Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32737 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 32737 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7538/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE N. 225/2014 IN LCA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA n. 819/2016 depositato il 24/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
F ATTI DI CAUSA
1 Con decreto, ex art 99 l. fall. del 24/2/2016, il Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (di seguito indicata semplicemente ‘RAGIONE_SOCIALE‘) avverso lo stato passivo formato dal liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE Liquidazione coatta amministrativa (‘breviter’ C.E.S.I.) che aveva escluso il credito insinuato, ha ammesso il credito di € 63.440 in via chirografaria per l’attività di progettazione svolta in favore della C.E.SRAGIONE_SOCIALE. in bonis per la costruzione del Nuovo Ospedale di Ancona.
Il Tribunale emiliano ha osservato, per quanto di interesse in questa sede, che: i) il privilegio ex art. 2751 bis 1 comma nr. 2 c.c. non poteva essere riconosciuto in quanto l’incarico non era stato conferito, intuitus personae , ad un singolo professionista, sia pur facente parte di una associazione professionale; ii) non ricorrevano neanche i requisiti del privilegio ex art. 2751 1° comma nr. 5 c.c. in quanto l’opponente non aveva tempestivamente depositato la documentazione comprovante la prevalenza del lavoro dei soci rispetto all’apporto lavorativo dei non soci; iii) l’opponente avrebbe dovuto, a pena di decadenza come previsto chiaramente dall’art. 99 l.fall. e già con l’atto introduttivo, depositare la documentazione dimostrativa del privilegio.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso Politecnica, affidandolo a cinque motivi. C.E.S.I ha resistito in giudizio con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 6759/2024, emessa all’esito dell’adunanza del 23.1.2024, è stata disposta la trattazione della presente causa in pubblica udienza per approfondire la questione, avente rilievo nomofilattico, della nozione di credito ‘di pertinenza del professionista’ ai fini del riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis n. 2 c.c.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..
Alla pubblica udienza del 15.10.2024 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso denuncia nullità del decreto per violazione degli artt. 131, 132 e 134 c.p.c., per essere stato l’atto impugnato sottoscritto, in qualità di Presidente, dalla dr.ssa NOME COGNOME invece che dal dr. NOME COGNOME indicato Presidente del Collegio nell’intestazione del decreto, senza che fossero stati indicati gli impedimenti alla sottoscrizione dell’atto da parte dell’Atzori.
2. Il motivo è infondato.
L’art 99 3° comma l.fall. prevede che il Presidente designa il relatore al quale può essere delegata la trattazione del procedimento mentre la decisione , stante la previsione di cui all’art. 50 bis c.p.c. spetta al Collegio .
Nel caso di specie, risulta documentato che il Presidente della IV Sezione civile del Tribunale di Bologna dr.ssa NOME COGNOME sezione alla quale sono assegnate per tabella le controversie in
materia concorsuale, abbia con decreto del 3/6/2015 nominato relatore il giudice dr.ssa NOME COGNOME che ha condotto tutta la fase della trattazione rimettendo la causa in decisione al Collegio presieduto dalla COGNOME che ha poi sottoscritto il decreto.
L’indicazione nell’epigrafe del provvedimento di NOME COGNOME quale Presidente è evidentemente frutto di un refuso, tanto che RAGIONE_SOCIALE ha, ancor prima dell’impugnazione, attivato la procedura di correzione di errore materiale del provvedimento.
Nessun sussiste, quindi, alcun vizio relativo alla costituzione del giudice per mancata sottoscrizione dell’atto.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 1260, 1262 e 1264 c.c. in riferimento all’art. 1703 c.c. ed all’art. 2229 c.c. nonché in riferimento all’art. 33 Cost. e all’art. 45 1 comma Cost. ed all’art. 2751 1 comma nr 2 c.c. nonché in riferimento all’art. 10 3 comma L. 183/2011, per non avere il Collegio correttamente individuato il conferimento dell’incarico professionale alla luce delle risultanze probatorie dimesse in atti.
Espone la ricorrente che l’incarico professionale era stato conferito non con la sottoscrizione dell’atto del 10/5/2014, ma, oralmente, come documentato dai verbali di riunione, nei quali erano stati indicati esattamente i soggetti incaricati ( intuitus personae ) e l’attività che ciascuno di essi avrebbe dovuto svolgere. I professionisti avevano poi (per precedenti obbligazioni contrattuali -statutarie) trasferito alla cooperativa i loro crediti professionali.
La ricorrente rileva, inoltre, che l’art. 2751 bis n. 2 c.c., ai fini del riconoscimento del privilegio, anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, non è più nemmeno vincolato all’ intuitus personae allorquando il mandato professionale sia stato
conferito ad una società tra professionisti costituita nel rispetto delle norme della L. n. 183/2011.
E’, infatti, la stessa normativa speciale che riconosce la sussistenza dell’ intuitus personae quando indica all’art. 10 comma 4° lett b) i limiti per le società di professionisti e prevede espressamente, all’art. 10 comma 4° lett c), che l’incarico debba essere svolto esclusivamente da soci liberi professionisti, prevedendo, altresì, al comma settimo della stessa norma, che i soci e la società sono tenuti al rispetto del codice deontologico e all’obbligo del segreto professionale per le attività svolte da uno dei componenti del sodalizio.
In sostanza, ad avviso della ricorrente, ciò che determina la sussistenza del privilegio è la natura professionale della prestazione, e non solo l’attività meramente personale.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, cioè per non avere il Collegio correttamente individuato il conferimento dell’incarico professionale alla luce delle risultanze probatorie.
Si duole la ricorrente che il giudice di primo grado non ha erroneamente ritenuto sussistente il requisito dell’ intuitus personae , avendo individuato il conferimento dell’incarico professionale nel solo contratto scritto del 10.5.2014 e non anche nei verbali di incontro tra le parti e, in particolare, in quello del 9.4.2014, allorquando l’ing. COGNOME direttore tecnico di RAGIONE_SOCIALE, aveva individuato i signori COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME di Politecnica quali responsabili della redazione del progetto. Tale fatto, oggetto di discussione tra le parti e non non esaminato dal giudice di primo grado, risultava determinante per l’individuazione del citato intuitus .
In sostanza, la scelta dei professionisti da parte di RAGIONE_SOCIALE era stata anteriore alla redazione e sottoscrizione del contratto di conferimento dell’incarico, come poteva evincersi dal contenuto della dichiarazione del Direttore Tecnico di Cesi COGNOME e dai verbali di incontro delle varie riunioni in cui, tra gli altri, l’arch. COGNOME era descritto come ‘responsabile del progetto’, l’ing. COGNOME designato come ‘responsabile integr. Discipline’, l’ing. COGNOME per la parte impiantistica.
Il secondo e il terzo motivo, da esaminare unitariamente, in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di infondatezza e inammissibilità.
Va preliminarmente osservato che, come recentemente osservato dalla Consulta (cfr . Corte cost. n. 167/2022) ‘ i privilegi costituiscono, come le altre cause legittime di prelazione, una deroga al principio della par condicio creditorum sancito dal primo comma dell’art. 2741 cod. civ. Proprio la valenza derogatoria delle cause legittime di prelazione rispetto al fondamentale principio di eguale concorrenza dei creditori sui beni del comune debitore implica che le norme attributive … abbiano natura eccezionale. In particolare, i privilegi -a differenza del pegno e dell’ipoteca -non dipendono da un peculiare vincolo su un bene del debitore, ma sono attribuiti dal legislatore a determinati crediti in ragione (e nella misura) della meritevolezza della relativa causa. Ne deriva, pertanto, che «’efficienza di un sistema siffatto è garantita dall’equilibrio tra la regola della parità dei creditori e l’eccezione del regime preferenziale, giacché l’indiscriminata proliferazione dei privilegi potrebbe vanificare la stessa funzionalità del trattamento privilegiato» (sentenza Corte Cost. n. 101 del 2022)’.
È stato, altresì, osservato che, nell’esercizio delle relative valutazioni, viene riconosciuta al legislatore un’ampia discrezionalità in ordine alla scelta sulla natura, generale o
speciale, del privilegio mobiliare e sulla graduazione all’interno dei crediti privilegiati (vedi sempre Corte cost. n. 101 e 167 del 2022), tenuto conto del carattere politico -economico delle scelte che presiedono al riconoscimento della natura privilegiata di dati crediti, con la conseguenza che non si può utilizzare lo strumento del giudizio di legittimità costituzionale per introdurre, sia pur in considerazione del rilievo di un determinato credito, una causa di prelazione ulteriore, con strutturazione di un autonomo modulo normativo che codifichi la tipologia del nuovo privilegio e il suo inserimento nel sistema di quelli preesistenti, mentre è solo possibile sindacare, all’interno di una specifica norma attributiva di un privilegio, la ragionevolezza della mancata inclusione, in essa, di fattispecie identiche od omogenee a quella cui la causa di prelazione è riferita (Corte cost. sentenza n. 167 del 2022; conf. sentenze n. 101 del 2022, n. 113 del 2004, n. 1 del 2020, nn. 451 e 1 del 1998, n. 40 del 1996, n. 84 del 1992; ordinanze n. 435 del 2005 e n. 163 del 1999).
Con riferimento al privilegio di causa, la stessa Consulta, nella propria precedente sentenza n. 1 /2000 e al fine di un’esatta ricostruzione del significato dell’art. 2751 -bis c.c., ha evidenziato come tale norma, sin dalla sua introduzione nel codice civile ad opera dell’art. 2 della legge 29 luglio 1975, n. 426, (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969 n. 153 in materia di privilegi) avesse come scopo quello di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore.
Pertanto, il riconoscimento del privilegio mobiliare ex art. 2751 -bis n. 2 c.c. al compenso dei prestatori di lavoro autonomo non è altro che l’espressione dell’esigenza, in generale, di tutela del lavoro ‘in tutte le sue forme ed applicazioni’, ai sensi dell’art. 35, primo
comma, Cost. (vedi, sul punto, Cass. n. 7552/2024; Cass. n. 14829/2022).
Proprio avuto riguardo alla portata eccezionale della normazione sui privilegi, alla ratio dell’art. 2751 bis c.c., alla connessione diretta fra creditore (per la prestazione eseguita) e configurazione soggettiva del titolare della causa di prelazione, questa Corte ha ritenuto insussistenti i dubbi di legittimità costituzionale in discipline in cui legislatore abbia inteso regolare in modo diseguale situazioni attinenti alla produzione di merci o servizi, ma diverse sotto il profilo dell’organizzazione del prestatore (Cass. 11917/2018, 14829/2022).
Sempre coerente con questa impostazione è il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il privilegio generale sui mobili del debitore previsto dall’art. 2751 -bis n. 2 c.c. garantisce solo i compensi professionali spettanti al singolo professionista o prestatore d’opera per il lavoro personale svolto in forma autonoma, con esclusione di quei compensi che, sia pure in misura minima, contengano remunerazione di capitale.
Come diretta conseguenza dei principi sopra enunciati, è stato costantemente affermato che se, da un lato, l’inserimento di un creditore in un’associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività (situazione che è assimilabile a quella di cui è causa, rappresentata della costituzione di una società cooperativa di professionisti), non può comportare di per sé, in modo assoluto, l’inapplicabilità del privilegio di cui all’art. 2751 -bis, n. 2) c.c., dall’altro, è indubitabile che la domanda di insinuazione al passivo proposta da uno studio associato o altra equivalente articolazione collettiva faccia presumere, come prima affermazione tratta anche dalla ricognizione empirica e salvo diversi elementi d’immediato rilievo, l’esclusione della personalità del rapporto
d’opera professionale da cui quel credito è derivato, e quindi l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c.; è però fatto salvo per l’istante dimostrare che il credito si riferisce in realtà ad una prestazione svolta e nella sostanza richiesta per la effettiva esecuzione personale del singolo professionista, in via esclusiva o prevalente, e come tale di complessiva pertinenza del medesimo professionista, pur se formalmente il contatto negoziale sia avvenuto con l’associazione professionale (Cass. 20746/2023, 14829/2022, 10977/2021, 9927/2018, 14321/2019, 5656/2019, 5248/2019, 9927/2018, 6285/2016); tale prova è stata frequentemente riscontrata, dai giudici di merito e ad esempio, in forza di un accordo tra gli associati che preveda la cessione all’associazione del credito al compenso per la prestazione professionale (Cass 6285/2016, 9927/2018, 7898/2020, 10977/2021), atteso che tale cessione non incide sulla natura del credito e non lo fa degradare a chirografo ma, al contrario, legittima l’entità collettiva a far valere anche in via giudiziale, con la richiesta di pagamento, altresì il diritto al privilegio.
Il credito richiesto dallo studio associato – o dalla cooperativa di professionisti, come nel caso di specie -si presume, pertanto, relativo a prestazioni non professionali in senso strettamente personale ed ai fini della disputata prelazione, e ciò in quanto lo studio associato, al pari della società cooperativa, non coincide, ovviamente, con il ‘professionista’ tutelato dall’art. 2751 bis n. 2 c.c.; la struttura collettiva è, invece, abilitata alla prova contraria della personalità della prestazione del singolo professionista: questa caratteristica deve tuttavia sussistere sin dal momento dell’instaurazione del rapporto professionale (dovendo tale profilo appartenere al programma negoziale) e deve persistere, e quindi essere parimenti provata, come sarà di seguito approfondito, non solo in relazione al concreto svolgimento della prestazione, ovvero
alla sua esecuzione, ma anche all’imputazione della sua remunerazione.
Dunque, in primo luogo, il requisito della personalità della prestazione – che, nella specie, deve appartenere al novero delle professioni protette -deve sussistere sin dal momento dell’instaurazione dell’incarico, mediante una cd. regola d’ingaggio che ne riveli il sicuro tratto dell’ intuitus personae .
Questa Corte (vedi, recentemente, Cass. 14829/2022, punto 3.3.; Cass. n. 7552/2024, punto 4.3.; Cass. 7632/2024; punto 5.5.) ha, sul punto, sempre distinto ‘ a seconda che il rapporto professionale si instauri tra il singolo professionista e il suo cliente, ovvero tra costui e un’entità collettiva nella quale il professionista risulti organicamente inserito quale prestatore d’opera qualificato, perché solo nel primo caso il credito del professionista ha per oggetto prevalente la remunerazione di una prestazione lavorativa – anche se include le spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento – mentre nel secondo caso il credito ha per oggetto un corrispettivo, certamente riferibile anche al lavoro del professionista organico, oltre che al capitale, ma solo quale voce del costo complessivo di un’attività essenzialmente imprenditoriale’.
In ordine a tale profilo, è tuttavia indispensabile effettuare una precisazione.
Come anticipato, non è ostativa al riconoscimento del privilegio la circostanza che il rapporto professionale si sia instaurato formalmente (e dunque in questo senso ‘giuridicamente’) con l’associazione o la società (ad esempio, con il conferimento del mandato scritto direttamente alla struttura collettiva).
Molteplici possono essere i motivi per cui, in fatto e come emerso dai riscontri dei giudici di merito, il fenomeno può avvenire: perché
il singolo professionista non è titolare di partita IVA, o per altre circostanze di natura contabile, o per accordi generali a monte o ad hoc sulla singola vicenda tra associati o soci, ma quel che rileva è che il rapporto professionale si sia instaurato con il previo coinvolgimento e dunque individuazione del professionista designato dal cliente, nel mentre l’associazione o altra entità collettiva deve risultare scelta in quanto di essa fa parte il singolo professionista nei cui confronti il cliente riponga, come detto, la propria fiducia.
Ne consegue che non sempre la società tra professionisti, disciplinata dalla L. 183/2011 (richiamata espressamente dalla società ricorrente nelle proprie argomentazioni), può invocare il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis n. 2 c.c. per l’attività professionale svolta da un proprio socio.
A norma dell’art. 10 comma 3° lett. c) L. 183/2011, requisiti imprescindibili della società di professionisti sono che l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta, che la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente.
Orbene, alla luce di quanto sopra illustrato, ritiene questo Collegio che affinché anche la società di professionisti possa richiedere, in sede di insinuazione allo stato passivo, il riconoscimento del privilegio di cui è causa, è necessario (oltre alla personalità della prestazione nei termini che saranno più avanti illustrati) che la designazione del socio professionista -anche se il rapporto professionale si è instaurato direttamente con l’entità collettiva -sia stata compiuta dal cliente, ricorrendo solo in tale ipotesi la
situazione cui il legislatore ha ritenuto la meritevolezza della causa del credito.
Va, altresì, osservato che la possibilità di esercizio ‘in forma associata’ della professione, se, da un lato, realizza la libertà economica, dall’altro, non implica di per sé il trascinamento in capo al prestatore dell’intero statuto normativo congegnato in astratto a protezione del credito del prestatore professionista, poiché un conto è permettere lo svolgimento condiviso della prestazione, altro conto è uniformare la condizione del credito che ne discenda parificando situazioni diverse, ancorché consentite, cioè quella del singolo e quella, regolata in modo speciale, di chi si associa (o si coordina).
In proposito, chi si associa (o si coordina) è nella condizione di fruire di benefici direttamente tratti dall’organizzazione, anche in punto di reddito, potendo – per patti paralleli che vanno dati per certi o possibili -l’organizzazione prevederne la remunerazione o per effetto della partecipazione in sé alla struttura collettiva o deviando in misura anche significativa o totale dalle regole ordinarie della corrispondenza fra retribuzione e prestazione (secondo estremi solo sottostanti al rapporto con il cliente). Chi non si associa (o non si coordina) evidenzia, invece, una condizione ordinaria di collegamento biunivoco fra prestazione e remunerazione della stessa, cioè ‘vive’ della sua professione e come tale chiede ed ottiene ogni tutela prevista per il relativo credito (ivi compreso il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis n. 2 c.c.).
Affinché possano coesistere, da un lato, l’organizzazione e, dall’altro, la particolare tutela del credito prevista per il singolo, è allora necessario che la prestazione sia chiaramente individuabile in capo allo specifico professionista dal momento dell’incarico sino a
quello della esecuzione personale della prestazione e poi alla sua remunerazione.
Ne consegue che condizione perché il credito, formalmente richiesto dalla struttura collettiva, possa essere ritenuto ‘di pertinenza’ del singolo professionista, è che il soggetto istante, oltre al cd. ingaggio nei termini sopra illustrati, fornisca non solo la prova che quel credito si riferisca ad una prestazione svolta dal professionista, in via esclusiva o prevalente, ma dimostri, altresì, che il compenso così maturato (pur confluendo, in forza degli accordi tra gli associati, nel patrimonio dell’associazione, che provvede, poi, a distribuirlo, sotto forma di utili, tra i professionisti che ne fanno parte in ragione delle quote ivi pattuite o comunque a retrocederlo, in misure variabili), costituisca (sia pure soltanto in una percentuale: e nei limiti della stessa) la ‘retribuzione’ spettante all’associato che ha eseguito la prestazione d’opera professionale che ne costituisce il fondamento e che, dunque, sia pur entro i limiti quantitativi previsti dagli ‘accordi ripartitori tra i diversi associati’ (Cass. n. 14321 del 2019, in motiv., che rinvia a Cass. n. 4628 del 1997), sia, come tale, destinato a remunerare, sia pure a titolo di utili (e nei limiti della relativa percentuale), lo specifico lavoro personalmente svolto, in via esclusiva o prevalente, dallo stesso.
In sostanza, il credito al compenso può ritenersi ‘di pertinenza’ del professionista che ha svolto la prestazione solo se (e nella misura in cui), in ragione della vocazione personalistica sulla quale convergono tanto la ratio , quanto la lettera della disposizione, le somme corrispondenti a tale compenso siano destinate, in forza degli accordi tra gli associati e dei criteri di distribuzione degli utili maturati pattuiti tra gli stessi o comunque del corrispettivo percepito, a retribuire (nei diversi modi di volta in volta previsti, come l’eventuale percentuale a lui riservata) proprio l’opera lavorativa svolta dal professionista associato, in termini personali e
identificabili; la relativa personalità, sotto questo profilo, comprende non soltanto la esecuzione, che è l’oggetto dell’obbligazione assunta dal prestatore d’opera, ma anche la remunerazione, alla quale (soltanto), per contro, afferiscono il credito al compenso conseguentemente vantato dallo stesso e la relativa collocazione privilegiata, entro il limite temporale previsto dalla norma.
6. Nel caso di specie, il giudice di primo grado ha accertato che il rapporto professionale si era instaurato tra società fallita e Politecnica Ingegneria ed Architettura -e non quindi con i singoli professionisti -non solo alla luce dell’atto di conferimento dell’incarico del 10/5/2014 -circostanza che, come sopra precisato, seppur introduca una presunzione iuris tantum , non è comunque dirimente -ma anche di tutti gli altri documenti esaminati, e tale valutazione di fatto non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, qui per difetto del ‘minimo costituzionale’, secondo i parametri elaborati da questa Corte nella sentenza n. 8053/2014 o comunque nei ristretti limiti della nuova formulazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
La ricorrente d’altronde non ha neppure invocato il vizio di motivazione per il citato difetto ‘del minimo costituzionale’, mentre la censura di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., si appalesa come inammissibile, atteso che l’impugnato decreto (vedi pag. 3), contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha espressamente preso in considerazione i verbali di incontro tra le parti, valutandone la valenza probatoria ai fini del richiesto riconoscimento del privilegio professionale e l’ha motivatamente esclusa.
In particolare, il Tribunale di Bologna, nell’affermare che non erano stati previamente individuati i professionisti scelti dal committente
per l’esecuzione delle prestazioni, ha precisato che ‘ neppure può darsi rilievo, a tal fine, alla individuazione dei tecnici di volta in volta intervenuti, fatta nei verbali, che semplicemente indicano le presenze, senza che questo indichi o confermi una previa scelta del professionista, vincolante per la società, e riferibile alla committenza ‘.
Ne consegue che la ricorrente, con l’apparente doglianza del vizio di cui all’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., mira in realtà a sovvertire l’apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice di primo grado, sollecitando una rinnovazione del sindacato di merito che è, invece, estraneo ai compiti istituzionali di questa Corte.
In conclusione, il Tribunale di Bologna ha correttamente rigettato l’opposizione ritenendo già dirimente, ai fini dell’esclusione del privilegio del professionista di cui all’art. 2751 bis n. 2 c.c., il difetto del primo requisito logico -fattuale richiesto a tale fine, ovvero il cd. ingaggio personale del professionista, circostanza che ha reso superfluo l’esame dell’altro requisito (in punto di personalità della prestazione, da intendersi, per quanto sopra detto, non solo circoscritta al profilo della esecuzione in via esclusiva o prevalente da parte del professionista, ma estesa a quello delle modalità e dei criteri della sua remunerazione).
Con il quarto motivo è stato detto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., per non avere il Collegio di primo grado ammesso prove testimoniali richieste, rendendo una insufficiente motivazione sul punto.
Espone la ricorrente che il giudice di primo grado avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale, e, in particolare, il capitolo di prova n. 22 che verteva sul conferimento dell’incarico ai professionisti.
8. Il motivo è infondato.
Va preliminarmente osservato che è orientamento costante di questa Corte (vedi Cass. n. 16214/2019; conf. 27415/2018; Cass. n. 56544/2017) quello secondo cui ‘ ll vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento’.
Nel caso di specie, a prescindere dal rilievo che la ricorrente lamenta la ‘insufficienza’ della motivazione di rigetto del capitolo testimoniale n. 22 (circostanza che di per sé non integra un vizio rilevante secondo i parametri della sentenza di questa Corte SU n. 8053/2014) e non l’omissione, tale doglianza non investe un punto decisivo della controversia, non essendo stati indicati in alcun modo gli elementi sulla base dei quali la committente avrebbe designato, di sua iniziativa, i singoli professionisti per lo svolgimento delle singole prestazioni di cui ai progetti – individuazione non ripetuta nell’atto di conferimento dell’incarico sottoscritto -a nulla rilevando la dedotta circostanza che le attività siano state eseguite personalmente dagli stessi professionisti.
Con il quinto motivo è stata invocata la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 2697 c.c., 115 c.p.c., 99 l.fall., per avere il Tribunale erroneamente valutato la documentazione depositata dall’opponente nel corso del giudizio a sostegno della natura mutualistica della cooperativa ritenendola tardiva. La ricorrente sostiene che la necessità di produrre tale documentazione era sorta solo a seguito delle difese della
procedura, che aveva introdotto, con la memoria di costituzione nel procedimento di opposizione ex art. 98 l.fall., tematiche sui requisiti del privilegio ex art. 2751 comma 1 bis n. 5 c.c. che non erano state oggetto di discussione nella fase della verifica dei crediti.
La ricorrente rileva che se, da un lato, è consentito agli organi della procedura, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, sollevare nuove eccezioni di merito e proporre nuove difese, dall’altro, deve essere consentito anche all’opponente, a fronte dei nova introdotti dal curatore, replicare anche con richiesta di mezzi istruttori non articolati con il ricorso introduttivo. Diversamente, si determinerebbe un intollerabile vulnus al diritto di difesa di chi agisce in giudizio.
8. Il motivo è infondato.
L’art. 99 2 comma n. 4 l.fall. stabilisce che ‘ il ricorso deve contenere …4) a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, nonché l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti ‘.
E’ stato precisato che il giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento (come disciplinato a seguito del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169) non è un giudizio di appello, anche se ha natura impugnatoria, ed è pertanto regolamentato integralmente dall’art. 99 l.fall., il quale prevede appunto, al secondo comma, n. 4, che l’opponente deve indicare specificamente nel ricorso i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti prodotti, ivi compresa la documentazione già prodotta nel corso della verifica del passivo. Ne consegue che la mancata indicazione nell’atto di opposizione dei mezzi istruttori necessari -a prescindere dalla eccezione della curatela fallimentare -a provare il fondamento della domanda dell’opponente, comporta la decadenza da tali mezzi, non
emendabile nemmeno con la concessione dei termini dell’art. 183, sesto comma, c.p.c., non potendosi, in particolare, concedere il termine ivi previsto esclusivamente per consentire la replica e la richiesta di mezzi istruttori in conseguenza di domande ed eccezioni nuove della parte convenuta, laddove l’onere di provare il fondamento della domanda prescinde da ogni eccezione di controparte (cfr. Cass. 12988/2014, 24972/2013 e 11711/2010).
Nel caso di specie, è incontestato che l’opponente non abbia allegato all’atto di opposizione allo stato passivo -in cui era lamentata, tra le altre, la mancata ammissione del credito con il rango di privilegio ex art. 2751 bis 1 comma n. 5 c.c. -i documenti (bilancio e nota integrativa) comprovanti la finalità mutualistica della cooperativa, necessari a provare i fatti costitutivi della propria domanda e che rientravano, pertanto, sin dall’inizio nel thema decidendum del giudizio di opposizione ex art. 98 l.fall. .
Erra la ricorrente nel sostenere che la necessità di produrre tale documentazione fosse sorta solo a seguito delle difese svolte dalla procedura nella memoria di costituzione nel procedimento di opposizione, essendo suo onere produrre, a pena di decadenza, sin dall’inizio con il relativo ricorso, gli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della domanda, e quindi i documenti che consentivano di provare la natura privilegiata, ex art. 2751 bis comma 1 n. 5 c.c., del proprio credito.
Assolutamente estranea al presente giudizio è poi la problematica, già affrontata da questa Corte (vedi Cass. n. 22386/2019), secondo cui, ove il curatore introduca nel giudizio di opposizione eccezioni nuove, che non siano state già formulate, in sede di verifica, il necessario rispetto del principio del contraddittorio esigerebbe che sia concesso termine per l’opponente per dispiegare le proprie difese e produrre la documentazione probatoria che stimi idonea a supportarle.
Va, infatti, osservato che questa Corte nella pronuncia sopra indicata ha condivisibilmente precisato che ‘ il diritto dell’opponente al pieno svolgimento del contraddittorio trova non solo la sua ragione d’essere, ma pure il suo limite nella novità della eccezione che è stata sollevata dal curatore. E’ solo in relazione ai contenuti e termini dell’eccezione proposta in sede di memoria di costituzione, in altri termini, che si giustifica la necessaria concessione di un termine a difesa’. Ne consegue che tale termine non può essere esteso in modo automatico, pena lo svuotamento della preclusione normativa disposta, alle mere allegazioni difensive svolte dall’organo della procedura: è proprio quello che risulta avvenuto nel caso di specie, in cui il curatore non ha introdotto dei nova, non ha sollevato nuove eccezioni -da intendersi, a norma dell’art. 2697 comma 2°, c.c. solo i fatti estintivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte -ma ha svolto mere allegazioni difensive, limitandosi a contestare il fatto costitutivo del diritto, presupposto del richiesto privilegio ex art. 2751 bis n. 5 c.c., dato dal difetto di prova della natura mutualistica della cooperativa.
Conclusivamente, può essere espresso il seguente principio di diritto: ‘ Ai fini del riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis n. 2 c.c., relativo ad insinuazione al passivo proposta non dal singolo professionista ma da società cooperativa di professionisti, è necessario che il requisito della personalità della prestazione sussista sin dal momento dell’incarico, così che le circostanze del suo conferimento e dunque la scelta del prestatore effettivo, in persona del singolo professionista, già ne rivelino il sicuro tratto dell’intuitus personae; ne consegue che l’eventuale instaurazione del rapporto professionale, formalmente avvenuta in capo alla società, non è ostativa al detto riconoscimento soltanto se risulti, da un lato, il previo coinvolgimento e la individuazione del professionista da parte del committente, ferme le altre condizioni di pertinenza del credito, che esigono, dall’altro, sia lo svolgimento
essenzialmente personale dell’incarico da parte del medesimo professionista sia l’inerenza del credito insinuato proprio alla prestazione per come richiesta e dunque la sostanziale e riconoscibile spettanza della relativa remunerazione a tale prestatore ‘.
8 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 8.200,00, di cui € 200 per esborsi oltre Iva Cap e rimborso forfettario come per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto .
Così deciso nella Camera di Consiglio del 15 ottobre 2024