Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5237 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5237 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32937/2018 R.G. proposto da: ITRIA
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 771/2018 depositata il 28/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE venne dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Cagliari n. 136 del 1995.
A seguito di concordato fallimentare satisfattivo tornò in bonis nel 1999 e venne posta in liquidazione l’anno seguente.
Nel 2003 fu cancellata dal registro delle imprese.
La RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, era socia di maggioranza (al 24 %) della RAGIONE_SOCIALE.
Con citazione del marzo 2013 convenne in giudizio Intesa Sanpaolo (già San RAGIONE_SOCIALE) assumendo di aver riscontrato, in data successiva alla cancellazione , l’avvenuta applicazione da parte della banca di interessi anatocistici ai rapporti intercorsi con la partecipata; sicché propose domande di nullità delle afferenti condizioni contrattuali e di condanna alle restituzioni.
Nella resistenza della convenuta e della terza chiamata RAGIONE_SOCIALE, il tribunale respinse le domande per difetto di legittimazione, in quanto l’attrice aveva azionato una mera pretesa a fronte di un RAGIONE_SOCIALE solo supposto, perché non emergente dal bilancio finale di liquidazione.
La decisione, impugnata dalla società RAGIONE_SOCIALE, è stata confermata dalla corte d’appello di Cagliari sull’essenziale rilievo che il bilancio finale di liquidazione della RAGIONE_SOCIALE era stato depositato nel 2002, mentre almeno dal 1999 la giurisprudenza si era attestata sul principio di nullità delle clausole contrattuali previdenti la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dei conti correnti bancari; per cui la circostanza di non
avere il liquidatore appostato il RAGIONE_SOCIALE nel bilancio doveva far propendere per la volontà di rinuncia a fronte della più rapida conclusione del procedimento estintivo della società.
Contro la sentenza, notificata il 5-9-2018, la GBS ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi.
Intesa Sanpaolo, anche come incorporante la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
I. -Col primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per avere contraddittoriamente e sommariamente affermato l’insussistenza della legittimazione attiva sulla scorta di un’arbitraria interpretazione della volontà dei soci della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Col secondo motivo deduce ancora la nullità della sentenza per non essere il giudice d’appello entrato nel merito degli altri motivi di gravame e per aver sommariamente richiamato per relationem la decisione di primo grado.
Col terzo motivo denunzia la v iolazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. per avere la sentenza sommariamente confermato l’importo ingente delle spese processuali liquidate dal primo giudice, così violando la tariffa di cui al d.m. 8-4-2004.
II. – Il primo motivo è inammissibile.
Il tema sotteso attiene alla presunzione di rinuncia della pretesa RAGIONE_SOCIALEria della società posta in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese nel 2003.
Costituisce fatto pacifico che la ricorrente -in qualità di socia abbia nel 2013 azionato la pretesa per un (asserito) RAGIONE_SOCIALE della partecipata non iscritto nel bilancio finale di liquidazione.
Il RAGIONE_SOCIALE, secondo la postulazione, sarebbe disceso dalla prassi di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, applicata, in forza di clausole negoziali nulle, ai rapporti bancari intercorsi.
III. – Va precisato -a parziale correzione di quanto affermato dalla corte territoriale – che il principio di immediata estinzione della società in esito alla cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici a essa facenti capo, opera, nel caso di specie, non a far data dalla cancellazione (2003) ma a far data dal 1° gennaio 2004.
In generale , ai fini dell’art. 2495 cod. civ., si suppone che l’ adempimento della cancellazione (al quale la riforma del diritto delle società ha attribuito efficacia costitutiva) abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, non potendo attribuirsi alla norma natura interpretativa della disciplina previgente in mancanza di un’espressa previsione di legge.
Per le società cancellate in epoca anteriore al 1° gennaio 2004 -come la RAGIONE_SOCIALE – l’estinzione opera a partire da questa data (Cass. Sez. U n. 4060-10).
IV. – L ‘impugnata sentenza ha fatto applicazione di un principio tratto dalla giurisprudenza di questa Corte.
Il principio è che qualora all’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: (a) l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; (b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono egualmente ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, ma ‘ con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a
favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo ‘ (Cass. Sez. U n. 6070-13, Cass. Sez. U n. 6071-13).
Il principio è replicato da molteplici pronunce ( ex aliis Cass. Sez. 1 n. 23269-16, Cass. Sez. 1 n. 19303-18, Cass. Sez. 2 n. 24246-23) e si può reputare consolidato.
V. La corte d’appello h a rilevato che la mancata indicazione del RAGIONE_SOCIALE di cui si tratta nel bilancio di liquidazione della società, a fronte della conclusione del procedimento estintivo mediante la cancellazione, si doveva considerare espressione della volontà di rinuncia alla corrispondente pretesa, giacché il liquidatore non poteva che esser stato a conoscenza della questione sottesa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sui conti correnti bancari, in ragione del mutamento di giurisprudenza che, a partire dal 1999, ha sancito la espunzione della detta prassi dagli usi normativi; ciò anche considerando il clamore mediatico sorto a seguito di tale indirizzo, il quale del resto si è consolidato negli anni seguenti, prima del deposito del bilancio di liquidazione.
VI. – La ricorrente censura la sentenza non in rapporto al menzionato profilo in iure , desunto dall’indirizzo giurisprudenziale appena evocato, ma per l’arbitrarietà del metodo di ricostruzione della volontà dei soci della RAGIONE_SOCIALE.
In sintesi, assume che l’ inconsapevolezza del liquidatore della società circa gl i obblighi di inclusione del RAGIONE_SOCIALE nell’attivo del bilancio finale non avrebbe consentito di giungere all’interpretazione di una volontà abdicativa.
In questo modo, però, essa sottopone a censura la ricostruzione della volontà così come ritenuta dal giudice a quo ; ciò che traduce la critica in una censura di fatto, notoriamente inammissibile in questa sede.
VII. – Il secondo motivo è inammissibile.
L’affermazione circa la rinuncia a far valere la pretesa RAGIONE_SOCIALEria è ragione assorbente di ogni ulteriore profilo consegnato al gravame, e ne
legittima quindi il mancato esame a prescindere dalla relatio alla decisione di primo grado.
VIII. – Il terzo motivo , in disparte l’essere sta to prospettato in modo perplesso (come vizio di motivazione all’inizio e come violazione di legge in fine), è inammissibile.
La ricorrente si duole della declaratoria di inammissibilità della doglianza relativa all’eccessività della liquidazione delle spese processuali di primo grado.
La doglianza è stata dichiarata inammissibile perché generica.
La ricorrente sostiene di aver invece bene evidenziato la ragione di doglianza perché il calcolo proposto dal primo giudice era -a suo dire -inesatto, in quanto relativo a causa di valore indeterminabile con unicità di parte avversa.
È dirimente osservare che la censura difetta totalmente di autosufficienza, non essendo riportato né il motivo di appello nella parte saliente, né la quantificazione alternativa delle spese che il giudice avrebbe dovuto considerare.
IX. -Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 8.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione