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Privilegio studio associato: i requisiti della Cassazione

La richiesta di un’associazione professionale per il riconoscimento di un credito privilegiato in un fallimento è stata respinta. La Corte di Cassazione ha confermato che per ottenere il privilegio studio associato, non è sufficiente che un socio abbia svolto il lavoro. L’associazione deve dimostrare che il cliente ha scelto specificamente quel professionista (intuitus personae) e che il compenso richiesto è direttamente destinato a remunerare il suo lavoro personale. Mancando tale prova, il credito è stato considerato chirografario.

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Privilegio Studio Associato: La Cassazione Fissa i Paletti

Il riconoscimento del credito con privilegio generale sui beni mobili del debitore, ai sensi dell’art. 2751-bis n. 2 c.c., rappresenta una tutela fondamentale per i professionisti. Ma cosa accade quando la prestazione è svolta nell’ambito di una struttura complessa come uno studio associato? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34044/2024, torna sulla questione del privilegio studio associato, delineando con precisione i requisiti necessari per ottenerlo e ponendo l’accento sulla personalità della prestazione e sulla pertinenza del credito.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Ammissione Privilegiata

Una associazione professionale di dottori commercialisti proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento di una S.p.A., contestando l’ammissione in via chirografaria, anziché privilegiata, del proprio credito di oltre 200.000 euro. Tale credito derivava da prestazioni di consulenza e assistenza fiscale e societaria svolte negli anni precedenti al fallimento. L’incarico, sebbene formalmente conferito all’associazione, era stato di fatto eseguito da un singolo professionista associato.

La Decisione del Tribunale e le Ragioni del Ricorso

Il Tribunale di Alessandria rigettava l’opposizione, sostenendo che l’ammissione del credito con privilegio richiede un rapporto diretto e personale tra cliente e singolo professionista. Secondo i giudici di merito, la domanda di insinuazione proveniente da uno studio associato fa presumere l’assenza di tale personalità. L’associazione, inoltre, non aveva fornito la prova decisiva: dimostrare, attraverso lo statuto o altri documenti, che la remunerazione richiesta fosse destinata a compensare specificamente l’attività del professionista esecutore. Contro questa decisione, lo studio proponeva ricorso per Cassazione.

Il privilegio studio associato secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, cogliendo l’occasione per consolidare e chiarire il proprio orientamento sul tema. I giudici hanno stabilito che la domanda di insinuazione al passivo da parte di uno studio associato crea una presunzione di spersonalizzazione del rapporto, che può essere superata solo fornendo una prova rigorosa.

Il Principio della Personalità della Prestazione

Il fulcro della decisione risiede nella necessità di dimostrare il carattere personale del rapporto (intuitus personae) sin dal momento del conferimento dell’incarico. Non è sufficiente che l’attività sia stata materialmente svolta da un solo associato. È necessario provare che il cliente abbia scelto l’associazione proprio in virtù della fiducia riposta in quel determinato professionista e che l’incarico sia stato conferito tenendo conto delle sue specifiche qualità personali e professionali.

L’Onere della Prova: Cosa Deve Dimostrare lo Studio?

La Cassazione ha individuato due requisiti cumulativi che lo studio associato deve provare per vincere la presunzione di spersonalizzazione e ottenere il privilegio:
1. Personalità dell’incarico e dell’esecuzione: Lo studio deve dimostrare che il cliente ha individuato e scelto uno specifico professionista per l’incarico e che quest’ultimo ha eseguito la prestazione in via esclusiva o prevalente.
2. Pertinenza della remunerazione: Occorre provare che il credito richiesto sia destinato, in base agli accordi interni dell’associazione, a remunerare il lavoro di quello specifico professionista. Questo impedisce che il privilegio sia esteso a somme che, di fatto, vengono ripartite tra tutti i soci in base a quote di partecipazione, slegate dalla prestazione individuale.

Le Motivazioni della Sentenza n. 34044/2024

La Corte ha motivato la sua decisione partendo dalla natura eccezionale del privilegio, che rappresenta una deroga al principio della par condicio creditorum. La ratio della norma (art. 2751-bis n. 2 c.c.) è tutelare la remunerazione del lavoro personale autonomo, equiparandola a quella del lavoro subordinato. Quando l’incarico è conferito a un’entità collettiva, questa finalità rischia di essere annacquata. Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente accertato in fatto che l’incarico era stato conferito allo Studio Associato e non al singolo professionista. Inoltre, l’associazione ricorrente non aveva prodotto lo statuto né fornito alcuna prova su come gli utili venissero ripartiti, non riuscendo così a dimostrare la ‘pertinenza’ del credito alla prestazione del singolo. Per la Corte, questo secondo aspetto è dirimente: anche se si provasse l’esecuzione personale, senza la prova della destinazione della remunerazione, il privilegio non può essere riconosciuto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Studi Associati

La sentenza n. 34044/2024 rappresenta un monito importante per gli studi professionali associati. Per assicurare la tutela privilegiata dei propri crediti in caso di insolvenza del cliente, è cruciale non solo formalizzare l’incarico in modo che emerga la scelta del singolo professionista, ma anche dotarsi di accordi statutari o interni chiari. Tali accordi devono poter dimostrare una correlazione diretta e riconoscibile tra il compenso fatturato per una specifica pratica e la remunerazione spettante al professionista che l’ha effettivamente seguita. In assenza di queste prove, il rischio concreto è che il credito, pur legittimo, venga relegato al rango di chirografario, con probabilità di soddisfacimento notevolmente ridotte.

Uno studio associato ha sempre diritto al privilegio per le prestazioni svolte da un suo socio?
No. La sentenza chiarisce che il privilegio non è automatico. Lo studio associato deve dimostrare che il rapporto con il cliente era basato sulla scelta fiduciaria di uno specifico professionista (intuitus personae) e che il compenso richiesto è destinato a remunerare proprio il lavoro personale di quel professionista.

Cosa deve provare in giudizio uno studio associato per ottenere il riconoscimento del privilegio?
Deve provare due condizioni principali: 1) che la prestazione è stata svolta in via personale, esclusiva o prevalente, da un professionista specificamente individuato dal cliente fin dall’inizio dell’incarico; 2) che il credito richiesto, in base agli accordi interni dello studio (es. lo statuto), è di “pertinenza” del professionista che ha eseguito la prestazione, ovvero è destinato a remunerare il suo lavoro.

La sola esecuzione materiale del lavoro da parte di un singolo professionista è sufficiente per ottenere il privilegio?
No, non è sufficiente. La Corte ha stabilito che, anche se si dimostra che un singolo professionista ha svolto l’intero lavoro, manca il presupposto della “pertinenza” del credito se non si prova che, in base agli accordi interni, quel compenso è specificamente destinato a lui e non viene semplicemente diviso tra tutti i soci secondo quote di partecipazione o altri criteri non legati alla prestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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