Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19362 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19362 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16391/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
PROCURA REPUBBLICA TRIBUNALE SIRACUSA, PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE APPELLO CATANIA, PROCURATORE GENERALE CORTE SUPREMA CASSAZIONE, FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1088/2021 depositata il 18/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza depositata il 18.5.2021, ha rigettato il reclamo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza n. 39/2020, depositata il
10.12.2020, con cui il Tribunale di Siracusa ne ha dichiarato il fallimento.
Per quanto ancora rileva, il giudice di secondo grado ha, in primo luogo, rigettato il primo motivo di reclamo con cui la società dichiarata fallita aveva lamentato che il Tribunale di Siracusa non aveva tenuto conto che la stessa era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo in bianco dal Tribunale di Ragusa, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 39 , comma 2, c.p.c., sarebbe stato necessario coordinare le due procedure.
Sul punto, la Corte d’Appello ha osservato che, essendo la procedura per la dichiarazione di fallimento stata avviata per prima innanzi ad un giudice (Tribunale di Siracusa) che aveva affermato la propria competenza, la pendenza della successiva procedura di concordato preventivo in bianco avviata dallo stesso debitore innanzi ad un diverso Tribunale (Ragusa) non consentiva, secondo la previsione dell’art. 39, comma 2, c.p.c., l’adozione del provvedimento di continenza da parte del giudice adito per primo e che aveva ritenuto essere competente. Ne conseguiva che sarebbe stato onere del debitore o presentare la domanda di concordato in bianco, successiva alla notifica della dichiarazione di fallimento, davanti allo stesso Tribunale di Siracusa anche se ritenuto incompetente, o sollecitare il tribunale adito successivamente -quello di Ragusa -all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 39 , comma 2, c.p.c.
Quanto al merito, la Corte d’Appello ha evidenziato che il bilancio al 31.12.2019 della società debitrice, oltre a riportare debiti erariali (i cui termini di pagamento erano stati prorogati dalla normativa COVID), esponeva debiti diversi esigibili per € 1.117.146,00 e un patrimonio netto negativo, con una perdita di € 263.590 ,00.
Peraltro, secondo la ricostruzione del Tribunale, non censurata con il reclamo, l’attivo effettivo rispetto a quello appostato in bilancio era di gran lunga inferiore al passivo, non potendosi tenere conto
della voce crediti per euro 1.700.000,00 apposta in bilancio in attivo, riferendosi ad un credito del tutto ipotetico.
Pertanto, trattandosi di società in stato di liquidazione, lo stato di insolvenza si identificava nell’incapienza patrimoniale, ossia nell’eccedenza del passivo rispetto all’attivo.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione affidandolo a due motivi.
La curatela non ha svolto difese.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che spettava al Tribunale di Ragusa -successivamente adito e competente per la procedura di concordato preventivo -adottare i provvedimenti relativi alla continenza ex art. 39, comma 2, c.p.c.
Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente dato rilievo al c.d. criterio della prevenzione senza, tuttavia, considerare che il Tribunale di Ragusa (giudice successivamente adito) si era dichiarato competente relativamente alla procedura di concordato preventivo, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere il Tribunale di Siracusa -giudice preventivamente adito ma non competente sulla domanda di concordato preventivo -ad adottare i provvedimenti in tema di continenza ex art. 39, comma 2, c.p.c. e quindi salvaguardare l’esigenza di coordinamento delle due procedure mediante soluzioni adeguate.
La ricorrente invoca, inoltre, il principio della c.d. priorità funzionale del concordato preventivo rispetto al fallimento, richiamando le sentenze delle Sezioni Unite nn. 9935-9936/2015, che hanno confermato la prevalenza del concordato preventivo rispetto alla procedura prefallimentare. In virtù di tale principio, il giudice adito con l’istanza per la dichiarazione di fallimento avrebbe dovuto
limitarsi a rimettere la relativa domanda innanzi al giudice davanti al quale era stata proposta la domanda di concordato.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Va osservato che questa Corte, nella sentenza n. 4343/2020, espressamente richiamata anche dalla ricorrente, ha enunciato i seguenti principi di diritto:
«La domanda di concordato preventivo ed il procedimento prefallimentare debbono essere coordinati in modo da garantire che la soluzione negoziale della crisi, ove percorribile, sia preferita al fallimento.
Pertanto, ove siano contemporaneamente pendenti dinanzi ad uno stesso ufficio giudiziario, gli stessi possono essere riuniti ex art. 273 cod. proc. civ., anche di ufficio, consentendo una siffatta riunione di raggiungere l’obiettivo della gestione coordinata»;
ii) «Ove la domanda di concordato preventivo ed il procedimento prefallimentare siano pendenti dinanzi ad uffici giudiziari diversi, ferma la regola della continenza ex art. 39, comma 2, cod. proc. civ., è onere del debitore che conosce della pendenza dell’istruttoria prefallimentare, anteriormente introdotta, proporre la domanda di concordato preventivo dinanzi al tribunale investito dell’istanza di fallimento, anche quando lo ritenga incompetente, affinché i due procedimenti confluiscano dinanzi al medesimo tribunale, e senza che una siffatta condotta determini acquiescenza ad una eventuale violazione dell’art. 9 l.fall.»;
iii) «Allorquando l’istanza di fallimento sia stata depositata dinanzi ad un ufficio giudiziario diverso da quello innanzi al quale sia già pendente una domanda di concordato preventivo, l’obiettivo della gestione coordinata dei due procedimenti può essere conseguito sollecitando il tribunale successivamente adito all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 39, comma 2, l.fall., che in ogni caso, in ossequio ai principi generali, e vieppiù nell’ottica di garantire
preferibilmente la soluzione negoziale della crisi, debbono essere adottati anche di ufficio»;
iv) «Ove la domanda di concordato preventivo ed il procedimento prefallimentare siano pendenti dinanzi ad uffici giudiziari diversi, è onere del debitore impugnare, nei limiti in cui ciò sia consentito, tutti i provvedimenti adottati, anche in rito, che possano ostacolare il preliminare esame della domanda di concordato preventivo da lui proposta, atteso che l’eventuale accoglimento del reclamo ex art. 18 l.fall. contro la sentenza di fallimento, di cui si pretenda l’illegittimità a causa del mancato preventivo esame della domanda concordataria, presuppone che quest’ultima sia ancora sub iudice».
1.3. Il giudice d’appello ha correttamente applicato il secondo principio, come sopra enunciato, avendo evidenziato che, nel caso di specie, essendo il giudice preventivamente adito quello innanzi al quale era stata instaurata la procedura per la dichiarazione di fallimento, sarebbe stato onere del debitore proporre la domanda di concordato preventivo dinanzi al tribunale investito dell’istanza di fallimento, pur ritenendolo incompetente, affinché i due procedimenti confluissero dinanzi al medesimo tribunale, e senza che una siffatta condotta determinasse acquiescenza ad una eventuale violazione dell’art. 9 l.fall.
La società odierna ricorrente, ha, invece, depositato la domanda di concordato preventivo presso un Tribunale diverso (Ragusa) da quello presso cui era già pendente la procedura prefallimentare, ovvero il Tribunale di Siracusa, sollevando tardivamente presso quest’ultimo (oltre la prima udienza di trattazione) l’eccezione di incompetenza territoriale e non risultando neppure che il tribunale successivamente adito sia stato sollecitato dall’odierna ricorrente all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 39, comma 2, l.fall.
La ricorrente non può quindi dolersi della mancata gestione coordinata della procedura prefallimentare e della procedura di
concordato preventivo, cui, peraltro, nel ricorso, non fa alcun cenno.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 l.fall. , per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto lo stato di insolvenza nonostante la società fallita avesse un attivo superiore al passivo.
Espone la ricorrente che i pagamenti delle cartelle di pagamento, per un ammontare di € 2.817.724,25 (sulla base delle quali la Procura della Repubblica aveva presentato istanza di fallimento) erano stati sospesi in virtù della normativa antiCovid, con la conseguenza che i crediti azionati non erano esigibili.
E, con riferimento agli altri debiti, che la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente lo stato d’insolvenza affermando , in modo apodittico e in maniera del tutto immotivata, che non si doveva tenere conto della voce crediti appostata in bilancio per un ammontare di € 1.700.000,00.
2.1. Il secondo motivo presenta profili concomitanti di inammissibilità e infondatezza.
2.2. La ricorrente non ha colto la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento al profilo di cui all’art. 5 l.fall.
Infatti, la Corte d’Appello non ha autonomamente argomentato che non si doveva tenere conto della voce crediti appostata in bilancio per la somma di € 1.700.000,00, ma ha evidenziato che
‘ secondo la ricostruzione del Tribunale, non censurata con il reclamo, l’attivo effettivo rispetto a quello appostato in bilancio è di gran lunga inferiore al passivo, non potendosi tenere conto della voce crediti per euro 1.700.000,00 apposta in bilancio in attivo, riferendosi ad un credito del tutto ipotetico’.
In sostanza, il giudice d’appello ha affermato che il requisito dell’incapienza patrimoniale della debitrice era incontroverso in causa, non avendo la società fallita censurato con il reclamo la predetta ricostruzione del Tribunale, che non aveva tenuto conto
del credito di € 1.700.000,00 appostato in bilancio, in quanto meramente ipotetico.
Con tale motivazione, che soddisfa il requisito ‘del minimo costituzionale’ secondo i criteri della sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014, la ricorrente non si è minimamente confrontata, non indicando le eventuali critiche che, sul punto relativo all’incapienza patrimoniale, avesse eventualmente formulato nel reclamo e comunque mai affermando che, invece, la predetta ricostruzione del Tribunale era stata debitamente censurata.
Non si liquidano le spese di lite, non avendo la curatela intimata svolto difese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 28.5.2025