Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7536 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7536 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
NOME , rappresentato e difeso per procura alle liti a margine del ricorso da ll’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME in Roma, INDIRIZZO.
Ricorrente
contro
NOME NOME , rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al controricorso da ll’ AVV_NOTAIO o NOME COGNOMEAVV_NOTAIOCOGNOME , elettivamente domiciliato presso lo studio del l’AVV_NOTAIO i n Roma, INDIRIZZO.
Controricorrente-Ricorrente incidentale
per la cassazione della sentenza n. 1053/2018 della Corte di appello di Catanzaro, depositata il 24. 5. 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8. 3. 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con sentenza n. 1053 del 24. 5. 2018 la Corte di appello di Catanzaro, decidendo sul gravame proposto da COGNOME NOME, confermò la decisione di primo grado
nel capo che, revoAVV_NOTAIO il decreto ingiuntivo richiesto dall’COGNOME nei confronti di COGNOME NOME per il pagamento della somma di euro 18.283,48 a titolo di saldo dei lavori edili eseguiti su un fabbriAVV_NOTAIO di sua proprietà, aveva condannato COGNOME al pagamento della minor somma di euro 3.847,30; accolse invece l’appello con riguardo alla liquidazione degli interessi sulla somma dovuta, che riconobbe nella maggior misura prevista dall’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2002.
La Corte di merito motivò la conclusione accolta affermando che, avendo l’appellante provato la conclusione del contratto di appalto ma non anche l’accordo sul corrispettivo, appariva corretta la decisione del Tribunale che aveva determinato il suo compenso, sulla base dell’accertamento condotto dal consulente tecnico d’ufficio, ai sensi dell’art. 1657 c.c., applicando il prezzario regionale, risultando la relativa operazione pervenuta alla quantificazione di un prezzo congruo, ossia adeguato e sufficiente per l ‘opera eseguita.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notifiAVV_NOTAIO il 14. 12. 2018, ha proposto ricorso NOME, affidato a quattro motivi.
NOME NOME ha notifiAVV_NOTAIO controricorso e ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.
La causa è stata avviata in decisione in camera di consiglio.
NOME ha depositato memoria.
Il primo motivo del ricorso principale proposto da COGNOME NOME, che denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1655 e 1665 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. nonché vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, censura la decisione imp ugnata per avere ritenuto mancante la prova sull’accordo delle parti relativo alla determinazione del prezzo dei lavori appaltati, trascurando di considerare le dichiarazioni rese dai testimoni e che, a fronte della fattura emessa, la controparte non aveva contestato l’ammontare della pretesa.
Il motivo è inammissibile.
Le censure sollevate, assumendo che dalle risultanze istruttorie emergeva la prova che il corrispettivo richiesto era stato concordato nella misura indicata dalla fattura, denunziano solo formalmente vizi di violazione di legge, mentre in realtà investono la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti di causa ad opera della Corte di appello. Ora, a parte il rilievo che le dichiarazioni
testimoniali riprodotte in ricorso non appaiono affatto dimostrative della tesi del ricorrente e difettano pertanto del necessario requisito di decisività, assorbente è la considerazione che la valutazione delle prove costituisce un’operazione demandata dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito e che il ricorso per cassazione, introducendo un giudizio di legittimità, non consente alla parte di chiedere un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie al fine di pervenire ad una diversa ricostruzione dei fatti.
Inammissibili, per ragioni diverse, sono anche le censure che lamentano la mancata applicazione del principio di non contestazione e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
La prima non avendo il ricorrente allegato gli elementi da cui risulterebbe la non contestazione, da parte dell’opponente, dell’ammontare della sua pretesa, risultando per contro dalla lettura della sentenza impugnata che questi aveva contestato in toto il credito vantato nei suoi confronti, sia nell’ an che sul quantum .
La seconda in quanto la deduzione del vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio è preclusa dall’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., che esclude la proponibilità del motivo del ricorso per cassazione previsto dall’art. 360 n. 5 nel caso in cui la decisione di appello sia conforme a quella di primo grado ( c.d. doppia conforme ), applicabile ratione temporis nel caso di specie essendo stato il giudizio di appello introdotto nel 2013.
Il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione, erronea o falsa applicazione dell’art. 1657 c.c., investe lo stesso capo della decisione interessato dal motivo precedente, assumendo che la Corte di appello avrebbe dovuto comunque ritenere determinato il corrispettivo alla luce della fattura e del preventivo contenente l’elenco preciso dei lavori eseguiti.
Sotto altro profilo si assume erronea l’applicazione del prezzario della Regione Calabria, che riguarda solo i lavori pubblici, laddove la disposizione codicistica citata, nel prevedere che in mancanza di determinazione, ad opera delle parti, della misura del corrispettivo, il compenso dell’appaltatore sia calcolato sulla base delle ‘ tariffe esistenti ‘ , fa riferimento a quelle predisposte da organi o collegi pubblici o privati.
Il motivo è infondato.
La decisione della Corte di appello, che ha ritenuto la fattura e l’elenco dei lavori eseguiti prodotti dall’appellante inidonei, in quanto documenti formati dalla parte medesima, a provare l’accordo delle parti sul prezzo, appare conforme all’orientamento di questa Cor te, richiamato dalla stessa sentenza impugnata, secondo cui la fattura emessa dall’appaltatore, se è utilizzabile come prova scritta ai fini della concessione del decreto ingiuntivo, non costituisce idonea prova dell’ammontare del credito nell’ordinario giudizio di cognizione che si apre con l’opposizione, trattandosi di documento di natura fiscale proveniente dalla stessa parte; né costituisce idonea prova del credito il resoconto dei lavori eseguiti con allegato conteggio redatto dall’appaltatore durante o a fine lavori, a meno che non risulti che la relativa documentazione sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve ( Cass. n. 19944 del 2023; Cass. n. 33575 del 2021; Cass. n. 26517 del 2018; Cass. n. 10860 del 2007 ).
Anche l’ulteriore censura è infondata.
L’art. 1657 c.c. prevede che, in caso di mancata determinazione convenzionale del prezzo di appalto, esso sia determinato facendo riferimento alle tariffe esistenti, quale fonte integrativa del contratto. Per tali devono intendersi qualsiasi tabella di prezzi predisposta da organi o collegi pubblici o privati, anche se non aventi carattere autoritativo. Tra di esse vanno quindi compresi anche il prezzario predisposto dalla Regione per i lavori pubblici, laddove vi sia corrispondenza tra i lavori eseguiti e le voci in esso contenute, specie nel caso in cui, come nella specie, esso risulti utilizzato non in forma rigida, ma solo indicativa ai fini della quantificazione del compenso dovuto ( Cass. n. 17386 del 2004, con riferimento alle tariffe predisposte dal Genio Civile ).
Si osserva inoltre che il ricorrente non indica tariffe o prezzari alternativi né usi utilizzabili a tal fine e che la Corte di appello non si è limitata a richiamare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che ha fatto riferimento al prezzario regionale, ma ha anche espresso una chiara valutazione di congruità del prezzo così determinato alle opere eseguite.
Con il terzo motivo il ricorrente in via principale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1224, commi 1 e 2, c.c., lamentando che la sentenza impugnata non abbia riconosciuto , sull’importo liquidato in suo favore, la decorrenza degli interessi moratori dalla data di messa in mora, perfezionatasi con la raccomandata del 9. 7. 2007, e non abbia altresì liquidato il maggior danno.
La prima censura è inammissibile, avendo la Corte di appello liquidato gli interessi dalla data della fattura. Quanto alla loro decorrenza, deve invece osservarsi che la mancata riproduzione in ricorso della lettera del 9. 7. 2007, che non è menzionata dalla sentenza, impedisce di valutarne il contento e quindi di qualificarla come atto formale di messa in mora, sicché la sua mancata considerazione non può configurarsi decisiva ai fini della decorrenza degli interessi.
La seconda censura è invece infondata, avendo la Corte di appello respinto la domanda di risarcimento del maggior danno per mancanza di prova dello stesso.
Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 10, 91 e 92, comma 2, c.p.c. e del d.m. n. 55 del 2014, lamentando che Corte di appello, dopo avere compensato tra le parti per la metà le spese di lite e condannato il COGNOME al pagamento della restante metà, le abbia liquidate tenendo conto, al fine del valore della controversia, dell’ammontare del credito riconosciuto all’appellante e non di quanto domandato.
Il mezzo è infondato, atteso che l’art. 5, comma 1, d.m. n. 55 del 2014, stabilisce che il valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese di giudizio, va determinato con riferimento alla somma attribuita alla parte vincitrice e non alla somma domandata ( Cass. n. 3903 del 2016 ).
Con l’ unico motivo del ricorso incidentale COGNOME NOME denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c., lamentando che la Corte di appello lo abbia condannato al pagamento della metà delle spese di lite nonostante la prevalente soccombenza della controparte.
Il ricorso è manifestamente infondato, atteso che la violazione di legge in materia di spese processuali, con riferimento a quanto disposto dall’art. 91 c.p.c. e non dall’art. 92, che prevede l’ipotesi della compensazione, è configurabile nel
solo caso in cui il giudice condanni al loro pagamento, in tutto o in parte, la parte totalmente vittoriosa ( Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 15317 del 2013; Cass. n. 5386 del 2003 ).
In conclusione, sia il ricorso principale che quello incidentale sono respinti. Le spese di giudizio, attesa la prevalente soccombenza del ricorrente principale, si dichiarano compensate per la metà, ponendo a carico del l’COGNOME l’atra metà. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unifiAVV_NOTAIO pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P. Q. M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Liquida per intero le spese del giudizio in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, ne dispone la compensazione tra le parti per la metà e condanna COGNOME NOME al pagamento della restante metà in favore di COGNOME NOME.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unifiAVV_NOTAIO pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell ‘8 marzo 2024 .