Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34044 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 34044 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3292/2022 R.G. proposto da:
Studio COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE,
-ricorrente-
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, controricorrente-
Avverso il decreto del Tribunale Alessandria n. cronol. 11956/2021 depositato il 22/12/2021.
Udita la relazione svolta all’udienza del 15/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso,
sentito, per il ricorrente, l’Avvocato NOME COGNOME sentito, per il controricorrente, l’Avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 Con decreto, ex art 99 l. fall. del 22/12/2021, il Tribunale di Alessandria ha respinto l’opposizione proposta dallo Studio COGNOME RAGIONE_SOCIALE avverso lo stato passivo formato dal curatore del Fallimento RAGIONE_SOCIALE e reso esecutivo dal G.D., che aveva ammesso, in via chirografaria, il credito del ricorrente di € 229.793,40, per prestazioni svolte negli anni 2016, 2016 e 2017, di consulenza e assistenza eseguite in materia fiscale e societaria in ragione dell’incarico affidato dalla società poi fallita a NOME COGNOME professionista associato allo stesso, per gli anni 2016, 2017 e 2018.
2 Il Tribunale piemontese ha ricostruito l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità che ha visto un primo orientamento più rigoroso e formale che privilegia il momento costitutivo del rapporto professionale non riconoscendo la prelazione nelle ipotesi in cui l’incarico professionale viene conferito all’associazione e non al singolo professionista inserito nell’entità collettiva. Ciò che rileva, quindi, è che il rapporto si instauri direttamente tra cliente e singolo professionista, il quale pertanto resta titolare del credito e potrà eventualmente cederlo all’associazione professionale.
2.1 Sempre secondo l’impugnato decreto, la giurisprudenza successiva, pur non disconoscendo il percorso interpretativo sopra esaminato, ha affermato il principio secondo il quale la domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751bis nr 2 c.c., a meno che l’istante dimostri che il
credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista in via esclusiva o prevalente e sia di pertinenza dello stesso.
2.2 Il Tribunale mostra di aderire a tale ultimo orientamento ed afferma che: a) l'”associazione professionale che agisca” per il credito “derivante da una prestazione svolta da qualcuno degli associati”, può avvalersi del privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c. soltanto “se quelle somme, detratte eventualmente le spese necessarie per la vita dell’associazione, competano a chi effettivamente ha svolto quella prestazione”; b) “solo a queste condizioni – infatti – quei crediti sono destinati a retribuire il lavoro e ricorre la ratio che giustifica la concessione del privilegio”; c) “occorre, quindi, che gli accordi interni tra gli associati prevedano che il compenso percepito da un determinato cliente spetti a chi ha concretamente svolto la prestazione in suo favore, o quanto meno meccanismi per assicurare che, nella rendicontazione periodica, gli utili siano distribuiti in misura proporzionale al lavoro svolto da ciascuno degli associati”; d) invece, “tutte le volte che gli accordi interni prevedano una diversa distribuzione degli utili, per esempio in misura fissa tra gli associati sulla base delle quote di partecipazione all’associazione stessa, non si può ritenere che i compensi vadano a retribuire il lavoro svolto da ciascuno, perché almeno in parte retribuiscono anche chi non ha svolto attività”.
2.3 Sulla scorta di tali premesse i giudici dell’opposizione hanno ritenuto, quanto al caso in esame, in primo luogo che: a) l’incarico, come emerge dalle “lettere di incarico prodotte in atti, tutte identiche per gli anni 2016, 2017 e 2018”, è stato formalmente conferito “allo Studio Gavio in persona del dott. COGNOME COGNOME quale associato e legale rappresentante”; b) l’incarico”, dunque, è stato affidato non anche al professionista, come pretende l’opponente, ma solo ed esclusivamente “all’associazione”, come, del resto, confermato dall’art. 2 delle lettere d’incarico prodotte in giudizio
(“tutte identiche per gli anni 2016, 2017 e 2018”), dove è stabilito che “lo studio si impegna ad eseguire l’incarico… attraverso le prestazione del dott. COGNOME, con una “previsione che non avrebbe senso se ad essere personalmente obbligato fosse stato quest’ultimo e non lo studio professionale”; c) l’opponente, dal suo canto, pur avendo dedotto che le prestazioni sono state svolte in via esclusiva dal dott. COGNOME, non ha allegato né provato in giudizio “il modo in cui l’associazione professionale ripartisce gli utili e le spese tra i membri non essendo stato nemmeno prodotto lo statuto dello Studio”; d) in definitiva ‘non avendo il ricorrente fornito gli elementi necessari per poter affermare che il credito in esame spetti integralmente a chi ha svolto l’attività lavorativa, e, quindi, per poter riconoscere il privilegio , risulta del tutto superfluo verificare chi abbia svolto la prestazione …perché anche se si accertasse che il dr. NOME COGNOME abbia eseguito in modo esclusivo la prestazione, mancherebbe comunque la prova dell’altro presupposto per il riconoscimento del privilegio’.
3.Lo Studio COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi ad un unico motivo. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
4 La Corte, con ordinanza interlocutoria n. 7602/2024, dopo aver rilevato che “la domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., salvo che l’istante dimostri che il credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall’associazione professionale” (Cass. 20746/2023, 14829/2022, 10977/2021, 9927/2018, 14321/2019, 5656/2019, 5248/2019, 9927/2018, 6285/2016), in forza, ad esempio, “di un
accordo tra gli associati che preveda la cessione all’associazione del credito al compenso per la prestazione professionale” (Cass. 7898/2020; cfr. Cass. 11502/2012, 18455/2011, 448/2015, per cui sarebbe questa la “sola ipotesi in cui anche lo studio associato sarà legittimato a far valere il diritto al privilegio”)”, ha ritenuto che sulla questione circa il senso da dare alla tralatizia affermazione per cui il credito debba (anche) essere “di pertinenza dello stesso professionista” ricorrevano gli estremi per la trattazione in pubblica udienza. Il Pubblico Ministero, con memoria depositata il 6/9/2024 e poi conclusione in udienza, ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Le parti costituite, a loro volta, hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con l’unico motivo, lo Studio ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione della legge, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che il credito al compenso azionato dallo studio professionale opponente non meritasse il riconoscimento del privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c.
4.2. Il Tribunale, infatti, ha osservato il ricorrente, così facendo, ha omesso di considerare che: – “ai fini del riconoscimento del privilegio, devono essere tenuti separati e ben distinti: (i) da un lato, la causa giustificatrice del credito, cioè quel particolare e specifico titolo in forza del quale sorge il credito e in virtù del quale, come disposto dall’articolo 2745 cod. civ., viene attribuito il privilegio da parte del legislatore; e, (ii) dall’altro lato, l’utilizzo (successivo e discrezionale) del credito da parte del suo titolare”; “il credito che nasce privilegiato viene trasferito come privilegiato e la sua natura rimane – pertanto – invariata indipendentemente dalle vicende che lo riguardano”; – il credito derivante dalla prestazione effettuata personalmente dal professionista, nella misura in cui è
garantito dal privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c., rimane, quindi, privilegiato anche se il professionista fa parte di un’associazione professionale; – la quale, infatti, non determina la creazione di un’entità giuridicamente rilevante e distinta dai soggetti che la compongono ma rappresenta semplicemente una struttura all’interno della quale si possono stabilire liberamente i criteri per la ripartizione degli utili e delle spese, senza, tuttavia, escludere la riferibilità della prestazione al singolo professionista che l’ha personalmente eseguita e il privilegio che ne garantisce il compenso; – per ammettere o escludere la collocazione privilegiata del credito occorre, pertanto, verificare soltanto che questo rappresenti il corrispettivo di un’attività posta in essere direttamente e personalmente dal singolo associato, sicché, una volta accertata e dimostrata la titolarità del rapporto professionale, il credito che da essa ne deriva deve considerarsi automaticamente “di pertinenza” del singolo professionista, non rilevando, dunque, a tal fine che, in base agli accordi interni tra gli associati, il compenso venga poi acquisito e fatturato dall’associazione professionale.
