Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19108 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19108 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Genova, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Ventimiglia, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Controricorrente-Ricorrente incidentale e
RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, in persona del procuratore speciale dott.ssa NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
Controricorrente
avverso la sentenza n. 47/2020 della Corte di appello di Genova, depositata il 15.1.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’8.5 .2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
Udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per la RAGIONE_SOCIALE e dall’Avvocato NOME COGNOME per la RAGIONE_SOCIALE
Fatti di causa
Con sentenza n. 47 del 15.1.2020 la Corte di appello di Genova confermò i capi della decisione di primo grado che avevano disposto il trasferimento, ex art. 2932 c.c., di un immobile oggetto di contratto preliminare in favore della RAGIONE_SOCIALE e rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALE di risoluzione del predetto contratto; in riforma della sentenza impugnata, condannò la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 661.795,37 a titolo di restituzione della somma pagata in eccesso rispetto al prezzo convenuto e di risarcimento del danno per inadempimento, e rideterminò in euro 872.831,76 l’importo della condanna emessa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE a titolo di restituzione delle somme versate dalla RAGIONE_SOCIALE per il pagamento del mutuo contratto con Banco BPM dalla controparte.
Tra le parti era intervenuto, in data 19.4.2005, un contratto preliminare in forza del quale la società RAGIONE_SOCIALE si era impegnata a cedere alla società RAGIONE_SOCIALE una porzione di un capannone industriale di futura costruzione al prezzo di euro 2.000.000,00, che sarebbe stato pagato, per euro 1.000.000,00 al momento dell’acquisto del terreno da parte della società costruttrice e venditrice e della stipula di un mutuo di pari importo da parte della promissaria acquirente, e per l’altra metà sulla base degli stati di avanzamento dei lavori di costruzione. Con altra scrittura privata in pari data le parti avevano però convenuto che il prezzo della cessione sarebbe stato indicativamente di euro 1.400.000,00, concordando, fermo l’obbligo di pagam en to dell’acconto nella misura convenuta, che il corrispettivo finale sarebbe stato pari al 50% di tutti i costi e gli esborsi da sostenersi per l’acquisto de l terreno e per l’edificazione.
Intervenuti l’acquisto del terreno e la stipula del mutuo bancario, garantito da ipoteca sul medesimo terreno, ed iniziati i lavori, erano sorti contrasti tra le parti, a causa dei quali RAGIONE_SOCIALE, lamentando che RAGIONE_SOCIALE, nonostante i pagamenti ricevuti, si era rifiutata di partecipare all’atto pubblico per la concessione di un ulteriore importo di mutuo sulla base degli stati di avanzamento dei lavori, agì in giudizio chiedendo il trasferimento in proprio favore dell’immobile compromesso ed il risarcimento dei danni per inadempimento. RAGIONE_SOCIALE chiese, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto per colpa della promissaria acquirente, che aveva effettuato versamenti per importi inferiori a quelli convenuti ed aveva sospeso il pagamento delle rate di mutuo, che essa, a causa di ciò, si era veduta costretta a pagare e delle cui somme chiedeva, in regresso, la restituzione. Su ordine del tribunale, veniva chiamata in giudizio il Banco di Credito Bergamasco, che aveva erogato il mutuo.
Decidendo sugli appelli di entrambe le parti, la Corte distrettuale motivò la sue conclusioni affermando, in relazione alle accuse di reciproco inadempimento, che, sulla base della scrittura integrativa del contratto preliminare e delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, disposta per la quantificazione dei costi dell’operazione immobiliare, il prezzo di acquisto dell’immobile a carico della RAGIONE_SOCIALE andava determinato in euro 1.003.670,44, pari al 50% del costo complessivo dell’intero capannone industriale; che era infondata la pretesa di RAGIONE_SOCIALE di maggiorare detto importo dell’iva, non avendo le parti, nel determinare il prezzo finale, fatto riferimento ad essa; che RAGIONE_SOCIALE aveva interamente pagato il corrispettivo, avendo provato di avere corrisposto a tale titolo il complessivo importo di euro 1.015.465,81, tenuto conto anche del saldo di euro 140.465,81 da essa versato per le tre fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE per l’esecuzione d ei lavori; che non sussisteva inadempimento della promissaria acquirente in relazione al versamento delle rate di mutuo bancario, avendo RAGIONE_SOCIALE provveduto al loro pagamento fino al dicembre 2006, interrompendolo legittimamente, a partire dal gennaio 2007, a causa dell’inad empimento di RAGIONE_SOCIALE, che, venendo meno agli impegni assunti, si era opposta all’ulteriore erogazione del credito da
parte della Banca a RAGIONE_SOCIALE in forza degli stadi di avanzamento, con l’intenzione di proseguire da sola l’operazione e di subentrare nel rapporto di mutuo; che RAGIONE_SOCIALE andava altresì condannata al risarcimento del danno causato dal proprio inadempimento, danno consistente nel fatto che, a causa d ella ritardata consegna dell’immobile , RAGIONE_SOCIALE non aveva potuto dar seguito alla richiesta ricevuta da RAGIONE_SOCIALE di Monza di prenderlo in locazione per il canone annuo di euro 220.000,00; che, tenuto conto anche della stima del consulente tecnico d’ufficio e degli oneri gravanti sulla proprietaria, il danno conseguente andava equitativamente liquidato in euro 50.000,00 annui, per tredici annualità, dal gennaio 2007 fino alla data del l’ avvenuto trasferimento ex art. 2932 c.c., e così complessivamente in euro 650.000,00; che, infine, andava riconosciuto il diritto di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle rate di mutuo contratto con la Banca dalla controparte, comprese quelle pagate nel cors o del giudizio, per l’importo complessivo di euro 872.831,76.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso e ricorso incidentale, affidato a otto motivi, a cui la ricorrente principale ha risposto con controricorso.
Banco BPM s.p.a. ha notificato distinti controricorsi.
Il P.M., la ricorrente principale e quella incidentale hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Il primo motivo del ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183, comma 6, 115 e 210 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere incluso nel costo complessivo dell’intera operazione immobiliare prevista dalle parti anche l’importo di euro 230.864,66 che RAGIONE_SOCIALE assumeva di avere pagato alla società RAGIONE_SOCIALE per il completamento dei lavori del capannone, nonostante che la documentazione di tale esborso fosse stata prodotta, mediante consegna dei relativi atti, avvenuta peraltro in ritardo, al consulente tecnico d’ufficio, dopo il maturarsi delle preclusioni istruttorie.
Il motivo non merita accoglimento.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che la documentazione di cui si discute è stata prodotta mediante consegna al consulente tecnico non già su mera iniziativa della parte, bensì su preciso ordine del giudice, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., emesso su espressa richiesta della stessa RAGIONE_SOCIALE
Deve pertanto convenirsi con l’ avviso della Procura Generale, secondo cui proprio l’ordine di esibizione rendeva inoperanti nel caso di specie le preclusioni istruttorie maturate.
Irrilevante appare poi la circostanza che l’ordine di esibizione sarebbe stato adempiuto tardivamente, atteso che, come questa Corte ha precisato, l’inosservanza del termine fissato dal giudice con l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. non comporta l’inutilizzabilità a fini probatori della relativa produzione documentale, non essendo il ritardo sanzionato dalla legge in termini di inammissibilità o nullità e dovendosi escludere al riguardo che esso, di per sé, pregiudichi il diritto di difesa della controparte (Cass. n. 22915 del 2023; Cass. n. 11671 del 2014).
L’ordine logico e giuridico delle questioni investite dai motivi porta ad esaminare qui di seguito il ricorso incidentale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE Il primo motivo di detto ricorso denuncia violazione dell’art. 2932 c.c. in relazione all’art. 46 d.p.r. n. 380 del 2001 e violazione degli artt. 1362 e 1363 nonché degli artt. 2727, 2729, 2725 e 1350 n. 13 c.c. in relazione a ll’ art. 16 d.p.r. citato ed agli artt. 208, 209 e 214 d.lgs. n. 267 del 2000.
Il mezzo critica la sentenza per avere confermato la pronuncia di trasferimento coattivo del bene compromesso, ex art. 2932 c.c., nonostante la mancata prova della sua regolarità urbanistica, in particolare del rilascio del permesso di costruire in sanatoria. La Corte di appello ha errato nel ritenere che tale documento fosse stato prodotto in giudizio, essendo stato allegato solo un mero atto del procedimento della relativa pratica, ma non il provvedimento finale. Nessuna prova è stata poi fornita in ordine al versamento degli oneri di urbanizzazione, che il giudicante ha desunto sulla base di presunzione erronea.
4. Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello, nell’affrontare il tema della regolarità urbanistica del capannone, ha precisato che agli atti di causa, allegati alla consulenza tecnica
d’ufficio, erano presenti sia il permesso a costruire n. 236 del 27.7.2005 del comune di Ventimiglia, sia il provvedimento in sanatoria del 19.3.2012, i cui oneri risultavano interamente versati in quanto inseriti tra i costi da suddividere tra le parti.
Le censure sollevate dal motivo sono pertanto inammissibili, dal momento che investono un mero accertamento di fatto del giudice di merito, non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, denunciando un errore che, cadendo sulla esistenza di un documento in giudizio, appare assumere natura revocatoria, come tale denunciabile con il particolare mezzo di impugnazione previsto dall’art. 395 c.p.c. dinanzi al giudice della causa di merito.
5. Il secondo motivo del ricorso incidentale, che denuncia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., censura il capo della sentenza che ha respinto la critica della ricorrente che lamentava l’inadempimento della controparte nella corresponsione del prezzo pattuito, per mancato computo del l’iva, che era invece dovuta, non potendosi ritenere che il prezzo convenuto fosse stato determinato al lordo dell’imposta.
La motivazione di rigetto fornita dalla Corte di appello, che ha valorizzato il dato che nel contratto non vi fosse alcun riferimento all’iva e che quello convenuto doveva intendersi come prezzo ‘finale’, sconta un palese errore di interpretazione e valutazione del testo contrattuale, tenuto conto che di esso faceva parte anche il capitolato dei lavori per la edificazione del capannone, ove il prezzo finale di euro 2.000.000,00 è accompagnato dalla dicitura ‘iva esclusa’. Il terzo e quarto motivo del ricorso incidentale investono il medesimo capo della sentenza.
Il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 1, 2, 4, 6, 10, 13, 18 e 21 d.p.r. n. 633 del 1972 e dell’art. 1374 c.c., assumendo che la motivazione adottata dalla Corte di appello si pone in palese contrasto con la normativa in materia di iva che, colpendo la cessione di beni e servizi, non poteva non trovare applicazione nella fattispecie e che pertanto obbligava il cessionario al suo versamento. Si precisa, altresì, che l’operazione, in base alla legge all’epoca vigente, non rientrava tra quelle esenti da iva. La precisazione fatta dalla Corte, secondo cui la questione avrebbe potuto comunque esercitare rilevanza solo in
relazione alla prima tranche e/o acconto, in quanto per il resto il prezzo finale emergeva dai costi complessivi dei lavori, è di conseguenza errata, atteso che la base imponibile dell’operazione era il prezzo intero della vendita.
Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione agli artt. 2727, 2729, 2724, 2725 e 1350 e 1351 stesso codice, assumendo l’erroneità della decisione per avere affermato, al fine di escludere che l’importo di euro 1.000.000,00 dovesse essere maggiorato dell’iva, il fatto che le parti avessero convenuto concordemente per esso la prima erogazione del mutuo e che alla relativa operazione avesse presenziato il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, quale datore di ipoteca. Si deduce al riguardo che, sulla base degli accordi, il mutuo non era stato richiesto dalle parti, ma dalla sola promissaria acquirente mentre l’altra parte aveva svolto solo il ruolo di garante e di beneficiaria del futuro bonifico emesso da Esseci della somma mutuata. In ogni caso, dalla previsione contrattuale relativa al mutuo per l’ammontare dell’acconto non potrebbe mai inferirsi che il corrispettivo era stato pattuito al lordo dell’iva, tenuto anche conto che il versamento dell’im posta, essendo detraibile dal cessionario, non costituiva un costo ulteriore.
I motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, sono fondati nei limiti di seguito precisati.
La Corte di appello ha ritenuto che il prezzo dell’immobile pattuito nel contratto preliminare e nella scrittura privata integrativa non dovesse essere maggiorato dall’iva, non conten en do gli atti negoziali alcun riferimento all’imposta. Come risulta dagli atti, la questione era stata posta dalla società convenuta, che aveva motivato la propria opposizione alla erogazione di ulteriori somme da parte della banca mutuante e la propria domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto proprio sulla mancata integrale corresponsione del prezzo convenuto, che doveva considerarsi maggiorato dall’iva e quindi era superiore all’importo ricevuto.
Tanto precisato, la motivazione su cui la Corte genovese ha fondato la sua conclusione non appare affatto condivisibile, non tenendo conto che la normativa in materia di iva assoggetta ad imposta le operazioni di vendita e di prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di una impresa (art. 1 d.p.r. n. 633
del 1972) e del particolare meccanismo di assolvimento dell’imposta . Dalla relativa disciplina emerge, in particolare, che, in tema di operazioni soggette ad iva, il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi ha l’obbligo di addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente (artt. 17, comma 1, e 18, comma 1, d.p.r. n. 633 del 1972). L’ acquirente di un bene, pertanto, oltre a corrispondere il prezzo pattuito per l’acquisto, è anche tenuto a corrispondere al venditore la somma che questi è obbligato a versare all’Erario a titolo di imposta. Tale obbligo, ai sensi dell’art. 6, comma 4, d.p.r. citato, sussiste anche per gli acconti sul prezzo, laddove, come dedotto dalla ricorrente (pag. 5 del ricorso incidentale), sia emessa fattura (Cass. n. 1961 del 2020). Questa Corte ha chiarito che non incorre nella previsione dell’art. 18, comma 2, d.p.r. citato, che sanziona con la nullità ogni patto contrario al la regola sull’imputazione sopra indicata, l’ accordo delle parti che comprenda l’imposta nel prezzo globalmente pattuito, laddove esso non incida sulla titolarità passiva del debito di imposta e sulle modalità del suo adempimento e si risolva unicamente nell’individuazione del ricavo dell’operazione nel corrispettivo stabilito al netto dell’imposta (Cass. n. 3132 del 2018; Cass. n. 24372 del 2011; Cass. 21201 del 2005) . E’ chiaro tuttavia che un tale accordo, in sostanza la determinazione del prezzo al lordo dell’iva, deve essere espresso o comunque risultare in modo non equivoco dal contratto di vendita e non può di per sé evincersi, come invece ha ritenuto il giudice a quo , dalla mancanza in esso di ogni riferimento all’iva. Una tale mancanza, invero, non può, da un lato, considerarsi significativa, discendendo l’obbligo d i versare la somma corrispondente all’imposta dalla stessa legge, secondo il meccanismo da essa previsto, dall’altro conduce proprio alla soluzione opposta, cioè a ritenere che l’acquirente debba corrispondere, oltre al prezzo, la somma prevista a titolo di iva.
Confuso, perché poco comprensibile, appare altresì il richiamo fatto dalla sentenza impugnata alla circostanza che le parti avessero previsto che l’importo di euro 1.000.000,00 fosse costituito dalla prima erogazione del mutuo, decurtate le spese, e la pre senza all’atto del legale rappresentate della promittente venditrice, dal momento che come risulta dagli accordi delle parti
riassunti dalla stessa decisione, il mutuo integrava una mera modalità della promissaria acquirente di reperimento della provvista per il pagamento del prezzo, come tale indifferente ad eventuali accordi circa la corresponsione dell’iva.
Deve quindi osservarsi che dalla lettura del capo della decisione investito dai motivi in esame non si rinviene alcuna congrua ragione per cui la Corte di appello ha ritenuto che la società promissaria acquirente non dovesse versare alla controparte l’iva sul prezzo pattuito per la vendita.
Ogni altra censura resta assorbita.
7. Il quinto motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 2704, 2709 e 2710 c.c. nonché degli artt. 1362, 1363, 2727 e 2729 stesso codice, censurando il capo della sentenza che ha riconosciuto provato sulla base delle scritture contabili, imputando il relativo importo al prezzo di acquisto, il pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE delle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE per il complessivo importo di euro 140.465,81, per l’esecuzione di lavori relativi alla realizzazione del capannone. La ricorrente sostiene l’erroneità della decisione per avere attribuito valore di scritture contabili ai documenti prodotti dalla controparte, che consistono in mere fatture, estratti conto e lettere che non dimostrano i contestati pagamenti, privi come tali dell’efficacia probatoria tra imprenditori di cui all’art. 2710 c.c.. Sotto altro profilo si contesta che comunque i suddetti documenti possano costituire prova presuntiva del pagamento.
Il motivo è inammissibile.
L’affermazione della Corte territoriale circa la prova del pagamento da parte della promissaria acquirente delle fatture per lavori emesse da RAGIONE_SOCIALE integra invero un accertamento di fatto, che si sottrae, in quanto tale, al controllo che questa Corte, giudice di legittimità, può esercitare sulla sentenza impugnata. La dedotta violazione dell’art. 2710 c.c. non investe l’effettiva ratio della sentenza, dal momento che dalla lettura della motivazione emerge che la Corte di appello ha formato il p roprio convincimento sul punto dall’esame diretto dei documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE che ha ritenuto dimostrativi degli eccepiti pagamenti, senza fare alcun riferimento all’art. 2710 c.c. in tema di
efficacia probatoria delle scritture contabili tra imprenditori. Per la medesima ragione anche la contestata violazione delle norme che sorreggono la prova per presunzioni non coglie nel segno, non risultando dalla decisione alcun elemento per ritenere che il giudice di secondo grado si sia avvalso di tale mezzo di prova.
Per il resto le censure che contestano la valutazione delle prove sono anche generiche, non individuando in concreto, in maniera precisa e puntuale, gli errori o salti logici che il giudice di secondo grado avrebbe commesso nel formare il proprio convincimento sulla prova.
9. Il sesto motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 1362, 1363, 1322 e 1353 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia escluso il collegamento negoziale tra il contratto preliminare ed il contratto di mutuo, che pure risultava evidente dal testo del contratto, avendo le parti concordato la stipulazione del mutuo al fine di procurare la liquidità necessaria per la costruzione del capannone. Si assume quindi, richiamando il motivo svolto nell’atto di appello, che, una volta riconosciuto tale collegamento, doveva ritenersi legittima la richiesta di RAGIONE_SOCIALE di risoluzione del contratto a seguito del recesso dal rapporto di mutuo esercitato dalla Banca a fronte dell’inadempimento d i RAGIONE_SOCIALE
10. Anche questo motivo è inammissibile, in quanto la censura non si correla alla ratio della decisione.
Dalla motivazione della sentenza risulta che la Corte territoriale ha ritenuto che, con riguardo al finanziamento dell’opera ed al sottostante contratto di mutuo, RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto al pagamento delle rate fino al dicembre 2006 per poi interromperlo, legittimamente, a partire dal gennaio 2007, a causa del comportamento di RAGIONE_SOCIALE, che, venendo meno agli impegni assunti, si era opposta all’ulteriore erogazione del credito da parte della banca a RAGIONE_SOCIALE in forza degli stati di avanzamento, coltivando RAGIONE_SOCIALE l’intenzione di proseguire da sola l’operazione e di subentrare nel rapporto con la banca. La ricorrente incidentale prescinde invece da questa ricostruzione dei fatti, proponendone una affatto diversa ed alternativa, che non può evidentemente trovare ingresso in questo giudizio. Il motivo non si confronta
pertanto con la motivazione della sentenza impugnata ed è, per tale ragione, inammissibile.
Il settimo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 1453
e 1455 c.c., investendo il capo della decisione che ha addebitato l’inadempimento a RAGIONE_SOCIALE ed ha mandato assolta da ogni addebito la controparte. Si assume che la Corte di appello ha errato nell’applicare i criteri che, in caso di accuse reciproche, sovraintendono la valutazione del comportamento delle parti ai fini dell’addebito dell’inadempimento.
Con l ‘ottav o motivo di ricorso incidentale la società RAGIONE_SOCIALE nel denunciare violazione dell’art. 1362 c.c. nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e/o 167 e 183 c.p.c., censura il capo della sentenza che l’ha condannata al risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale.
Il settimo e l’ottavo motivo vanno dichiarati assorbiti.
L’accoglimento de l secondo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale comporta infatti la necessità che la condotta di RAGIONE_SOCIALE in ordine all’adempimento della sua obbligazione di pagamento del prezzo, che il giudice a quo ha dichiarato interamente assolta, sia valutata alla luce del principio che l’acquirente di un bene è tenuto, salvo i casi di operazioni esenti, a pagare al venditore l’importo corrispondente all’iva e che la eventuale determinazione del prezzo al lordo dell’iva deve risultare da un accordo delle parti. Tale accertamento imporrà, di conseguenza, una nuova valutazione della condotta delle parti sotto il profilo sia della sussistenza che della importanza degli inadempimenti che esse si sono reciprocamente addebitati.
Per la medesima ragione, va dichiarato assorbito anche il secondo motivo del ricorso principale che, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. e 115 e 132 n. 4 c.p.c., investe il capo della decisione che ha liquidato in favore di RAGIONE_SOCIALE il danno da essa lamentato in misura inferiore alla domanda.
In conclusione, sono accolti, nei limiti di cui in motivazione, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, rigettati il primo, il quinto, il sesto ed il primo motivo del ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE assorbiti gli altri.
R.G. N. 15904/2020.
La sentenza va quindi cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE rigetta il primo, il quinto, il sesto motivo del ricorso incidentale ed il primo motivo del ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’8 maggio 2025.