Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 35258 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 35258 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9509/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv.to NOME COGNOME
contro
ricorrenti –
nonchè contro
NOME
– intimato –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 201/2018 depositata in data 08/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME citavano in giudizio NOME e NOME COGNOME chiedendo dichiararsi la nullità o l’inefficacia dell’atto di donazione del 23 maggio 2003, con condanna al rilascio del fondo e al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Vallo della Lucania accoglieva la domanda. In particolare, la decisione si fondava sul rigetto della domanda di usucapione proposta dai danti causa dei convenuti di talché attenuato l’onere probatorio a carico degli attori , assolto ex articolo 2697 c.c. dalla dichiarazione di successione nei confronti di NOME COGNOME deceduto il 18 gennaio 1984 e dall’atto pubblico di divisione del 1977 in base al quale il fondo oggetto della causa era stata assegnata a quest’ultimo , accoglieva la domanda di rivendica formulata dagli attori.
I convenuti soccombenti proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
Gli originari attori resistevano al gravame.
La C orte d’ Appello di Salerno accoglieva in parte il gravame, rigettava la domanda di rivendica e di rilascio del fondo e di pagamento per l’indebita occupazione inizialmente formulata dagli attori e rigettava invece il motivo di appello relativo alla usucapione.
Ric. 2019 n. 9509 sez. S2 – ud. 11/12/2024
In sostanza la C orte d’ Appello riteneva che la domanda di rivendica non potesse essere accolta in quanto non era stata raggiunta la cosiddetta probatio diabolica . In particolare, secondo la Corte d’Appello, l’attenuazione dell’onere probatorio derivante dalla domanda di usucapione del convenuto in rivendica si verificava solo in presenza di determinate condizioni ovvero che egli opponesse un acquisto per usucapione fondato su di un possesso che aveva iniziato ad esercitare anche attraverso i propri danti causa in epoca successiva a quella in cui si era formato il titolo di acquisto del rivendicato.
Nella specie il titolo di acquisto prodotto dagli attori non era idoneo non essendo sufficiente la dichiarazione di successione e nemmeno un atto di divisione che per il loro carattere dichiarativo non potevano avere di per sé forza probante nei confronti dei terzi del diritto di proprietà attribuito ai condividenti, occorrendo necessariamente dimostrare il titolo di acquisto in base al quale il bene era stato attribuito in sede di divisione.
Il rigore della prova non era attenuato dalla proposizione della domanda riconvenzionale di usucapione quando questa non era formulata in modo da comportare il riconoscimento in favore dell’altra parte della titolarità del diritto dei danti causa .
Secondo la C orte d’ Appello non era raggiunta la prova dell’acquisto a titolo originario neanche mediante il possesso di durata ventennale.
Il giudice di secondo grado rigettava anche il motivo di gravame relativo alla usucapione, ritenendo non provato il possesso in capo all’appellante. La Corte d’appello confermava la nullità dell’atto di donazione con il quale NOME COGNOME aveva
dichiarato essere di sua esclusiva proprietà del bene che donava al figlio NOME per averlo usucapito.
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli articoli 112 c.p.c. 329, comma 2, c.p.c. 100 c.p.c. 342, 348 bis c.p.c.
In sostanza la parte ricorrente lamenta che non essendo stato impugnato il capo della sentenza che dichiarava la nullità dell’atto di donazione intervenuto tra NOME COGNOME il figlio NOME si era formato il giudicato sul tale pronuncia e ciò comportava l’inammissibilità del motivo di appello rivolto contro il capo della sentenza che aveva ritenuto non provata la proprietà in capo ai rivendicanti.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 342 c.p.c. dell’articolo 111 costituzione degli articoli 329, comma due, 112 c.p.c.
Secondo i ricorrenti l’appello era inammissibile perché non era stato impugnato la parte più rilevante delle argomentazioni poste a sostegno della pronuncia di primo grado in particolare con riferimento all’anteriorità del titolo vantato dall’attore in rivendicazione rispetto al possesso del convenuto usucapiente in
riconvenzionale. In particolare, secondo i ricorrenti, la Corte d’ Appello non avrebbe evidenziato che il Tribunale aveva precisato nell’atto di divisione del 77 si faceva riferimento alla successione testamentaria di NOME COGNOME apertasi in Pisciotta il 28 settembre 1960 rispetto alla quale l’acquisto a titolo originario risultava provato.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 2909 c.c. violazione dell’articolo 112 c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La C orte d’ Appello non ha tenuto conto della sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania confermata dalla C orte d’ Appello di Salerno che ha rigettato la domanda di usucapione proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente padre (oggi controricorrente) e nonno di NOME COGNOME (altro controricorrente).
La C orte d’appello avrebbe omesso di esaminare le risultanze di tale sentenza che costituirebbero giudicato sul punto circa l’accertamento della proprietà del terreno intestato a NOME COGNOME e ai suoi figli.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento dei primi due.
La Corte d’Appello ha ritenuto di non applicare la giurisprudenza in tema di attenuazione dell’onere probatorio secondo cui il rigore della probatio diabolica è attenuato quando il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa; in tal caso, l’attore deve provare solo l’esistenza di un suo valido titolo di acquisto, l’appartenenza del bene al suo dante causa in epoca anteriore a quella in cui il
convenuto assume di avere iniziato a possedere e che tale appartenenza non sia stata interrotta da un possesso del convenuto idoneo ad usucapire.
Nella specie, tuttavia , la Corte d’Appello non ha adeguatamente valutato la peculiarità della fattispecie nella quale i convenuti in rivendica hanno domandato di accertare la nullità dell’ atto di donazione del bene in contestazione da parte di NOME COGNOME in favore del figlio NOME COGNOME nel quale il donante aveva dichiarat o nell’atto pubblico di essere proprietario del bene immobile oggetto della donazione per averlo usucapito. Tale dichiarazione è stata smentita dal l’altro giudizio dallo stesso NOME COGNOME incardinato nei confronti dei ricorrenti e concluso con sentenza passata in giudicato di rigetto d ell’ analoga domanda di usucapione.
L a Corte d’Appello non ha valutato la sentenza passata in giudicato di tale precedente giudizio che era stata invece valorizzata dal Tribunale e non ha neanche esaminato compiutamente l’atto di divisione in cui si faceva riferimento alla successione testamentaria del de cuius NOME COGNOME nel 1960 e, infine, ha omesso di valutare se i ricorrenti avessero provato la proprietà del bene in base a un titolo derivativo e al conseguente possesso ventennale del bene, possesso che deve presumersi in presenza del titolo ed anche in virtù del rigetto della contrapposta domanda riconvenzionale di usucapione con la quale si contestava quel possesso. Peraltro, anche senza te ner conto dell’attenuazione dell’onere probatorio, deve osservarsi come l a c.d. probatio diabolica consista nella prova di un acquisto a titolo originario, ovvero di un acquisto a titolo derivativo che risalga ad un acquisto
a titolo originario e, cioè, di una catena di acquisti a titolo derivativo che copra un ventennio, termine di compimento dell’usucapione. Infatti, è anche sufficiente che l’attore in rivendicazione dimostri che fra lui ed i suoi danti causa il bene è stato posseduto per il tempo necessario ad usucapirlo.
Come ripetutamente affermato da questa Corte: Nel giudizio di rivendicazione l’attore deve provare di essere diventato proprietario della cosa rivendicata, risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario, o dimostrando il possesso proprio e dei suoi danti causa per il tempo necessario per l’usucapione. Se poi anche il possesso è contestato dal convenuto, l’attore non può limitarsi a dimostrare che il titolo o i titoli (tra i quali, per la sua natura dichiarativa, non può annoverarsi la divisione, salvo che si provi il titolo d’acquisto della comunione) risalgono ad un ventennio, ma deve provare che egli o i suoi danti causa abbiano effettivamente e continuativamente posseduto l’immobile, salva la presunzione ” iuris tantum ” di possesso intermedio, senza che il rigore di siffatto onere probatorio sia attenuato dalla mera proposizione di una domanda riconvenzionale o di un’eccezione di usucapione da parte del convenuto, quando queste non siano formulate in modo da comportare il riconoscimento della pregressa titolarità del diritto da parte dell’attore o dei suoi “danti causa”. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che non aveva compiuto alcun effettivo accertamento circa l’esistenza di una situazione possessoria in capo agli attori e ai loro danti causa, impropriamente valorizzando a tal fine un atto di divisione e una successiva
attribuzione testamentaria) (Sez. 2, Sentenza n. 1925 del 04/03/1997, Rv. 502789 – 01).
In conclusione, la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i primi due, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i primi due, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione