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Procedura prefallimentare: coordinamento con concordato

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società dichiarata fallita, la quale aveva avviato una procedura di concordato preventivo in un tribunale diverso da quello dove era già pendente la procedura prefallimentare. La Corte ha stabilito che, per garantire il coordinamento tra i due procedimenti, era onere della società debitrice presentare la domanda di concordato dinanzi al primo giudice adito per il fallimento, anche se ritenuto incompetente. La mancata adozione di tale condotta procedurale preclude la possibilità di lamentare la prevalenza della dichiarazione di fallimento.

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Procedura prefallimentare: coordinamento con concordato

Quando un’azienda si trova in crisi, possono sovrapporsi diverse procedure legali. Un caso emblematico è la coesistenza di una procedura prefallimentare e una domanda di concordato preventivo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali sono gli oneri del debitore per garantire un corretto coordinamento tra i due percorsi, al fine di favorire, ove possibile, la soluzione negoziale della crisi d’impresa.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata in liquidazione veniva dichiarata fallita dal Tribunale. Contro tale decisione, la società proponeva reclamo alla Corte d’Appello, lamentando che il primo giudice non avesse tenuto conto del fatto che, in un altro Tribunale, era stata ammessa a una procedura di concordato preventivo “in bianco”.

La Corte d’Appello rigettava il reclamo, osservando che la procedura per la dichiarazione di fallimento era stata avviata per prima. Pertanto, secondo i giudici, sarebbe stato onere della società debitrice presentare la domanda di concordato davanti allo stesso Tribunale già investito della questione fallimentare, per consentire una gestione coordinata. Non avendolo fatto, la dichiarazione di fallimento era da ritenersi corretta. La società ricorreva quindi in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la gestione della procedura prefallimentare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale: sebbene la legge favorisca le soluzioni negoziali come il concordato preventivo rispetto al fallimento, spetta al debitore agire in modo da rendere possibile il coordinamento tra le procedure.

Il punto centrale della decisione è l’onere procedurale che grava sul debitore. Quando una procedura prefallimentare è già pendente, il debitore che intende presentare domanda di concordato preventivo deve depositarla presso lo stesso ufficio giudiziario che sta gestendo l’istanza di fallimento. Questo obbligo sussiste anche se il debitore ritiene quel tribunale territorialmente incompetente. Solo in questo modo è possibile far confluire i due procedimenti davanti a un unico giudice, che potrà gestirli in modo coordinato, valutando la prevalenza della soluzione concordataria.

Nel caso di specie, la società aveva invece scelto di rivolgersi a un tribunale diverso, impedendo di fatto qualsiasi coordinamento e rendendo legittima la prosecuzione autonoma della procedura fallimentare.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione richiamando i principi già espressi in una sua precedente sentenza (n. 4343/2020). L’obiettivo primario è garantire che la soluzione negoziale della crisi sia preferita al fallimento, ma questo richiede una gestione coordinata. Se le procedure pendono dinanzi a uffici giudiziari diversi, l’onere di attivarsi per la riunione ricade sul debitore.

La Cassazione ha chiarito che, essendo la procedura prefallimentare stata avviata per prima, il debitore avrebbe dovuto proporre la domanda di concordato dinanzi al medesimo tribunale. Tale comportamento non avrebbe comportato acquiescenza a un’eventuale violazione delle norme sulla competenza, ma avrebbe semplicemente attivato i meccanismi processuali (come la continenza ex art. 39 c.p.c.) necessari per una valutazione congiunta.

Inoltre, la Corte ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’asserita insussistenza dello stato di insolvenza. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente evidenziato che l’attivo della società era di gran lunga inferiore al passivo, basandosi su una ricostruzione del Tribunale che non era stata specificamente contestata nel reclamo. In particolare, era stato ritenuto irrilevante un credito di 1.700.000,00 euro iscritto a bilancio, poiché considerato “del tutto ipotetico”.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per le imprese in crisi. La scelta di avvalersi del concordato preventivo non può essere gestita in modo tattico, aprendo procedimenti paralleli in diverse sedi giudiziarie. Per beneficiare della “priorità funzionale” accordata alla soluzione concordataria, il debitore deve assumersi la responsabilità di un comportamento processuale corretto e trasparente.

In sintesi, se un’istanza di fallimento è già stata depositata, l’unica via per tentare il concordato è presentare la relativa domanda allo stesso giudice, per consentirgli di sospendere la procedura prefallimentare e valutare la fattibilità del piano di risanamento. Agire diversamente significa esporsi al rischio concreto di una dichiarazione di fallimento.

Cosa succede se una domanda di fallimento e una di concordato preventivo sono presentate in tribunali diversi?
Se la procedura per la dichiarazione di fallimento è stata avviata per prima, è onere del debitore presentare la domanda di concordato preventivo dinanzi allo stesso tribunale, anche se lo ritiene incompetente, per consentire il coordinamento dei procedimenti.

Quale procedura ha la priorità tra fallimento e concordato preventivo?
Pur essendoci una preferenza per la soluzione negoziale della crisi (concordato), questa non è automatica. La priorità dipende dal corretto comportamento processuale del debitore, che deve attivarsi per far confluire le diverse procedure davanti a un unico giudice.

Può un credito ipotetico iscritto a bilancio essere sufficiente a dimostrare la solvibilità di un’azienda?
No. I giudici possono valutare la reale consistenza del patrimonio e non tenere conto di voci di credito considerate meramente ipotetiche e non concrete. Lo stato di insolvenza si basa sull’effettiva incapacità patrimoniale di far fronte ai propri debiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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