Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10359 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10359 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
CONTRATTO
D’OPERA
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere –
Ad. 10/04/2025 –
CC
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 22434/2018
Dott. NOME
Consigliere –
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso 22434-2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in qualità di socio accomandatario e legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1199/2018 del TRIBUNALE di VICENZA, depositata il 08/05/2018;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il Giudice di Pace di Thiene, decidendo sull’opposizione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) e dal signor NOME COGNOME in qualità di socio accomandatario della stessa, avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore della società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) per il pagamento di fatture relative ad una serie di attività inerenti all’elaborazione di dati contabili, con sentenza n. 451 del 28 settembre 2010 rigettava la detta opposizione.
RAGIONE_SOCIALE ed NOME COGNOME interponevano appello avverso tale sentenza, chiedendo la sua integrale riforma con revoca e/o annullamento del decreto ingiuntivo. In particolare, gli appellanti lamentavano, da un lato, la carenza di legittimazione della Cedin, per essere il rapporto professionale intercorso personalmente con la dottoressa NOME COGNOME commercialista e non anche con la società, e, dall’altro, l’inversione dell’onere della prova, per non aver il giudice tenuto conto che l’opposta avrebbe dovuto dimostrare in giudizio il proprio credito.
Si costituiva in giudizio la COGNOME eccependo l’infondatezza dell’impugnazione proposta e domandando il rigetto di tutte le deduzioni degli appellanti.
Il Tribunale di Vicenza, con sentenza n. 1199 dell’8 maggio 2018, nel rigettare l’appello, dichiarava, innanzitutto, l’inammissibilità del motivo relativo alla carenza di legittimazione della società per non aver la stessa formato oggetto di opposizione al decreto ingiuntivo, avendo, al contrario, gli opponenti esplicitamente ammesso di aver contrattato con la dott.ssa COGNOME nella sua qualità di legale rappresentante della Cedin, come risultante dalla produzione documentale volta alla dimostrazione di tale qualifica. Il giudice di secondo grado aveva inoltre rilevato la sussistenza di un accordo tra COGNOME e NOME COGNOME desumibile dal preventivo accettato dalle parti, e mai contestato in relazione all’individuazione dei soggetti contraenti, avendo in tal modo la convenuta società assolto all’onere di dimostrare in giudizio il proprio credito.
Per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi.
La società Cedin resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza.
Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., consistente nella sussistenza del rapporto professionale tra gli odierni ricorrenti e la commercialista NOME COGNOME anziché la società RAGIONE_SOCIALE In particolare, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel dichiarare inammissibile il motivo circa la carenza di legittimazione della controparte in quanto nel giudizio di prime cure gli odierni ricorrenti avrebbero evidenziato la insussistenza di un rapporto contrattuale con la RAGIONE_SOCIALE, avendo, al contrario, la RAGIONE_SOCIALE conferito mandato per la gestione della
propria contabilità esclusivamente alla commercialista in quanto persona fisica.
Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., consistente nel difetto di prova della sussistenza del rapporto professionale tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE In particolare, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel valutare l’idoneità probatoria del preventivo prodotto in giudizio dall’appellata, ai fini della sussistenza del suddetto rapporto contrattuale. A parere dei ricorrenti, l’attribuzione della paternità del documento alla commercialista COGNOME attesterebbe in maniera inequivocabile la sussistenza del rapporto in capo alla libera professionista ed escluderebbe categoricamente quello non dimostrato in capo a COGNOME.
Preliminarmente occorre osservare, e ciò anche in risposta alla specifica eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata nella memoria di parte controricorrente, che, sebbene nel caso di specie si versi in un’ipotesi di cd. doppia conforme -relativamente alla valutazione affermativa circa la titolarità del rapporto contrattuale di Cedin -non è tuttavia possibile dichiarare l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., delle censure in esame, con la quale il ricorrente denuncia il vizio di cui al comma 1, n. 5, dell’art. 360 c.p.c.
Invero, la declaratoria d’inammissibilità per doppia conforme del motivo di ricorso per cassazione, con il quale il ricorrente denunci l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, è configurabile solo per i giudizi d’appello introdotti con citazione la cui notificazione sia
stata effettuata decorsi 30 giorni dall’entrata in vigore della l. n. 134 del 7 agosto 2012, che ha convertito il D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, mentre, nel caso in esame, il giudizio d’appello è stato instaurato nel 2011, e dunque anteriormente all’entrata in vigore di detta norma (e ciò secondo quanto disposto dall’art. 54 comma 2 del D.l. n. 83 del 2012, che ha innestato, nel codice di rito, la previsione di cui all’art. 348 -ter c.p.c. il quale, relativamente a tale ipotesi d’inammissibilità, è successivamente confluito – in seguito ad abrogazione per opera del D.lgs. n. 149 del 2022 nel vigente comma 4 dell’art. 360 c.p.c).
Ciò chiarito e passando quindi all’esame dei primi due motivi di ricorso, che è possibile esaminare congiuntamente – in quanto entrambi aventi ad oggetto l’asserita carenza di titolarità del rapporto contrattuale di Cedin -, il Collegio ne rileva l’ inammissibilità.
In primo luogo, merita rilevare che, nel corso del primo grado del giudizio di merito, le doglianze formulate dall’odierno ricorrente, con le quali questi lamentava che l’accordo di cui è causa fosse stato in realtà concluso tra RAGIONE_SOCIALE e la dott.ssa COGNOME -e non, dunque, con COGNOME -si collocano al di là della barriera preclusiva di cui all’art. 183 comma 5 c.p.c.
L’odierno ricorrente, infatti, nel giudizio di opposizione, contestava l’esistenza del contratto con l’ingiungente Cedin solo nelle memorie istruttorie di replica ovvero -successivamente -nell’atto di citazione in appello, e non già nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo o nelle prime memorie istruttorie ex art. 183 c.p.c., dal che consegue, pacificamente, la tardività di dette
contestazioni rispetto alla possibilità ultima di fissazione del thema decidendum .
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è chiara nell’affermare che ‘ La valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all’esaurimento della fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modificare, sia allegando nuovi fatti -diversi da quelli indicati negli atti introduttivi – sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte; in particolare, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall’attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall’art. 183 c.p.c., risultando preclusa, all’esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall’esercizio della facoltà deduttiva ‘ (Cass. 31402 del 2019).
Ciò è stato oggetto di ineccepibile rilievo del giudice di merito, il quale ha ritenuto che costituisse un fatto pacifico l’esistenza del rapporto contrattuale tra l’odierno ricorrente e la Cedin proprio in quanto circostanza non tempestivamente contestata da RAGIONE_SOCIALE ed inoltre -a fortiori -anche in ragione dell’esplicita ammissione dell’odierno ricorrente contenuta nell’opposizione a decreto ingiuntivo -di avere stipulato il contratto in oggetto con la Dott.ssa COGNOME la quale sottoscriveva
il preventivo -per ammissione dello stesso opponente – nella veste qualificata di amministratore delegato di Cedin e, dunque, in funzione di legale rappresentante di quest’ultima. Nell’atto opposizione, infatti, non solo non veniva formulata da RAGIONE_SOCIALE alcuna eccezione sul punto, ma -come rilevato dal giudice di merito l’odierna parte ricorrente confermava, anzi, l’attribuzione dell’incarico a Cedin per la gestione della contabilità della RAGIONE_SOCIALE, limitandosi piuttosto a contestare il quantum debeàtur relativamente alle fatture azionate da Cedin.
Analogamente, quanto alla riferibilità del preventivo, emerge anzi una esplicita ammissione del ricorrente circa la riferibilità delle prestazioni rese alla società, nella parte in cui nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, alla pag. 3, si affermava che era proprio sulla base del preventivo che parte ricorrente aveva incaricato COGNOME della gestione della contabilità della RAGIONE_SOCIALE
Deve ritenersi, pertanto, corretta la statuizione del giudice d’appello in merito all’inammissibilità del relativo motivo di appello, essendo conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui ‘ Nel processo di cognizione, l’onere previsto dall’art. 167, primo comma, cod. proc. civ., di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese e di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, comporta che, esaurita la fase della trattazione, non è più consentito al convenuto, per il principio di preclusione in senso causale, di rendere controverso un fatto non contestato, né attraverso la revoca espressa della non contestazione, né deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese
precedentemente svolte. Ne consegue che, in grado di appello, non è ammessa la contestazione della titolarità passiva del fatto controverso che debba aversi per non contestata nel giudizio di primo grado ‘ (Cass. n. 26859 del 2013).
Né può sostenersi che, sul punto, detto Giudice abbia omesso -come asseritamente ritenuto dall’odierno ricorrente di valutare le deduzioni contenute negli atti difensivi di parte, perché è proprio da tale esame che il Tribunale -in linea di continuità con il Giudice di Pace – ha correttamente rilevato la tardività delle contestazioni di parte opponente.
A non dissimile conclusione d’inammissibilità deve peraltro giungersi rispetto all’ulteriore censura formulata, in particolare, nel secondo motivo di ricorso -con la quale il ricorrente si duole del fatto che il Giudice di merito, dall’esame del documento contrattuale recante l’intervenuto accordo tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avrebbe più correttamente dovuto ritenere provata l’esistenza del relativo rapporto negoziale non con RAGIONE_SOCIALE, bensì con la dott.ssa COGNOME. Il ricorrente, invero, non si duole del mancato esame di un fatto decisivo, bensì introduce surrettiziamente – col motivo in oggetto – una propria alternativa prospettazione di merito, volta a contestare il discrezionale convincimento del giudice di appello.
Tale censura, integrando una critica alla ponderazione del giudice, espressione del potere di libera valutazione delle prove di cui all’art. 116 c.p.c., è del pari inammissibile.
Il terzo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., consistente nel difetto di prova dell’attività posta a fondamento
delle fatture azionate con l’opposto decreto ingiuntivo. In particolare, il Tribunale avrebbe errato nell’affermare che nessuna doglianza sia stata sollevata in merito alla valutazione delle prove circa l’effettività delle prestazioni dedotte in contratto, avendo invece gli odierni ricorrenti rilevato non solo il mancato assolvimento da parte della società RAGIONE_SOCIALE all’onere di provare l’attività posta a fondamento delle fatture azionate, ma anche che la società RAGIONE_SOCIALE ed NOME COGNOME avrebbero, da un lato, contestato l’attività svolta dalla stessa COGNOME in quanto non di sua competenza e, dall’altro, avrebbero affermato l’avvenuto pagamento dell’attività concordata in favore della dottoressa COGNOME.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
In primo luogo, deve rilevarsi che, come ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, ‘ l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.’ (Cass. n. 22759 del 2014); pertanto, avendo il ricorrente denunciato l’omessa statuizione -da parte del Giudice di secondo grado -su uno dei motivi d’appello, egli avrebbe, peraltro, dovuto dedurre tale vizio ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., giacché detta ipotesi
non configurerebbe il mancato esame di un fatto storico da parte del Giudice di merito -fattispecie afferente al n. 5 di detta norma – bensì una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, costituendo, pertanto, un error in procedendo con conseguente nullità della sentenza, ipotesi ricondotta, appunto, al n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. S.U. n. 17931/2013). Ma la nullità della sentenza non risulta mai denunziata.
Il motivo è parimenti infondato.
L’odierno ricorrente, nell’atto di citazione in appello, ha denunciato un’asserita inversione dell’onere della prova -ritenendo, del pari, che COGNOME avesse mancato di ottemperare a detto onere – non avvedendosi, tuttavia, che il giudice di merito, in entrambi i gradi, ha invece ritenuto provate le prestazioni svolte da COGNOME.
La censura mossa in appello, invero, non formulava alcuna critica rispetto al profilo dell’effettività delle prestazioni realizzate da parte dell’ingiungente, ma si limitava a contestare solo l’ an del credito, in relazione al titolo dello stesso, asseritamente ritenuto mancante. Sul punto non può, pertanto, configurarsi alcuna omissione di giudizio, atteso che è incensurabile la rilevazione del giudice di appello secondo cui l’appellante non aveva censurato specificamente la valutazione delle prove circa l’effettività delle prestazioni dedotte in contratto, così come operata dal giudice del primo grado di giudizio.
Il ricorso è pertanto rigettato ed a tanto consegue la condanna solidale dei ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € . 1.700,00, di cui € . 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda