Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 22066 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22066 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 31838-2021 proposto da
RAGIONE_SOCIALE MODENA, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura rilasciata in calce al ricorso, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori, in ROMA, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al controricorso, dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo indirizzo PEC
-controricorrente –
per la cassazione del decreto del Tribunale di Reggio Emilia, depositato il 10 novembre 2021 (R.G.N. 5329/2020).
Udita la relazione della causa, svolta in udienza dal Consigliere NOME COGNOME.
R.G.N. 31838/2021
COGNOME
Rep.
P.U. 9/4/2025
giurisdizione Spettanza del privilegio art. 2751bis , n. 1, cod. civ. sui contributi ai fondi complementari
Udito il PUBBLICO MINISTERO, in persona della SOSTITUTA PROCURATRICE GENERALE NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito, per la ricorrente, l’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreto del 10 novembre 2021, il Tribunale di Reggio Emilia ha respinto l’opposizione proposta dalla Cassa Edili della Provincia di Modena contro il decreto che aveva reso esecutivo lo stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE respingendo la domanda dell’opponente, volta a ottenere l’ammissione, con il privilegio dell’art. 2751bis , n. 1, cod. civ., del credito di Euro 13.944,86, a titolo di contribuzione dovuta dal datore di lavoro per la previdenza complementare.
Il Tribunale di Reggio Emilia premette che la Cassa Edile della Provincia di Modena, in virtù de ll’accordo stipulato il 15 gennaio 2003 dalle parti sociali, è legittimata a riscuotere i contributi destinati al finanziamento del Fondo Prevedi e assoggettati alla seguente disciplina: il lavoratore accetta una decurtazione della retribuzione, pari all’1% o all’1,1%, e il datore di lavoro versa la quota decurtata e un’ulteriore quota di pari importo al Fondo di previdenza complementare Prevedi. A tale obbligo, nel caso di specie, non ha adempiuto RAGIONE_SOCIALE
A fondamento del rigetto della domanda, il giudice dell’opposizione argomenta che il credito dedotto in giudizio ha natura chirografaria e non è assistito da alcun privilegio.
Non spetta il privilegio dell’art. 2754 cod. civ., in quanto le somme sono dovute in base alla contrattazione collettiva e non ex lege .
N on spetta neppure il privilegio dell’art. 2751 -bis , n. 1, cod. civ.: il credito, difatti, trae origine da un rapporto contrattuale diverso da quello di lavoro subordinato, senza essere legato a quest’ultimo da
alcun nesso di corrispettività, come dimostra anche il fatto che gl’importi in questione non concorrono a determinare la base di calcolo del trattamento di fine rapporto.
-La Cassa Edili della Provincia di Modena ricorre per cassazione contro il decreto del Tribunale, articolando un unico, complesso, motivo di censura.
-Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
-La causa, dopo infruttuosa trattazione camerale, è stata rimessa alla pubblica udienza.
-Il Pubblico Ministero, prima dell’udienza, ha depositato una memoria e ha chiesto di rigettare il ricorso.
-In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memoria.
-All’udienza, il Pubblico Ministero ha esposto le conclusioni motivate, già rassegnate nella memoria, e il difensore della ricorrente ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nel ricorso e nella memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con l’unico motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la Cassa Edili della Provincia di Modena denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2751 -bis , n. 1, cod. civ. e del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, e delle numerose norme dell’ordinamento e della contrattazione collettiva, che regolano il Fondo Prevedi, e lamenta che il Tribunale erroneamente abbia negato il privilegio per i crediti derivanti dal mancato pagamento delle somme dovute dal datore di lavoro al Fondo Prevedi.
La ricorrente attribuisce natura retributiva alle somme prelevate dallo stipendio del lavoratore ad opera del datore di lavoro, a quelle volontariamente destinate dal lavoratore al Fondo di previdenza complementare e a quelle riguardanti il trattamento di fine rapporto, accantonate presso il Fondo. Anche il contributo dell’impresa presenterebbe eguale natura, in quanto si correlerebbe all’adesione del
lavoratore al Fondo Prevedi e all’adesione del datore di lavoro alla contrattazione collettiva che ha istituito tale Fondo e disciplina il rapporto di lavoro.
