gravame, ha accolto la domanda
risarcitoria proposta dagli appellanti suindicati, con la sola eccezione di NOME COGNOME la cui domanda è stata invece rigettata, con compensazione delle ulteriori spese.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di residuo interesse in questa sede, che la domanda della COGNOME non poteva essere accolta, «essendo la produzione della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà inammissibile, in quanto contrastante con il divieto di ius novorum previsto dall’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ.», non potendo ammettersi la produzione di nuovi documenti in appello salvo che la parte non dimostri di non averli potuti produrre in primo grado senza propria colpa. Neppure poteva ammettersi la produzione sotto il profilo dell’indispensabilità, trattandosi di disposizione soppressa e non più applicabile ai giudizi di appello introdotti successivamente alla data dell’11 settembre 2012.
Il documento in questione, ha osservato la Corte, non atteneva infatti alla legittimazione, che non era in contestazione, «bensì alla prova del rapporto parentale che fonda la domanda di risarcimento», sicché la sua produzione per la prima volta in grado di appello era da ritenere inammissibile.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato a nove motivi.
Resiste con controricorso il Ministero dell’economia e finanze, argomentando che tale atto costituisce intervento ai sensi dell’art. 43 del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modifiche, nella legge 29 giugno 2022, n. 79, avendo detta norma stabilito che il Ministero è successore a titolo particolare nel debito contratto dalla Repubblica federale tedesca per i danni di guerra.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art.
132, n. 4), cod. proc. civ., per avere la sentenza mal ricostruito la vicenda processuale e non considerato i motivi di appello.
La ricorrente premette, in fatto, di aver prodotto tutti gli stati di famiglia della stirpe COGNOME, inclusi i discendenti, e la dichiarazione sostitutiva attestante la propria discendenza da NOME COGNOME figlia di NOME COGNOME e sorella della vittima. Tale qualità risultava dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà depositata in data 21 gennaio 2015, oltre che dalla procura notarile del notaio COGNOME e dalla dichiarazione sostitutiva a firma di NOME COGNOME. Da quegli atti emergeva, infatti, la sua qualità di erede di NOME COGNOME.
Tanto premesso, la ricorrente osserva che l’atto notorio costituiva un minus rispetto sia alla procura notarile che alla dichiarazione sostitutiva suindicati, per cui la Corte d’appello avrebbe deciso la causa senza fare menzione dei motivi di appello.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’appello esaminato le censure mosse contro la sentenza impugnata.
Si sostiene che la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sull’omessa valutazione delle prove documentali, riferendo in modo sbrigativo che la produzione dell’atto notorio era inammissibile per tardività. La Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare, invece, le prove documentali che costituivano la dimostrazione del rapporto parentale.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., in ordine al principio di non contestazione.
La ricorrente osserva che la sentenza impugnata ha rilevato che nessuna contestazione era stata sollevata in primo grado in merito al rapporto sostanziale, e cioè al dedotto rapporto
parentale. Si richiama la giurisprudenza circa la portata del principio di non contestazione, sostenendo che l’esistenza di quel rapporto doveva darsi per accertata.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 476 e 2697 cod. civ., in ordine all’onere della prova.
Il ricorso richiama la sentenza di questa Corte n. 6745 del 2018, in base alla quale la mancata contestazione di una circostanza -in quel caso il rapporto di filiazione col de cuius -rappresenta implicitamente il riconoscimento della medesima.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., motivazione obiettivamente perplessa su un fatto decisivo.
La ricorrente rileva che la Corte d’appello, avendo affermato che non risultava alcuna contestazione sul punto in primo grado, avrebbe dovuto fare applicazione dello stesso principio in ordine alla sua posizione. Essendo stata riconosciuta la legittimazione e la titolarità per NOME COGNOME, la stessa legittimazione e titolarità avrebbero dovuto essere riconosciute alla ricorrente, in qualità di sorella di NOME e figlia di NOME COGNOME.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omessa valutazione di fatti e documenti decisivi.
La Corte d’appello, pur ritenendo tardiva la produzione in appello dell’atto di notorietà, non avrebbe speso nemmeno una parola sugli altri due documenti già menzionati (procura notar COGNOME e dichiarazione sostitutiva di NOME COGNOME).
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione.
La ricorrente ricorda di aver chiesto il risarcimento dei danni in qualità di erede della sorella della vittima, cioè un danno iure
successionis e non iure proprio . Accertata positivamente la legittimazione ad agire, la Corte d’appello non avrebbe potuto, senza contraddirsi, respingere la domanda negando la prova del rapporto parentale.
Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione alla produzione documentale.
Richiamata la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla tardività della produzione, la ricorrente rileva, che secondo una certa giurisprudenza di questa Corte, la legittimazione attiva è condizione dell’azione. Ne consegue che la produzione in appello della dichiarazione sostitutiva che comprova il rapporto parentale della ricorrente con la vittima della strage -e cioè la sua legittimazione attiva -era da ritenere ammissibile.
Con il nono motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 182 cod. proc. civ., in relazione all’applicazione analogica di tale norma.
La ricorrente sostiene che l’accertamento della legittimazione processuale può risultare anche da produzioni o acquisizioni avvenute nel successivo grado di giudizio, non potendo ritenersi operanti le ordinarie preclusioni istruttorie. L’art. 182 cit., quindi, sarebbe applicabile «per via analogica all’ipotesi in cui la parte, nel costituirsi, abbia mancato di fornire la prova della legitimatio ad causam , prospettata in maniera coerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio».
È opportuno ricordare, innanzitutto, che la Corte anconetana ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la produzione dello stato di famiglia è idonea a dimostrare la sussistenza della relazione familiare, ma non anche la qualità di erede; quella produzione, però, costituisce una
presunzione iuris tantum dell’avvenuta accettazione tacita dell’eredità.
Quanto al valore da riconoscere alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai fini della dimostrazione della qualità di erede, la sentenza impugnata ha ricordato il principio, enunciato dalla Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 29 maggio 2014, n. 12065, secondo cui quella dichiarazione non costituisce di per sé prova idonea della qualità di erede, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi. Il giudice, però, ove la stessa sia prodotta, deve adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione.
Proprio in conseguenza di tale inquadramento, la Corte d’appello ha positivamente valutato le certificazioni sostitutive di atto notorio prodotte dagli appellanti diversi dalla COGNOME, ritenendo che esse potessero costituire la prova dei legami di parentela e della qualità di eredi dei soggetti in esse menzionati, sufficienti per l’accoglimento della domanda.
11. Ciò premesso, la Corte osserva che, nonostante la pluralità dei motivi -in relazione ai quali si darà più analiticamente in seguito -l’unica questione davvero rilevante consiste nello stabilire se la documentazione prodotta fin dal primo grado consentisse o meno di ritenere dimostrata la qualità di erede della ricorrente . È evidente, infatti, che, in assenza di ragioni tali da giustificare la necessità di una produzione tardiva, cioè in appello, della documentazione attestante il possesso della qualità di erede, il punto cruciale è quello di cui si è appena detto; e di questo si trae
indiretta conferma dalla stessa impostazione del ricorso qui in esame, nel quale la ricorrente, soprattutto nell’ampia premessa in fatto, insiste nell’affermare che la documentazione decisiva era stata comunque da lei messa a disposizione dei giudici di merito fin dal primo grado.
La ricorrente invoca, a sostegno della propria tesi, due atti, ossia la procura del notaio COGNOME con la quale ella aveva conferito insieme ai propri fratelli, a suo tempo, il mandato difensivo all’avv. NOME COGNOME nella causa odierna, e la dichiarazione sostitutiva di atto notorio a firma di NOME COGNOME.
A questo proposito la Corte rileva che la procura notarile redatta in Canada, luogo di residenza della COGNOME, può fare fede, com’è noto, soltanto di quanto i privati hanno dichiarato al notaio, ma non anche della veridicità di tale dichiarazione . Quanto, invece, alla ricostruzione dell’albero genealogico contenuta nella dichiarazione dello stato di famiglia di NOME COGNOME, trascritto a p. 4 del ricorso, si tratta di un documento che indica la discendenza da NOME COGNOME, madre di NOME Spaccasassi, senza fare menzione della COGNOME.
Dalla consultazione del fascicolo telematico a disposizione di questa Corte risulta, poi, che l’avv. NOME COGNOME depositò in primo grado, davanti al Tribunale di Fermo, in data 28 giugno 2016, soltanto la procura speciale del notaio Crugnale suindicata, assolutamente indispensabile per provare l’esistenza del mandato difensivo, ma null’altro. Mentre fu solo nel giudizio di appello, come si legge nell’elenco dei documenti depositato presso la Corte d’appello di Ancona in data 12 marzo 2019, che l’odierna ricorrente depositò effettivamente la dichiarazione sostitutiva attestante la propria qualità di erede.
Tirando le fila di tale ricostruzione, emerge che la Corte di merito ha deciso in modo corretto là dove ha affermato che la
dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà fu depositato dalla COGNOME per la prima volta in appello, cioè tardivamente; senza che quest’ultima che era intervenuta nel giudizio di primo grado, e non era tra gli attori originari -avesse comprovato l’esistenza di ragioni che giustificavano la mancata tempestiva produzione.
Quanto detto fin qui sarebbe di per sé sufficiente al rigetto del ricorso, ma il Collegio intende tuttavia rispondere, raggruppando i quesiti, anche alle specifiche censure poste nei nove motivi qui in esame.
A questo proposito, anche volendo tralasciare le molteplici violazioni dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., connesse alla mancata indicazione del se e del come gli atti richiamati siano stati messi a disposizione della Corte, si rileva che: il principio di non contestazione non è invocabile, dal momento che la Repubblica federale tedesca non era costituita in primo grado (terzo e quarto motivo); la censura di vizio di motivazione assente o incomprensibile è inammissibile quanto al primo motivo, perché basata su elementi dedotti aliunde rispetto alla motivazione (il che è escluso dai principi affermati dalle Sezioni Unite nelle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014), mentre è manifestamente infondata, analogamente a quella di omessa pronuncia, perché la Corte d’appello ha reso una motivazione chiara e perfettamente logica, oltre che giuridicamente ineccepibile, e non ha omesso di rispondere alla domanda (motivi secondo, quinto, sesto e settimo); la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. lamentata nell’ottavo motivo è pure infondata, alla luce di quanto si è già detto; la censura del nono motivo è manifestamente infondata, posto che il richiamo alla possibilità di sanatoria del vizio della procura alle liti (art. 182 cod. proc. civ.) appare del tutto fuor di luogo in relazione alla produzione tardiva dei documenti.
Dall’insieme di tutte queste considerazioni deriva il rigetto del ricorso.
Osserva il Collegio, infine, che, pur dovendosi ritenere ammissibile l’atto di controricorso del Ministero dell’economia e delle finanze -in quanto successore a titolo particolare nel debito contratto dalla Repubblica federale tedesca per i fatti di causa, in base alla previsione dell’art. 43 del decreto -legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modifiche, nella legge 29 giugno 2022, n. 79 -non può farsi luogo a condanna alle spese a carico della ricorrente, in considerazione dell’indiscutibile e indimenticabile tragicità dell’evento sul quale la domanda risarcitoria è stata fondata e dell e ragioni di insufficienza di carattere formale che si sono ritenute ostative al suo accoglimento, circostanze che vanno apprezzate come giustificative della compensazione delle spese sotto il profilo delle gravi ed eccezionali ragioni di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018.
Le spese del giudizio di cassazione, dunque, devono essere integralmente compensate.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 27 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME