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Privativa comunitaria: limiti al controllo dei frutti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9429/2024, ha stabilito che il titolare di una privativa comunitaria per una varietà vegetale non può controllare la commercializzazione dei frutti raccolti se questi non sono utilizzabili per la riproduzione. Una clausola contrattuale che impone al produttore di vendere il raccolto solo a distributori autorizzati dal titolare della privativa è nulla per contrarietà all’ordine pubblico, in quanto viola il principio UE di esaurimento del diritto. Di conseguenza, un lodo arbitrale che dichiara la risoluzione del contratto per la violazione di tale clausola è a sua volta nullo.

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Privativa Comunitaria per Varietà Vegetali: Quando il Titolare Perde il Controllo sul Raccolto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9429 del 9 aprile 2024) ha fatto luce su un aspetto cruciale del diritto agroalimentare e della proprietà intellettuale, delineando i confini della privativa comunitaria per le varietà vegetali. La Corte ha stabilito che il titolare di un brevetto su una varietà vegetale, una volta autorizzata la coltivazione, non può imporre restrizioni sulla vendita dei frutti raccolti, se questi non possono essere usati per riprodurre la pianta.

La decisione, che ha cassato una sentenza della Corte d’Appello di Milano, interviene in una disputa tra un’azienda agricola italiana e una multinazionale americana, titolare del brevetto su una nota varietà di uva da tavola senza semi.

I Fatti del Caso

Una ditta individuale agricola italiana aveva stipulato con una multinazionale americana un “Contratto di Affitto con il Produttore di Uva”. L’accordo concedeva all’agricoltore la licenza per coltivare un certo numero di gemme di una specifica varietà di uva senza semi, protetta da brevetto europeo.

Il contratto conteneva clausole molto restrittive: in particolare, obbligava l’agricoltore a commercializzare l’intera produzione di uva esclusivamente attraverso una rete di distributori autorizzati designati dalla multinazionale. Qualsiasi vendita al di fuori di questo canale avrebbe comportato la risoluzione immediata del contratto.

L’azienda agricola, a seguito di inadempimenti contestati dalla multinazionale (tra cui la vendita di uva a un distributore non autorizzato), si è vista risolvere il contratto. La controversia è stata quindi deferita a un collegio arbitrale che ha dato ragione alla multinazionale. La decisione arbitrale è stata poi confermata in appello, spingendo l’agricoltore a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Privativa Comunitaria

La Suprema Corte ha ribaltato le precedenti decisioni, accogliendo il motivo di ricorso relativo alla violazione dell’ordine pubblico. Il cuore della sentenza risiede nell’interpretazione del Regolamento (CE) n. 2100/94, che disciplina la privativa comunitaria per i ritrovati vegetali.

L’Interpretazione del Regolamento Europeo e il Caso Nadorcott

I giudici di legittimità hanno basato la loro analisi sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in particolare sulla fondamentale sentenza “Nadorcott” (C-176/18). Secondo tale interpretazione, i diritti del titolare di una privativa si articolano su due livelli:

1. Tutela Primaria: Riguarda il materiale di riproduzione (piante, gemme, semi). Il titolare ha il diritto esclusivo di autorizzarne la produzione e la moltiplicazione.
2. Tutela Secondaria: Riguarda il prodotto del raccolto (i frutti). Questa tutela è più limitata e si attiva solo a due condizioni: che il raccolto sia stato ottenuto da un uso non autorizzato del materiale di riproduzione e che il titolare non abbia avuto la possibilità di esercitare il suo diritto sul materiale stesso.

Questo sistema si fonda sul principio di “esaurimento del diritto”. Una volta che il titolare ha autorizzato l’uso del materiale di riproduzione (nel nostro caso, le gemme della vite), il suo diritto si “esaurisce”. Di conseguenza, perde il potere di controllare la successiva circolazione del prodotto del raccolto (l’uva), specialmente se, come nel caso dell’uva senza semi, il frutto non può essere utilizzato per generare nuove piante.

La Nullità della Clausola per Contrarietà all’Ordine Pubblico

La Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola contrattuale che obbligava l’agricoltore a vendere l’uva solo ai distributori indicati dalla multinazionale è nulla. Essa, infatti, estende indebitamente il potere del titolare della privativa comunitaria oltre i limiti fissati dal diritto europeo, violando principi fondamentali quali la salvaguardia della produzione agricola e la libera concorrenza.

Questi principi dell’Unione Europea sono parte integrante dell’ordinamento giuridico italiano e rientrano nella nozione di “ordine pubblico”. Un lodo arbitrale che si fonda sulla violazione di una clausola contraria all’ordine pubblico è, a sua volta, nullo e può essere impugnato ai sensi dell’art. 829 c.p.c.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte è chiara e rigorosa. Il Regolamento europeo mira a bilanciare la necessità di incentivare l’innovazione varietale, proteggendo gli investimenti dei costitutori, con l’esigenza di non creare ostacoli ingiustificati alla produzione agricola e alla concorrenza. Attribuire al titolare del brevetto un controllo perpetuo non solo sul materiale di propagazione ma anche su tutta la filiera distributiva del raccolto finale creerebbe una barriera anticoncorrenziale inaccettabile.

La Corte sottolinea che, una volta che il produttore agricolo ha legittimamente acquistato la licenza per coltivare, diventa pieno proprietario dei frutti. Imporgli a chi venderli significa limitare illegittimamente il suo diritto di proprietà e la sua libertà di iniziativa economica. La clausola che impone una rete di distribuzione esclusiva è quindi una pattuizione che va oltre la portata della tutela accordata dalla privativa comunitaria e, scontrandosi con i principi cardine dell’UE, diventa illecita e quindi nulla. La risoluzione del contratto, basata sulla violazione di una clausola nulla, non può avere alcun effetto giuridico.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un punto di riferimento fondamentale per tutti gli operatori del settore agricolo. Essa riafferma un principio di equilibrio: la tutela della proprietà intellettuale non può trasformarsi in uno strumento per controllare indebitamente i mercati a valle. Gli agricoltori che coltivano varietà protette, una volta pagato il corrispettivo per la licenza, devono essere liberi di commercializzare i loro prodotti sul mercato, senza subire restrizioni che non siano previste e giustificate dalla normativa europea. La decisione della Cassazione offre una maggiore tutela ai produttori agricoli nei confronti di clausole contrattuali potenzialmente vessatorie imposte dai detentori di privative vegetali, rafforzando i principi di libera concorrenza nel settore agroalimentare.

Il titolare di una privativa comunitaria su una varietà vegetale può imporre al produttore agricolo a chi vendere i frutti raccolti?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una volta che il titolare ha autorizzato la coltivazione della varietà, il suo diritto si esaurisce e non può controllare la successiva commercializzazione del prodotto del raccolto (i frutti), a condizione che questi non siano utilizzabili per ulteriore riproduzione.

Cosa si intende per ‘esaurimento del diritto’ nel contesto di una privativa comunitaria per varietà vegetali?
Significa che il diritto esclusivo del titolare della privativa cessa con la prima vendita o autorizzazione all’uso del materiale vegetale. Dopo tale momento, il titolare non può più opporsi alla libera circolazione e vendita del materiale stesso o dei prodotti da esso derivati, come i frutti.

Una clausola contrattuale che viola i principi del diritto dell’Unione Europea può essere considerata nulla per contrarietà all’ordine pubblico?
Sì. La Corte ha stabilito che i principi fondamentali del diritto dell’UE, come la tutela della concorrenza e della produzione agricola, sono parte dell’ordine pubblico interno. Pertanto, una clausola contrattuale che attribuisce al titolare di una privativa poteri maggiori di quelli consentiti dalla normativa UE è nulla per contrarietà all’ordine pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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