Con l’adesione alla previdenza complementare, il lavoratore opererebbe «una vera e propria delegazione al datore di lavoro avente per oggetto una piccola percentuale della retribuzione mensile» (pagina 11 del ricorso).
2. -Nella disamina delle censure, giova puntualizzare che in questa sede non è controversa la legittimazione della Cassa Edili della Provincia di Modena, ente paritetico istituito per attuare le previsioni del contratto collettivo nazionale, a riscuotere per i lavoratori i contributi dovuti dai datori di lavoro al Fondo Prevedi, fondo pensione negoziale istituito sulla scorta dei contratti collettivi nazionali di lavoro e dei successivi accordi conclusi tra le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di l avoro operanti nel settore dell’edilizia.
Non è controversa neppure la circostanza che il contributo al Fondo RAGIONE_SOCIALE si componga dei seguenti elementi: il contributo del lavoratore, corrispondente alla somma decurtata dalla sua retribuzione nella misura dell’1% o dell’1,1% e destinata al Fondo; i l contributo del datore di lavoro, che consiste in un importo equivalente alla somma prelevata dalla retribuzione del lavoratore, importo che il datore di lavoro è tenuto a riversare al Fondo; i contributi corrispondenti all’accantonamento per trattamento di fine rapporto; il contributo volontario, che s’identifica nella parte di retribuzione che il lavoratore sceglie di destinare al Fondo, beneficiando della deducibilità ai fini dell’IRPEF (pagine 10 e 11 del ricorso per cassazione).
3. -Il ricorso rappresenta compiutamente gli elementi essenziali ai fini dell’inquadramento delle censure e sottopone all’esame di questa Corte una questione interpretativa della normativa vigente.
La disputa verte sulla qualificazione retributiva del contributo complessivamente dovuto al Fondo di previdenza complementare e
sulla conseguente spettanza del privilegio di cui all’art. 2751 -bis , n. 1, cod. civ. e s’iscrive in un dibattito quanto mai articolato, che è necessario ricostruire nei suoi approdi salienti.
4. -Nell’analizzare la normativa antecedente al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, Cass., S.U., 9 marzo 2015, n. 4684, ha affermato la natura previdenziale, e non retributiva, dei versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare, sia che tali fondi abbiano personalità giuridica autonoma sia che essi si configurino come gestione separata del datore stesso. Ne discende che tali versamenti non rientrano nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.
La nozione di retribuzione postula un requisito indefettibile, costituito «dall ‘ esistenza di un effettivo passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore, e dalla esigenza che le somme erogate si trovino in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa» (sentenza n. 4684 del 2015, cit., punto 24 dei Motivi della decisione ).
Tale requisito non si ravvisa nei versamenti ai fondi di previdenza integrativa: l’obbligo del datore di lavoro « nasce, a ben vedere, da un ulteriore rapporto contrattuale, distinto dal rapporto di lavoro subordinato, finalizzato a garantire, in presenza delle condizioni prescritte, il conseguimento di una pensione integrativa rispetto a quella obbligatoria, pensione integrativa che costituisce certamente un ulteriore beneficio per il lavoratore; esso tuttavia non modifica i diritti e gli obblighi nascenti da rapporti di lavoro e non incide sulle modalità di erogazione delle indennità di fine rapporto. In sostanza il beneficio derivante al lavoratore dal rapporto di previdenza integrativa non è costituito dai versamenti effettuati dal datore di lavoro, ma dalla pensione che, anche sulla base di tali versamenti, lo stesso potrà percepire» (sentenza n. 4684 del 2015, cit., punto 26 dei Motivi della decisione ).
Manca «un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa» (punto 28 dei Motivi della decisione ) e la contribuzione non entra a far parte del patrimonio del lavoratore, che può solo pretendere che il datore la versi al Fondo.
La natura previdenziale è avvalorata, anzitutto, dall’art. 9 -bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, come convertito nella legge n. 166 del 1991, che esclude dalla base imponibile dei contributi di previdenza e assistenza sociale le contribuzioni e le somme versate o accantonate per il finanziamento di trattamenti integrativi previdenziali o assistenziali. Un ulteriore elemento di conferma si desume dall’art. 3 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314, in forza del quale i versamenti effettuati dal datore alle forme pensionistiche complementari non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente.
5. -A tali princìpi hanno dato continuità le pronunce successive.
Ai fini della determinazione del tfr, si è esclusa la computabilità dei contributi versati dalla banca datrice di lavoro al fondo aziendale di previdenza integrativa, proprio perché sprovvisti di carattere retributivo (Cass., sez. lav., 14 giugno 2017, n. 14758).
Con riferimento all’indennità di premorienza RAGIONE_SOCIALE, forma di previdenza complementare istituita dal contratto collettivo nazionale del settore chimico-farmaceutico a decorrere dal 2007, questa Corte ha ribadito la natura meramente previdenziale delle «somme versate o comunque dovute dal datore di lavoro per la previdenza complementare» (Cass., sez. I, 5 ottobre 2015, n. 19792, punto 2.2. dei Motivi della decisione ), sulla base dei princìpi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2015, applicabili a fortiori alla disciplina della previdenza complementare successiva al d.lgs. n. 124 del 1993 . In quest’àmbito, «risultano ancor più evanescenti i legami tra la prestazione lavorativa e la contribuzione e tra la retribuzione e la prestazione previdenziale» (punto 2.2. dei Motivi della decisione ).
Né si può invocare il privilegio dell’art. 2754 cod. civ., che « non si riferisce al credito del prestatore di lavoro per l ‘ omesso versamento di contributi relativi a forme di previdenza ed assistenza diverse dall ‘ assicurazione generale obbligatoria, ma ai crediti contributivi vantati dagli enti gestori delle stesse; il privilegio previsto da tale disposizione, trovando giustificazione nell ‘ interesse pubblico al reperimento ed alla conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale, non è d ‘ altronde applicabile ai contributi dovuti agli enti privati, pur portatori di interessi collettivi, che gestiscono forme integrative di previdenza ed assistenza, non essendo gli stessi dovuti in base alla legge, ma in forza della contrattazione collettiva» (sentenza n. 19792 del 2015, cit., il già richiamato punto 2.2. dei Motivi della decisione ).
Alle medesime conclusioni questa Corte è giunta, nel rigettare la domanda di riconoscimento del privilegio dell’art. 2754 cod. civ., formulata da disparate Casse Edili, e nel confermare che la causa di prelazione si fonda sul sistema pubblicistico dell’assicurazione obbligatoria, sistema che in tale ipotesi non si riscontra (Cass., sez. I, 14 dicembre 2015, n. 25173, sulla Cassa Edile di Mutualità ed Assistenza della Provincia di Milano, e Cass., sez. lav., 6 ottobre 2017, n. 23428, sulla Cassa Edile di Mutualità ed Assistenza di Venezia e Provincia).
Né il discorso muta per i contributi dovuti all’ Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza Farmacisti in forza della contrattazione collettiva, deputata alla gestione di forme integrative di previdenza ed assistenza (Cass., sez. VI-I, 8 febbraio 2019, n. 3878).
Ai fini dell’attribuzione del privilegio dell’art. 2754 cod. civ., è ininfluente che i fondi integrativi (nella specie, la Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani) intervengano «in aree sostanzialmente dismesse dal settore pubblico» (Cass., sez. I, 10 agosto 2017, n. 19944).
Per contro, il credito che rinviene il suo fatto genetico nel mancato versamento dei contributi integrativi alla Cassa di previdenza e assistenza per gli ingegneri e architetti liberi professionisti (RAGIONE_SOCIALE) è assistito dal privilegio di cui agli artt. 2753 e 2754 cod. civ., in quanto l’ ente opera quale prestatore di una forma di previdenza sociale obbligatoria in favore dei propri iscritti (Cass., sez. VI-I, 16 novembre 2022, n. 33787).
6. -Con riferimento alla disciplina delle Casse Edili, questa Corte ha distinto le voci retributive, assistite dal privilegio di cui all’art. 2751 -bis , n. 1, cod. civ., dai contributi finalizzati al miglior funzionamento delle Casse, estranei alla nozione di retribuzione.
In particolare, «le somme che il datore di lavoro ha l ‘ obbligo di versare alla Cassa Edile, quali accantonamenti destinati al pagamento di ferie, gratifiche natalizie e festività infrasettimanali, costituiscono somme spettanti ai lavoratori a titolo retributivo, configurandosi il rapporto con la Cassa Edile quale delegazione di pagamento, con la conseguenza che la stessa è obbligata nei confronti dei lavoratori solo a seguito del pagamento delle somme da parte del datore di lavoro: ne consegue che, se ben può agire il lavoratore nei confronti del datore per il pagamento delle somme dovute per ferie, festività e gratifiche natalizie, egualmente la Cassa ha l ‘ obbligo di riscuotere le somme che il datore è tenuto a versare. E sulla specifica questione che qui interessa, la pronuncia 26324/2006 ha affermato che gli accantonamenti, costituiti da importi corrispondenti a voci retributive (come ratei di ferie, gratifica natalizia e festività), sono poi erogati dalla Cassa ai lavoratori a scadenze prestabilite nella contrattazione collettiva, e che nell ‘ erogare dette somme la Cassa assume il ruolo di soggetto intermediario nella erogazione di prestazioni, che altrimenti sarebbero dovute direttamente dal datore di lavoro in conseguenza e quale corrispettivo della prestazione lavorativa; che gli accantonamenti, quindi, hanno natura prettamente retributiva, dal che
consegue l ‘ applicabilità ad essi del privilegio previsto dall ‘ art. 2751bis c.c., n.1; che diverso discorso deve farsi per ciò che concerne i contributi, dato che questi attengono a versamenti, in parte dovuti dai lavoratori, mediante trattenute operate dai datori di lavoro, ed in parte da questi ultimi, diretti a dotare le Casse delle disponibilità economiche necessarie per il conseguimento dei loro fini istituzionali» (Cass., sez. I, 25 agosto 2017, n. 20390).
7. -Dalla natura previdenziale dei versamenti l’elaborazione della giurisprudenza ha tratto ulteriori corollari.
Cass., S.U., 20 marzo 2018, n. 6928, ha puntualizzato che, in conseguenza della descritta natura previdenziale, «non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie e il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale dell ‘ unica prestazione, alla cui determinazione il giudice deve provvedere anche in assenza di domanda giudiziale. Ne consegue che la domanda di pagamento del residuo credito per rivalutazione monetaria ed interessi legali va maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali, in cumulo tra loro» (punto 12 dei Motivi della decisione ).
La pronuncia menzionata ha chiarito che «dall ‘ affermata natura esclusivamente previdenziale dei contributi versati al Fondo in oggetto e del conseguente trattamento pensionistico integrativo da esso corrisposto deriva che, in caso di omesso versamento contributivo, il corrispondente credito insinuato al passivo del fallimento – o della liquidazione coatta amministrativa – del datore di lavoro non è assistito da privilegio (Cass. 5 ottobre 2015, n. 19792). Ciò in quanto tale credito da un lato non ha natura retributiva e d ‘ altra parte ad esso non è certamente applicabile il privilegio generale sui mobili del datore di lavoro previsto per i contributi di previdenza sociale di cui agli artt. 2753 e 2754 cod. civ., in quanto la causa del credito in considerazione della quale la legge accorda tale privilegio deve essere individuata
nell ‘ interesse pubblico al reperimento ed alla conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale. Tale fine non è tutelato, invece, dagli enti privati, pur portatori di interessi collettivi, che gestiscono forme integrative di previdenza ed assistenza, sicché i contributi non versati dal datore di lavoro, poi fallito, non sono assistiti dal predetto privilegio in quanto dovuti non ex lege ma per contratto (Cass. 14 dicembre 2015, n. 25173)» (sentenza n. 6928 del 2018, punto 13 dei Motivi della decisione ).
8. -La natura previdenziale dei crediti si riverbera anche sulla specifica questione che oggi interpella questa Corte.
Nel dirimere una controversia in ordine alla restituzione dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore al Fondo Integrativo Pensioni di Sicilcassa s.p.a., le Sezioni Unite hanno accolto il primo e il secondo motivo di ricorso e hanno cassato la sentenza d’appello, che aveva qualificato come retribuzione differita, sia pure con funzione previdenziale, i trattamenti pensionistici integrativi, e hanno rilevato, a tale riguardo, che «non è possibile accordare ai crediti correlati a detta contribuzione il privilegio di cui all ‘ art. 2751bis , n. 1, riservato, come recita la rubrica della disposizione, ai ‘ Crediti per retribuzioni e provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, delle società o enti cooperativi e delle imprese artigiane ‘ , indicati nei nn. da 1 a 5 ter, nei termini precisati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 326/1983, n. 1/1998 e n. 220/2002» (Cass., S.U., 9 giugno 2021, n. 16084, punto 58 dei Motivi della decisione ).
9. -Di recente, questa Corte ha esaminato funditus la complessa materia, delimitando la portata del dictum delle pronunce rese dalle Sezioni Unite (Cass., sez. lav., 28 giugno 2023, n. 18477).
In consonanza con le enunciazioni di Cass., sez. I, 7 giugno 2023, n. 16116, si è affermato, in primo luogo, che «In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di T.f.r. maturate e accantonate ma non versate al Fondo di
previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall ‘ istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell ‘ art. 93 L. Fall.» (punto 8.3.2. dei Motivi della decisione ).
Ricondotta la fattispecie nell’alveo della delegazione, questa Corte ha soggiunto che il contratto di mandato si scioglie per effetto del fallimento del mandatario (art. 78, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) e che «lo scioglimento del contratto di mandato implica il ripristino della titolarità piena delle risorse, con esso affidate in gestione vincolata nella destinazione, in capo al lavoratore mandante, così legittimato ad insinuarsi allo stato passivo del fallimento del mandatario, suo datore di lavoro, fallito» (punto 9.3. dei Motivi della decisione ).
Il riconoscimento della legittimazione del lavoratore a insinuarsi al passivo, ribadito anche di recente (Cass., sez. lav., 16 aprile 2025, n. 10082, punto 23 delle Ragioni della decisione , e 5 aprile 2025, n. 9028), ha reso ineludibile l’approfondimento circa la natura del credito dedotto in causa.
La sentenza n. 18477 del 2023 ha specificato, a tale riguardo, che «2. Fino al compimento del versamento da parte del datore di lavoro, la contribuzione o le quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate presso il datore di lavoro medesimo, hanno natura retributiva, mentre ha natura previdenziale la prestazione previdenziale integrativa erogata al lavoratore dal Fondo di previdenza complementare (F.P.C.). 3. Il mancato versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, della contribuzione o delle quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate su mandato del lavoratore con il vincolo di destinazione del loro versamento al F.P.C., comporta, per la risoluzione per inadempimento del mandato, il ripristino della disponibilità piena in
capo al lavoratore delle risorse accantonate, di natura retributiva: posto che esse assumono natura previdenziale, soltanto all ‘ attuazione del vincolo di destinazione, per effetto del suo adempimento» (princìpi di diritto enunciati al punto 14 dei Motivi della decisione ).
Né tali principi stridono con quanto statuito a Sezioni Unite dalle sentenze n. 4684 del 2015, n. 6928 del 2018 e n. 16084 del 2021, riguardo alla natura previdenziale dei versamenti: tale natura sussiste a patto che i versamenti siano effettivamente eseguiti (sentenza n. 18477 del 2023, punto 12.1. dei Motivi della decisione ).
È con l’attuazione del vincolo di destinazione che il credito di natura retributiva del lavoratore verso il datore di lavoro si tramuta in credito, di natura previdenziale, verso il Fondo integrativo (in tal senso, di recente, Cass., sez. I, 30 marzo 2025, n. 8375, punto 8 dei Motivi della decisione , e Cass., sez. lav., 18 febbraio 2025, n. 4265, punto 32 delle Ragioni della decisione , 28 gennaio 2025, n. 1951, punto 10 delle Ragioni della decisione , e n. 1935, punto 6 delle Ragioni della decisione ).
Una diversa interpretazione, che negasse la titolarità del credito in capo al lavoratore o che la riconoscesse senza la qualità privilegiata, determinerebbe arbitrarie disparità di trattamento tra situazioni identiche in ordine alle ‘disponibilità retributive acquisite’ .
Proprio «nel momento di massima urgenza di tutela del lavoratore, quale l ‘ insolvenza del suo datore di lavoro», sarebbe pregiudicato il lavoratore che ha conferito la contribuzione o quote di tfr, esercitando una facoltà incentivata dalla legge (sentenza n. 18477 del 2023, cit., punto 13.1. dei Motivi della decisione ).
10. -Le questioni dibattute si pongono al crocevia tra tematiche squisitamente previdenziali e il diritto delle procedure concorsuali e sono suscettibili di riproporsi in una pluralità di vicende.
Il contenzioso insorto ha interessato anche la prima sezione civile di questa Corte e ha visto a più riprese l’intervento chiarificatore delle
Sezioni Unite, sui profili che di volta in volta ha posto in luce la disciplina della previdenza complementare.
L’incidenza su diritti fondamentali del lavoratore, nel momento di più pressante bisogno legato all’insolvenza del datore di lavoro, e la stessa importanza cruciale che il legislatore assegna alla previdenza complementare esigono una risposta univoca, capace di comporre a sistema le indicazioni, non sempre consonanti, desumibili dall’evoluzione della giurisprudenza .
In larga parte nuova si rivela, inoltre, la questione della spettanza del privilegio di cui all’art. 2751 -bis , n. 1, cod. civ., corollario applicativo dell’inquadramento in termini retributivi o previdenziali delle somme spettanti al lavoratore, che il datore di lavoro ha omesso di versare al Fondo di previdenza complementare.
La richiamata sentenza n. 18477 del 2023, che la parte ricorrente invoca nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, afferma per incidens che tale privilegio dev’essere riconosciuto, in considerazione del recupero della titolarità delle somme da parte del lavoratore.
Tale affermazione, tuttavia, non attiene alla ratio decidendi della pronuncia e non può che essere approfondita in tutte le sue implicazioni, anche alla stregua delle considerazioni di segno antitetico che si traggono da alcune pronunce delle sezioni semplici.
Gli elementi tratteggiati convergono nel privilegiare la strada della nuova interlocuzione con le Sezioni Unite, anche al fine di fugare ogni incertezza sulla portata delle affermazioni rese nei precedenti richiamati.
11. -È ben vero che questa Corte, come rammenta la memoria del Pubblico Ministero e come non manca di puntualizzare anche il controricorrente, ha passato in rassegna in molteplici occasioni e in molteplici occasioni ha respinto le domande di ammissione al passivo proposte dalle Casse Edili, con la richiesta del privilegio.
Tali domande, tuttavia, concernevano il riconoscimento del privilegio dell’art. 2754 cod. civ., escluso in virtù dell’insussistenza del carattere obbligatorio della forma di previdenza di matrice negoziale (sentenza n. 25173 del 2015, cit., e ordinanza n. 23428 del 2017, cit.).
Le pronunce citate, dunque, non lambiscono il profilo sottoposto all’odierno scrutinio.
Peraltro, tale profilo non può che essere rimeditato ab imis , e in un orizzonte più ampio, alla stregua delle precisazioni delineate nella sentenza n. 18477 del 2023.
-Non si possono evincere elementi risolutivi dalle altre pronunce, che non dirimono giudizi riguardanti le Casse Edili.
La pronuncia delle Sezioni Unite del 2018, n. 6928, pur affermando in termini indiscriminati l’insussistenza del diritto di reclamare il privilegio, non scandaglia la specifica questione che oggi rileva.
Neppure la sentenza n. 16084 del 2021, richiamata dalla curatela nella memoria illustrativa, si attaglia al caso di specie. In quel frangente, le Sezioni Unite hanno escluso ex professo la spettanza del privilegio di cui all’art. 2751 -bis , n. 1, cod. civ., ma tale richiesta era sorretta da una prospettazione che non collima con quella oggi propugnata nel ricorso.
Per quanto è possibile inferire dagli antecedenti processuali, la domanda del lavoratore riguardava le somme corrispondenti ai contributi sulla retribuzione pensionabile, posti a carico della RAGIONE_SOCIALE, e i contributi direttamente versati dal lavoratore e si fondava sulla premessa che i trattamenti pensionistici integrativi erogati da RAGIONE_SOCIALE fossero retribuzione differita, con conseguente necessità di riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 -bis , n. 1, cod. civ.
La domanda, in definitiva, si configurava come richiesta di restituzione dei contributi versati (punto 42 delle Ragioni della decisione ) e non è comparabile a quella odierna, in cui si assume il
mancato versamento ai Fondi di previdenza complementare di somme provviste, in larga parte, di natura retributiva.
Diversa è anche l’angolazione prospettica della sentenza n. 4684 del 2015, e non solo per il diverso contesto normativo (il sistema antecedente al d.lgs. n. 124 del 1993), ma per la decisiva considerazione che, in quel caso, i versamenti alla previdenza complementare erano stati effettuati e se ne chiedeva il computo nella determinazione del tfr, sulla base della loro natura retributiva.
-Permane, tuttavia, una divergenza di fondo, che la peculiarità delle singole vicende solo in parte giustifica.
La sentenza n. 19792 del 2015, prendendo le mosse dal dictum delle Sezioni Unite del 2015 (sentenza n. 4684, cit.), disconosce in termini recisi l’inerenza al rapporto di lavoro delle somme versate, o anche solo dovute, dal datore di lavoro al Fondo di previdenza complementare. In questo percorso ricostruttivo, diverso e autonomo è il rapporto che obbliga il datore di lavoro a versare tali somme rispetto al rapporto di lavoro in senso stretto. Tale autonomia sarebbe ancor più marcata nel successivo dipanarsi della disciplina della previdenza complementare.
La sentenza n. 18477 del 2023 predilige un diverso inquadramento e, anche in una prospettiva di più efficace tutela delle ragioni del lavoratore, considera la ‘realtà effettuale’. Nei fatti, il lavoratore non ha percepito gli emolumenti retributivi, in quanto il datore di lavoro ha omesso di corrisponderli al Fondo di previdenza complementare.
Tali somme si raccordano a un rapporto obbligatorio che, pur collocandosi a latere del rapporto di lavoro, in questo rinviene pur sempre la sua genesi. In definitiva, i l pregiudizio, che l’inadempimento del datore di lavoro arreca, si risolve nel privare il lavoratore della retribuzione o di voci provviste di natura retributiva, stornate dalla loro destinazione alla previdenza complementare e comunque definitivamente sottratte al lavoratore, e questa circostanza non può
non riverberarsi sulla ‘causa’ del credito, che rileva ai fini dell’attribuzione del privilegio.
-Alla stregua di tali considerazioni, si rimette la controversia alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite , ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ .
P.Q.M.
La Corte rimette gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione