Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4970 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4970 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
Oggetto
LOCAZIONI USO DIVERSO
Affitto d’azienda -Presupposizione Caratteri Motivazione in ordine alla loro ricorrenza
R.G.N. 1030/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
Adunanza camerale
sul ricorso 1030-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa d all’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa d all’Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 4036/2021 d ella Corte d’appello di Roma, depositata in data 03/06/2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 10/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 4036/21, del 3 giugno 2021, della Corte d’appello di Roma, che accogliendo il gravame esperito, in via di principalità, dalla società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘) avverso la sentenza n. 16962/15, del 29 luglio 2015, del Tribunale di Roma, respingendo, invece, quello incidentale dell’odierna ricorrente ha dichiarato risolto il contratto preliminare di affitto di ramo d’azienda corrente tra le parti, per il mancato avverarsi della circostanza sul cui presupposto esso era stato concluso.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver concluso con SDA, il 7 aprile 2010, un contratto preliminare, in forza del quale l’una si impegnava a concedere, mentre l’altra ad acquisire, l’affitto di ramo d’azienda nel realizzando centro commerciale ‘Castel RAGIONE_SOCIALE, e ciò al fine di consentire all’affittuaria l’esercizio della propria attività commerciale di vendita di prodotti per l’igiene della persona e per la pulizia della casa, con l’insegna ‘RAGIONE_SOCIALE‘. A garanzi a delle obbligazioni assunte con il preliminare, SDA -secondo quanto specificamente pattuito nell’art. 14.2 del contratto consegnava una fideiussione, da restituirsi in occasione della stipula del contrato definitivo. A tanto, tuttavia, non si giungeva, poiché SDA -assumendo che il suddetto preliminare fosse stato concluso sul presupposto, comune ad entrambe le parti, che il locale adiacente a quello in cui essa avrebbe svolto la propria attività sarebbe stato affittat o da Castel Romano ad un’impresa
del gruppo ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (che commercializza prodotti diversi da quelli di SDA) -lamentava il mancato avverarsi di tale circostanza.
Per tale ragione, essa -non senza allegare che nel suddetto locale, ‘invece che la promessa RAGIONE_SOCIALE avrebbe aperto un’azienda che svolge sempre attività di vendita di prodotti alimentari, ma vende anche prodotti simili, se non eguali, a quelli propri dei negozi « RAGIONE_SOCIALE » -adiva l’autorità giudiziaria, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto preliminare e conseguire la restituzione della fideiussione.
Costituitasi in giudizio, Castel Romano, oltre a resistere all’avversaria domanda, agiva in via di riconvenzione, chiedendo -previo accertamento dell’inadempimento di SDA -il risarcimento non solo dei danni derivanti dalla mancata stipula del contratto definitivo, ma pure quelli da lesione della propria immagine.
Istruita la causa anche attraverso prova per interpello e testi, il primo giudice, rigettata la domanda, accoglieva parzialmente, invece, la riconvenzionale di Castel Romano, dichiarando il preliminare risolto per inadempimento di SDA, condannata al risarc imento del danno nella misura di € 199.600,32, oltre interessi.
Esperito gravame, in via di principalità, da SDA, nonché in via incidentale da Castel Romano (in relazione al ‘ quantum ‘ del risarcimento), il giudice d’appello, accogliendo il primo, provvedeva nei termini sopra meglio indicati.
Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione Castel R omano, sulla base -come detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte d’appello ‘erroneamente ritenuto che la presenza di RAGIONE_SOCIALE presso il centro commerciale costituisse elemento sufficientemente determinato da assurgere a presupposto del contratto preliminare’.
La ricorrente censura la sentenza impugnata ‘per vizio di motivazione’, che riconduce alla previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., ‘per omesso esame di una serie di fatti decisivi’ da parte della Corte territoriale, la considerazione dei quali, invece, ‘l’avrebbero certamente condotta a ritenere che la presenza di RAGIONE_SOCIALE nel centro commerciale non potesse in alcun modo assurgere a presupposto comune e determinante della volontà negoziale delle parti nella stipulazione del contratto preliminare’.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe ‘erroneamente omesso di valutare i seguenti fatti storici’:
-la ‘e -mail del Gruppo SDA del 27 giugno 2012’, con la quale essa comunicava a Castel Romano che ‘a seguito delle ultime informazioni in merito alle insegne che saranno presenti nel centro, diverse da quelle che ci hanno indotto alla sottoscrizione del preliminare, non è nostra intenzione sottoscrivere il contratto definitivo di affitto di ramo d’azienda’;
-la ‘lettera di recesso del legale del Gruppo SDA del 9 luglio 2012’, in cui veniva precisata , quale ragione giustificatrice del recesso, la circostanza che ‘il locale confinante a quello in interesse è addirittura destinato ad un’azienda che svolge sempre attività di vendita di prodotti alimentari, ma vende anche prodotti simili, se non uguali a quelli propri dei negozi «RAGIONE_SOCIALE»’, essendosi così ‘passati da una situazione che poteva considerarsi commercialmente favorevole (presenza di RAGIONE_SOCIALE) ad una potenzialmente dannosa (presenza di attività concorrenziali’, e
ciò sulla base di quanto emerso dall’esecuzione, ‘antecedentemente alla firma del contratto preliminare’, di ‘stime sul fatturato potenzialmente ottenibile’;
-la ‘circostanza che nel novembre 2012, successivamente all’apertura del centro commerciale e quando era ormai noto alle parti che RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata presente’, il gruppo RAGIONE_SOCIALEaveva mostrato interesse per un altro blocco sito nel medesimo centro c ommerciale’, purché nello stesso vi fossero ‘marchi di rilevanza nazionale’, come in particolare emergerebbe dallo scambio di e-mail, tra le due società, del 5 e 6 novembre 2012.
Si tratterebbe, secondo la ricorrente, di circostanze non solo risultanti dagli atti processuali ed oggetto di discussione tra le parti, ma pure ‘decisive’, giacché dimostrerebbero come la volontà di RAGIONE_SOCIALE di concludere il contratto definitivo non dipendesse dalla presenza di RAGIONE_SOCIALE (che, dunque, a maggior ragione, non potrebbe assurgere a presupposto addirittura comune ad entrambe le parti), bensì dall’interesse a determinate insegne, dalla ricorrenza di una situazione commercialmente favorevole sulla base di stime sul fatturato potenzialmente ottenibile, dalla presenza, nel centro commerciale, di marchi di rilevanza nazionale.
D’altra parte, così concludendo la ricorrente l’illustrazione del presente motivo, le circostanze delle quali sarebbe stato omesso l’esame, ove fossero state, invece, apprezzate, ‘avrebbero condotto a una diversa valutazione anche delle altre risultanze istruttorie’, ovvero quelle sui la Corte capitolina ha fondato il proprio convincimento.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., per avere la Corte d’appello ‘erroneamente ritenuto sussistente nella fattispecie la presupposizione, in contrasto con
il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto’.
Si contesta alla sentenza impugnata di non aver considerato che le circostanze sopra menzionate, se valutate alla stregua del canone ermeneutico di cui all’art. 1362 cod. civ., che impone di ricostruire la comune intenzione delle parti contraenti alla luce anche del comportamento successivo alla conclusione del contratto, avrebbero portato il giudice d’appello ad escludere che la presenza di RAGIONE_SOCIALE costituisse presupposto comune ad entrambe le parti.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e 1366 cod. civ., per avere la Corte d’appello ‘erroneamente ritenuto sussistenti nella fattispecie i requisiti della presupposizione’.
Denuncia, in questo caso, la ricorrente la sussistenza di ‘un errore di argomentazione logica’ in relazione ai requisiti della ‘certezza’ e ‘oggettività’, che debbono connotare la circostanza considerata dalle parti quale presupposto -ancorché non esplicitato -della loro pattuizione contrattuale.
Quanto, infatti, all’oggettività, tale requisito, innanzitutto, deve valutarsi ‘ ex ante ‘, ovvero con riferimento al momento generativo del rapporto contrattuale, e non ‘ ex post ‘, e cioè nel momento dell’avveramento o meno dell’evento presupposto, come avrebbe fatto, invece, la Corte capitolina, nel dare rilievo alla deposizione testimoniale secondo cui RAGIONE_SOCIALE ebbe a sapere ‘dalla stessa RAGIONE_SOCIALE che aveva rotto il contratto con Cas tel Romano circa una settimana prima della data prevista per la consegna del locale’.
Inoltre, la circostanza elevata a presupposto è ‘obiettiva’ allorché si presenti indipendente dalla volontà ed attività delle
parti. Tale non sarebbe, per contro, nel caso di specie, dato che ‘l’ingresso di RAGIONE_SOCIALE nel centro commerciale’ -sottolinea la ricorrente -‘dipendeva dall’esito delle trattative tra quest’ultima e Castel Romano’.
Quanto, invece, al requisito della ‘certezza’, esso pure difetterebbe nell’ipotesi che occupa , perché le parti si sono rappresentate come certa l’esistenza di una negoziazione tra Castel Romano ed RAGIONE_SOCIALE, ma non la presenza di quest’ultima nel centro commerciale, ‘dipendendo imprescindibilmente la stessa dal buon esito delle trattative’ tra le due società ‘e dalla eventuale futura stipulazione di un contratto tra le stesse’. Né, d’altra parte, l’avvenuta conclusione del preliminare tra Castel Romano ed RAGIONE_SOCIALE vale a connotare in termini di certezza il preteso presupposto, come affermato dalla sentenza impugnata, giacché, osserva la ricorrente, ‘l’esito di un contratto preliminare tutto può dirsi fuorché certo’.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1453, 1463 e 1467 cod. civ., per avere la Corte d’appello ‘erroneamente dichiarato la risoluzione del contratto preliminare per il mancato avverarsi della presupposizione ed escluso la sussistenza dei presupposti della responsabilità precontrattuale del gruppo RAGIONE_SOCIALE.
Si censura la sentenza impugnata per non aver ‘neppure chiarito a che titolo abbia disposto la risoluzione del contratto preliminare, e, dunque, se quale risoluzione generica, per impossibilità della prestazione o per fatto imputabile alle parti’, sicché entrambe le statuizioni della Corte capitolina (la risoluzione del contratto e il rigetto della domanda di responsabilità precontrattuale di SDA) sarebbero state pronunciate ‘senza alcuno specifico fondamento’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, SDA, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo Sostituto, non ha rassegnato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati.
7.1. Il primo motivo è, per più ragioni, inammissibile.
7.1.1. Innanzitutto, perché la (pretesa) omissione investe, più che fatti, risultanze documentali, e dunque elementi istruttori, così ponendosi fuori del ‘perimetro’ dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.
Difatti, ‘l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa’ ovvero, nella specie, l’esistenza di un ‘presupposto’ (ancorché non esplicitato) condizionante l’efficacia del contratto -‘sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie’ (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 20 giugno 2024, n. 17005, Rv. 671706 -01 Cass. Sez. 2, ord. 29 ottobre 2018, n. 27415, Rv. 651028-01 Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629831-01).
Deve, invero , ribadirsi che ‘spetta al giudice di merito, in via in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge’ (cfr. da ultimo, tra le innumerevoli, Cass. Sez. 6-1, ord. 13 gennaio 2020, n. 331, Rv. 656802-01; in senso analogo pure Cass. Sez. 3, sent. 23 maggio 2014, n. 11511, Rv. 631448-01).
Neppure, poi, può sottacersi -ma solo per completezza espositiva -come le suddette risultanze documentali attestino circostanze, comunque, prive del carattere della ‘decisività’ (che ricorre solo quando le stesse siano idonee a ‘invalidare, con un giudizio di certez za e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la « ratio decidendi » risulti priva di fondamento’; così Cass. Sez. 3, ord. 20 giugno 2018, n. 16812, Rv. 64942101), giacché non incompatibili con l’elevazione della presenza di RAGIONE_SOCIALE a presupposto del contratto. E ciò ove si consideri la ‘ ratio ‘ sottesa a tale presenza : garantire a RAGIONE_SOCIALE la vicinanza di un esercizio commerciale che non svolgesse attività potenzialmente concorrenziale rispetto a quella da essa esercitata, ma che, semmai, potesse fungerne da ‘volano’, assicurandone la redditività.
Infine, l’inammissibilità discende a norma dell’ art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. -dalla constatazione che la ricorrente non si doveva limitare a dedurre quali fossero i fatti ‘omess i ‘ e la loro (pretesa) ‘decisività’, ma anche il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui essi risultino esistenti e -ciò che nella specie, però, non è avvenuto -il ‘come’ e il ‘quando’ tal i fatti siano stati oggetto di discussione processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso
conforme, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).
7.2. Anche il secondo motivo è inammissibile.
7.2.1. Fermo restando che la Corte territoriale, per definizione, ha dato rilievo al comportamento anche successivo delle parti (come emerso dalle testimonianze valorizzate in sentenza, che attestano l’interlocuzione intercorsa tra le due società successivamente alla conclusione del preliminare), la censura -oggetto del presente motivo -di violazione del canone ermeneutico che impone di vagliare la ‘comune inten zione delle parti’ è, comunque, inammissibile.
Difatti, posto che ‘l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti’ (condizione, nella specie, soddisfatta), ‘ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi’ come, invece, accaduto nel caso che occupa -‘nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata’ (da ultimo, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 9 aprile 2021, n. 9461, Rv. 661265-01).
7.3. Il terzo motivo, invece, è fondato, per quanto di ragione.
7.3. Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla premessa secondo cui si ha ‘presupposizione’ , in base ad una nozione ormai acquisita nella giurisprudenza di questa Corte, allorché una determinata situazione di fatto o di diritto, comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere tanto obiettivo (nel senso che il suo verificarsi è ‘indipendente dalla loro volontà e attività’ ), quanto ‘certo’, sia stata ‘elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento -pur in mancanza di un espresso riferimento -dell’esistenza ed efficacia del contratto’ (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un., sent. 20 aprile 2018, n. 9909, Rv. 648129-01; tra le più recenti anche Cass. Sez. 1, ord. 15 dicembre 2021, n. 40279, Rv. 663549-01).
Orbene, la ricorrente assume che, nel caso di specie, difetterebbero i requisiti della ‘certezza’ ed ‘obbiettività’ , proponendo una censura che -articolata con riferimento alla violazione dei canoni dell’ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1366 cod. civ. -si risolve, nella sostanza, nella denuncia di un vizio motivazionale, se è vero che la verifica circa la sussistenza di ‘ una condizione inespressa ma comune alle parti e determinante della volontà negoziale, si colloca sul piano propriamente interpretativo del contratto e costituisce pertanto accertamento riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici ‘ ( Cass. Sez. Lav., sent. 17 dicembre 2004, n. 23520, Rv. 579231-01).
Tuttavia, mentre la valutazione della Corte territoriale resiste alla censura oggetto del presente motivo quanto al requisito della ‘certezza’, non altrettanto può dirsi con riferimento a quello della ‘obiettività’.
Affinché, infatti, possa ritenersi integrato il primo di tali requisiti è sufficiente ‘l’evento sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti, così differenziandosi la presupposizione dalla condizione’, sicché ciò che rileva è ‘la certezza soggettiva dell’evento presupposto, non richiedendosi la certezza oggettiva dell’evento medesimo, né l’imprevedibilità della sopravvenuta circostanza impeditiva’ (così Cass. Sez. 2, sent. 14 giugno 2013, n. 15025, Rv. 627006-01); considerazione, quest’ul tima, che impone di superare il rilievo della ricorrente secondo cui ‘l’esito di un contratto preliminare tutto può dirsi fuorché certo’.
Per contro, la sentenza impugnata difetta di una motivazione congrua e scevra da vizi giuridici in ordine all’altro requisito, quello della ‘obiettività’ , da intendersi nel senso, come detto, che l’evento assunto implicitamente, dalle parti contrattuali, a presupposto del contratto, deve essere indipendente dalla loro volontà e attività.
Invero, la Corte capitolina -nell’ambito di quell’attività di selezione delle fonti del proprio convincimento, non sindacabile nella presente sede di legittimità -ha ritenuto che, dal confronto tra le deposizioni dei testi escussi nel giudizio di primo grado, si dovesse concludere che proprio la presenza di RAGIONE_SOCIALE nel centro commerciale (e non, semplicemente, di un qualsiasi altro operatore, che svolgesse attività non concorrenziale, rispetto a quella espletata dal gruppo SDA), fosse stata assunta quale presupposto del contratto preliminare di affitto del ramo d’azienda. Senonché, nel motivare le ragioni per le quali tale presupposto presenterebbe il carattere della ‘obiettività’ (da intendere nei termini già più volte rammentati), la sentenza impugnata si limita alla generica -e sibillina -affermazione secondo cui ‘la mancata partecipazione di RAGIONE_SOCIALE non è addebitabile alle parti’ . La Corte territoriale, per contro, avrebbe
dovuto chiedersi non già se il mancato verificarsi di quell’evento -riguardato ‘ ex post ‘, ovvero dopo il suo non avveramento -fosse ‘addebitabile’ al contegno di Castel Romano (o di SDA), ma se esso, considerato ‘ ex ante ‘, dipendesse , o meno, dalla volontà o attività delle parti del contratto preliminare di affitto di azienda.
Si è al cospetto , dunque, di un’affermazione basata su argomentazioni ‘ obiettivamente inidonee a far conoscere ‘ -sul punto -‘ il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento ‘ ( Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01, Cass. Sez. 6-1, ord. 1° marzo 2022, n. 6758, Rv. 664061-01), evenienza idonea ad integrare vizio motivazionale, di recente ravvisato anche nel caso, al quale è riconducibile pure quello presente, di una ‘ motivazione basata su una affermazione generale e astratta ‘ (Cass. Sez. 3, ord. 15 febbraio 2024, n. 4166, Rv. 670117-01).
7.4. Il quarto motivo resta assorbito dall’accoglimento del terzo, nei termini che si sono appena delineati.
In conclusione, il solo terzo motivo va accolto, per quanto di ragione, e la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità
PQM
La Corte dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, per quanto di ragione, e dichiara assorbito il quarto, cassando in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa sezione e