4.3. Il Tribunale, pertanto, avrebbe dovuto non già astenersi dalla verifica del presupposto dello “svolgimento della prestazione in modo esclusivo o prevalente” da parte del professionista associato, ma, al contrario, analizzare prima di tutto proprio lo “svolgimento della prestazione in modo esclusivo o prevalente” da parte dello stesso, e, una volta accertato, alla luce delle prove fornite e richieste in giudizio, tale presupposto, ne avrebbe dovuto far conseguentemente discendere la pertinenza del credito al predetto professionista in quanto solo ed esclusivamente inerente all’attività da quest’ultimo prestata.
4.4. L’art. 5 dello statuto dello Studio, del resto, prevede che: – “le prestazioni d’opera degli associati devono essere compiute personalmente dagli associati”, indipendentemente dal fatto che “il risultato economico dell’attività professionale svolta dagli associati
nell’ambito dello Studio fa capo allo Studio”; – “gli onorari relativi sono perciò automaticamente acquisiti dallo Studio e sono fatturati direttamente dallo studio a proprio nome”; – l’art. 9 prevede, a sua volta, che “per quanto si riferisce ai rapporti con i terzi, il rapporto professionale intercorre direttamente tra i clienti ed il singolo associato, che risponde personalmente e professionalmente del proprio operato”, a prescindere dal fatto che “agli effetti patrimoniali, l’attività fa invece capo allo Studio”.
4.5 Infine il Tribunale avrebbe dovuto rilevare che il carattere personale (e fiduciario) dell’attività svolta da NOME COGNOME era evincibile anche dalle lettere di incarico.
5 Il motivo è infondato.
5.1 Va preliminarmente osservato che, come recentemente osservato dalla Consulta (cfr. Corte cost. n. 167/2022) ‘i privilegi costituiscono, come le altre cause legittime di prelazione, una deroga al principio della par condicio creditorum sancito dal primo comma dell’art. 2741 cod. civ. Proprio la valenza derogatoria delle cause legittime di prelazione rispetto al fondamentale principio di eguale concorrenza dei creditori sui beni del comune debitore implica che le norme attributive … abbiano natura eccezionale. In particolare, i privilegi – a differenza del pegno e dell’ipoteca – non dipendono da un peculiare vincolo su un bene del debitore, ma sono attribuiti dal legislatore a determinati crediti in ragione (e nella misura) della meritevolezza della relativa causa. Ne deriva, pertanto, che «’efficienza di un sistema siffatto è garantita dall’equilibrio tra la regola della parità dei creditori e l’eccezione del regime preferenziale, giacché l’indiscriminata proliferazione dei privilegi potrebbe vanificare la stessa funzionalità del trattamento privilegiato» (sentenza Corte Cost. n. 101 del 2022)’.
5.2 È stato, altresì, osservato che, nell’esercizio delle relative valutazioni, viene riconosciuta al legislatore un’ampia discrezionalità in ordine alla scelta sulla natura, generale o
speciale, del privilegio mobiliare e sulla graduazione all’interno dei crediti privilegiati (vedi sempre Corte cost. n. 101 e 167 del 2022), tenuto conto del carattere politico-economico delle scelte che presiedono al riconoscimento della natura privilegiata di dati crediti; con la conseguenza che non si può utilizzare lo strumento del giudizio di legittimità costituzionale per introdurre, sia pur in considerazione del rilievo di un determinato credito, una causa di prelazione ulteriore, con strutturazione di un autonomo modulo normativo che codifichi la tipologia del nuovo privilegio e il suo inserimento nel sistema di quelli preesistenti; mentre è solo possibile sindacare, all’interno di una specifica norma attributiva di un privilegio, la ragionevolezza della mancata inclusione, in essa, di fattispecie identiche od omogenee a quella cui la causa di prelazione è riferita (Corte cost. sentenza n. 167 del 2022; conf. sentenze n. 101 del 2022, n. 113 del 2004, n. 1 del 2020, nn. 451 e 1 del 1998, n. 40 del 1996, n. 84 del 1992; ordinanze n. 435 del 2005 e n. 163 del 1999).
5.3 Con riferimento al privilegio di causa, la stessa Consulta, nella propria precedente sentenza n. 1 /2000 e al fine di un’esatta ricostruzione del significato dell’art. 2751-bis c.c., ha evidenziato come tale norma, sin dalla sua introduzione nel codice civile ad opera dell’art. 2 della legge 29 luglio 1975, n. 426, (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969 n. 153 in materia di privilegi) avesse come scopo quello di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore.
5.4 Pertanto, il riconoscimento del privilegio mobiliare ex art. 2751bis n. 2 c.c. al compenso dei prestatori di lavoro autonomo non è altro che l’espressione dell’esigenza, in generale, di tutela del lavoro ‘in tutte le sue forme ed applicazioni’, ai sensi dell’art. 35,
primo comma, Cost. (vedi, sul punto, Cass. n. 7552/2024; Cass. n. 14829/2022).
5.5 Proprio avuto riguardo alla portata eccezionale della normazione sui privilegi, alla ratio dell’art. 2751 -bis c.c., alla connessione diretta fra creditore (per la prestazione eseguita) e configurazione soggettiva del titolare della causa di prelazione, questa Corte ha ritenuto insussistenti i dubbi di legittimità costituzionale in discipline in cui legislatore abbia inteso regolare in modo diseguale situazioni attinenti alla produzione di merci o servizi, ma diverse sotto il profilo dell’organizzazione del prestatore (Cass. 11917/2018, 14829/2022).
5.6 Sempre coerente con questa impostazione è il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il privilegio generale sui mobili del debitore previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c. garantisce solo i compensi professionali spettanti al singolo professionista o prestatore d’opera per il lavoro personale svolto in forma autonoma, con esclusione di quei compensi che, sia pure in misura minima, contengano remunerazione di capitale.
5.7 Si è peraltro largamente diffusa la prassi della erogazione delle prestazioni rese da parte dei professionisti inseriti in uno studio professionale associato, centro di imputazione di rapporti giuridici e titolare del diritto al pagamento del compenso (o, quanto meno, incaricato della sua riscossione) per gli incarichi professionali conferiti agli associati (Cass. n. 6285 del 2016, in motiv.).
5.8 Al riguardo si è conseguentemente affermato che l’inserimento di un creditore in un’associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, non può comportare di per sé o in modo assoluto l’inapplicabilità del privilegio professionale.
Molteplici possono essere le ragioni di tale sostenuta e prudentemente pur sempre circoscritta compatibilità: perché il
singolo professionista non è titolare di partita IVA, o per altre circostanze di natura contabile, o per accordi generali a monte o ad hoc sulla singola vicenda tra associati o soci; ma quel che rileva è che il rapporto professionale si sia instaurato con il previo coinvolgimento e dunque individuazione fiduciaria e certa del professionista designato dal cliente, nel mentre l’associazione o altra entità collettiva deve risultare scelta in quanto di essa fa parte il singolo professionista nei cui confronti il cliente riponga, come detto, la propria considerazione di personale affidamento. D’altro canto è indubitabile che la proposizione della domanda d’insinuazione al passivo fallimentare da parte di uno studio associato fa in effetti presumere, in ragione della fungibilità delle prestazioni rese dai relativi associati, che l’opera professionale da cui quel credito è derivato non sia stata personalmente svolta (almeno in termini di esclusività o di prevalenza) da un singolo professionista, e che, dunque, (come ricordato nella stessa ordinanza interlocutoria)non sussistono i presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c. salvo che la struttura collettiva deduca e dimostri in giudizio: – innanzitutto, che il credito abbia avuto origine dalla prestazione d’opera personalmente svolta, in via esclusiva o prevalente, da uno (o più) dei professionisti associati a tal fine (espressamente o inequivocamente) incaricato (dal cliente committente o dalla stessa associazione); – in secondo luogo, che il credito al compenso conseguentemente maturato, pur se azionato in giudizio dall’associazione professionale in forza degli accordi intercorsi sul punto tra gli associati (Cass. n. 443 / 2016) o della successiva cessione dello stesso (Cass. n. 11052/ 2012; 18455 / 2011), sia, in tutto o (almeno) in parte, “di pertinenza” dello stesso professionista che ha eseguito la prestazione (cfr. Cass. n. 6285/2016; 16446/2017; 1233/2019; 5248/2019; 5656/2019;
9927 /2018; 14321/2019; 10977/2021; 20746/2023; 35314/2023).
5.9 Va tuttavia rimarcato che la ‘connotazione personale’ della prestazione del singolo professionista deve sussistere sin dal momento dell’instaurazione del rapporto professionale (dovendo tale profilo appartenere al programma negoziale) e deve persistere – e quindi essere parimenti provata, come sarà di seguito approfondito – non solo in relazione al concreto svolgimento della prestazione, ovvero alla sua esecuzione, ma anche all’imputazione della relativa remunerazione.
Detto più espressivamente, il requisito della personalità della prestazione deve, pertanto, essere presente già al momento della genesi del rapporto professionale, mediante una cd. regola d’ingaggio che ne riveli il sicuro tratto dell’ intuitus personae .
5.10 Ritiene dunque questo Collegio, che affinché anche la struttura collettiva di professionisti possa richiedere direttamente, in sede di insinuazione allo stato passivo, il riconoscimento del privilegio di cui è causa, sia necessario (oltre alla personalità della prestazione) che la designazione dell’associato professionista -anche se il rapporto professionale si è instaurato direttamente con l’entità collettiva – sia stata compiuta dal cliente, ricorrendo solo in tale ipotesi la situazione cui il legislatore ha ritenuto la meritevolezza della causa del credito.
5.11 Precisato allora che la prima condizione affinché il credito, formalmente richiesto dalla struttura collettiva, possa essere ritenuto ‘di pertinenza’ del singolo professionista, è che il cd. ingaggio avvenga nei termini sopra illustrati, il privilegio non può essere negato per il solo fatto che il credito al compenso “sia stato eventualmente ceduto all’entità collettiva costituita per la gestione in comune dei proventi dell’attività dei singoli associati”, posto che “la cessione non incide sulla natura del credito e non lo fa degradare a chirografo ma, al contrario, legittima lo stesso studio
associato a far valere il diritto al privilegio” (Cass. n. 4486 del 2015).
5.12 Per il riconoscimento del privilegio vanno riassuntivamente verificate, con onere di allegazione e prova a carico del professionista, due ulteriori condizioni, per come già anticipato: i) che la prestazione sia stata svolta, in via esclusiva o prevalente, dal professionista o comunque egli avvalendosi anche di collaboratori sotto la sua responsabilità, ii) che il compenso maturato (pur confluendo, in forza degli accordi tra gli associati, nel patrimonio dell’associazione, che provvede, poi, a distribuirlo, sotto forma di utili, tra i professionisti che ne fanno parte in ragione delle quote ivi pattuite o comunque a retrocederlo, in misure variabili), costituisca (sia pure soltanto in una percentuale, almeno significativa e riconoscibile: e nei limiti della stessa) la ‘retribuzione’ spettante all’associato che ha eseguito la prestazione d’opera professionale che ne costituisce il fondamento e che, dunque, sia pur entro i limiti quantitativi previsti dagli ‘accordi ripartitori tra i diversi associati’ (Cass. n. 14321 del 2019, in motiv., che rinvia a Cass. n. 4628 del 1997), sia, come tale, destinato a remunerare quello specifico lavoro personalmente svolto dallo stesso e richiesto al medesimo.
5.13 In sostanza, il credito al compenso può ritenersi ‘di pertinenza’ del professionista che ha svolto la prestazione solo se (e nella misura in cui), in ragione della vocazione personalistica sulla quale convergono tanto la ratio , quanto la lettera della disposizione, le somme corrispondenti a tale compenso siano destinate, in forza degli accordi tra gli associati e dei criteri di distribuzione degli utili maturati pattuiti tra gli stessi o comunque del corrispettivo percepito, a retribuire (nei diversi modi di volta in volta previsti, come l’eventuale percentuale al prestatore riservata) proprio l’opera lavorativa svolta dal professionista associato, in termini personali e identificabili; la relativa personalità, sotto
questo profilo, comprende non soltanto la esecuzione, che è l’oggetto dell’obbligazione assunta dal prestatore d’opera, ma anche la remunerazione, alla quale (soltanto), per contro, afferiscono il credito al compenso conseguentemente vantato dallo stesso e la relativa collocazione privilegiata, entro il limite temporale previsto dalla norma.
5.14 Nel caso di specie il Tribunale ha in primo luogo ritenuto, sulla scorta dell’esame degli atti e, segnatamente delle clausole contenute nelle lettere di incarico, che il rapporto professionale si era instaurato tra il cliente e lo Studio Associato – e non quindi con il singolo professionista NOME COGNOME
5.15 Si tratta di un accertamento in fatto, censurabile in Cassazione nei ristretti limiti di cui all’art. 360 comma 1 nr 5 e l’articolazione del motivo che lo contesta mira in realtà a sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge, una nuova valutazione degli atti.
5.16 Già tale circostanza, per effetto della presunzione sopra richiamata e non avendo l’associazione professionale allegato e provato l’ingaggio personale del professionista da parte del cliente e indicato le ragioni sottese al conferimento del formale incarico all’ente collettivo, appare dirimente, ai fini dell’esclusione del privilegio del professionista di cui all’art. 2751 -bis n. 2 c.c.
5.17 Il Tribunale, inoltre, prestando ossequio ai principi sopra esposti, si è dato carico di verificare la sussistenza dell’ulteriore profilo della pertinenza del credito, costituito dall’imputazione della remunerazione del lavoro del professionista.
5.18 Al riguardo i giudici piemontesi hanno affermato che ‘non è allegato il modo in cui l’associazione professionale ripartisce gli utili e le spese tra i membri, non essendo nemmeno stato prodotto lo statuto dello Studio. Non avendo il ricorrente fornito gli elementi necessari per poter affermare che il credito in esame spetti integralmente a chi ha svolto la prestazione lavorativa, e, quindi,
per poter riconoscere il privilegio risulta del tutto superfluo verificare chi abbia svolto la prestazione’ . Tale accertamento non è stato oggetto di contestazione specifica da parte del ricorrente, le cui doglianze si incentrano essenzialmente nell’insistere a connettere il riconoscimento del privilegio in presenza del solo requisito dello svolgimento dell’attività professionale da parte del singolo professionista, a prescindere già da quali fossero gli accordi circa la ripartizione interna del corrispettivo ricevuto dal cliente.
Il ricorso dev’essere, di conseguenza, rigettato.
6 La Corte enuncia il seguente principio di diritto: “Ai fini del riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c., relativo ad insinuazione al passivo proposta non dal singolo professionista ma da uno studio associato di professionisti, è necessario che il requisito della personalità della prestazione sussista sin dal momento dell’incarico, così che le circostanze del suo conferimento e dunque la scelta del prestatore effettivo, in persona del singolo professionista, già ne rivelino il sicuro tratto dell’ intuitus personae ; ne consegue che l’eventuale instaurazione del rapporto professionale, formalmente avvenuta in capo allo studio, non è ostativa al detto riconoscimento soltanto se risulti, da un lato, il previo coinvolgimento e la individuazione del professionista da parte del committente, ferme le altre condizioni di pertinenza del credito, che esigono, dall’altro, sia lo svolgimento essenzialmente personale dell’incarico da parte del medesimo professionista sia l’inerenza del credito insinuato proprio alla prestazione per come richiesta e dunque la sostanziale e riconoscibile spettanza della relativa remunerazione a tale prestatore’.
7 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 8.200,00, di cui € 200 per esborsi oltre Iva Cap e rimborso forfettario come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 15 ottobre 2024.