Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3413 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3413 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9200 – 2024 R.G. proposto da:
COGNOME -c.f. CODICE_FISCALE -rappresentato e difeso disgiuntamente e congiuntamente in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso d all’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale COGNOME –COGNOME.
RICORRENTE
contro
A.G.E.A. -AGENZIA per le EROGAZIONI in AGRICOLTURA – c.f. NUMERO_DOCUMENTO – in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla INDIRIZZO, domicilia per legge.
RESISTENTE
avverso la sentenza n. 6646/2023 della Corte d’Appello di Roma,
udita la relazione nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 del consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto notificato il 17.12.2012 NOME COGNOME imprenditore agricolo, citava l ‘ ‘A .G.E.A. – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura ‘ a comparire dinanzi al Tribunale di Roma (cfr. ricorso, pag. 2) .
Premetteva che nell’anno 2002 aveva rivolto all’ ‘A.G.E.A.’ domanda di aiuto comunitario in relazione al ritiro dalla produzione di taluni terreni seminativi, di pertinenza della sua azienda agricola, siti nel territorio del Comune di Chieuti.
Premetteva altresì che nessun contributo gli era stato erogato nell’anno 2002 e nell’anno 2004 ; che viceversa il contributo gli era stato corrisposto come da sua richiesta nell’anno 2003 ; che negli anni 2005, 2006 e 2007 gli erano stati erogati contributi significativamente inferiori a quelli domandati.
Indi esponeva che aveva acclarato che per l’anno 2002, per le medesime particelle catastali, erano state proposte due distinte domande, l’una da parte sua, l’altra da parte di NOME COGNOME in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e che a motivo della duplice istanza non erano stati erogati i contributi per l’anno 2002 e i contributi erogati per l’anno 2003 erano stati recuperati mercé decurtazione, fino a compensazione, dei contributi per gli anni 2005, 2006 e 2007.
Esponeva inoltre che a seguito di sua denuncia-querela era stato avviato a carico di NOME COGNOME procedimento penale per peculato, procedimento conclusosi con sentenza della Corte di Appello di Bari del 6.3.2009, di conferma della sentenza di condanna del Tribunale di Foggia del 7.11.2006.
Chiedeva dunque, siccome non gli era ascrivibile l’illecito penale commesso dal COGNOME, che la convenuta fosse condannata a corrispondergli i contributi per l’anno 2002 nonché i contributi trattenuti per gli anni 2005, 2006 e 2007.
Si costituiva l ‘ ‘A.G.E.A. – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura ‘.
Deduceva che in relazione all’anno 2002, a causa della proposizione di due domande distinte da parte di soggetti diversi per le stesse particelle di terreno ‘si era verificato il superamento della superficie complessivamente dichiarata rispetto a quella catastale, per cui (…) non era autorizzata ad effettu are pagamenti’ (così ricorso, pag. 3) .
Instava per il rigetto dell’avversa domanda.
Con sentenza del 29.7.2015 il Tribunale di Roma rigettava la domanda.
Proponeva appello NOME COGNOME.
Con sentenza del 27.11.2019 la Corte di Roma rigettava il gravame.
Con ordinanza n. 5392/2023 questa Corte, in accoglimento del ricorso proposto da NOME COGNOME cassava la sentenza della corte d ‘appello .
Reputava, questa Corte, che non si giustificava ‘la totale omessa considerazione delle argomentazioni difensive che si fondino sulle prove assunte nel processo penale o sulla motivazione della sentenza penale attinente alla stessa vicenda oggetto di cognizione nel processo civile ‘ (cfr. ricorso, pag. 7) .
Reputava poi che la corte d ‘appello aveva ancorato il suo dictum ad ‘ una motivazione non comprensibile ‘ e valorizzat o ingiustificatamente ‘la mancata reazione del ricorrente all’omessa erogazione dei contributi’ senza correlarla ‘ad alcuna conseguenza in punto di diritto’ (cfr. ricorso, pag. 7) .
NOME COGNOME riassumeva il giudizio in sede di rinvio.
Non si costituiva l’ ‘ARAGIONE_SOCIALE‘.
Con sentenza n. 6646/2023 la Corte di Roma rigettava l’appello esperito da NOME COGNOME avverso la sentenza del 29.7.2015 del Tribunale di Roma e regolava le spese di lite.
Evidenziava la Corte di Roma che dalla sentenza penale della Corte di Appello di Bari del 6.3.2009 si desumevano le seguenti circostanze:
che NOME e NOME COGNOME, i quali avevano dall’ ‘RAGIONE_SOCIALE‘ acquistato con riserva di proprietà i terreni de quibus , avevano subito sin dal 19.11.1996 la risoluzione -con sentenza del Tribunale di Roma – del loro titolo d’acquisto ; che NOME COGNOME si era in data 15.1.2002 aggiudicato la proprietà dei terreni de quibus a seguito di asta pubblica;
che NOME e NOME COGNOME avevano conservato -come da sentenza del 12.5.2004 del Giudice di Pace di Torremaggiore – la disponibilità, la detenzione dei terreni de quibus almeno sino all’ottobre del 2002.
Evidenziava dunque, la Corte di Roma, che NOME COGNOME di certo non aveva alcun titolo atto a conferirgli la proprietà ovvero il possesso né dei terreni aveva avuto la detenzione, giacché quanto meno sino all’ottobre del 2002 i fondi erano stati nella disponibilità di NOME e NOME COGNOME (cfr. sentenza impugnata, pag. 10) .
Evidenziava, poi, che -così come la Corte d’Appello di Bari aveva posto in risalto con la sentenza penale del 6.3.2009 – NOME COGNOME sebbene avesse provveduto alla semina dei terreni nel corso dell’annata agraria 2001 – 2002, vi
aveva provveduto nella consapevolezza che i terreni appartenessero a terzi (cfr. sentenza impugnata, pagg. 10 – 11) .
Evidenziava quindi che l’iniziale attore, in veste di mero detentore , ‘i n ragione dell’assoluta provvisorietà della relazione con il bene, del tutto non qualificata’ (così sentenza impugnata, pag. 12) , non era legittimato a domandare – per gli anni in contestazione -gli aiuti comunitari.
Evidenziava al contempo, la corte, che non avevano valenza alcuna né la circostanza che NOME COGNOME avesse contestato l’esecuzione per il rilascio coattivo dei terreni promossa in data 23.7.2002 da NOME COGNOME né la circostanza che NOME COGNOME avesse proposto domanda di usucapione dinanzi al Tribunale di Foggia (cfr. sentenza impugnata, pag. 13) .
Evidenziava segnatamente, a tal ultimo riguardo, che la proposizione della domanda di usucapione dava ragione dell’insussistenza di un titolo derivativo a riscontro della proprietà e del possesso dei terreni in capo all’originario attore . E ciò viepiù che dalla sentenza penale della Corte d’Appello di Bari neppure risultava che l’originario attore fosse rimasto nella detenzione dei fondi successivamente al rilascio avvenuto nel luglio 2002 (cfr. sentenza impugnata, pagg. 13 – 14) .
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione.
L’ ‘ A.G.E.A. – Agenzia per RAGIONE_SOCIALE ‘ si è costituita ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con l ‘unic o motivo i l ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3 e n. 4, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1140 e 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 394 cod. proc. civ. nonché del regolamento CEE n. 1765/1992, del regolamento CEE n. 2419/2001 e del regolamento CEE n. 3508/1992.
Deduce che la semina costituisce tipica esplicazione del diritto di proprietà sul fondo (cfr. ricorso, pag. 11) ; che ‘non si comprende (…) quale sarebbe il titolo giuridico o di fatto che giustificherebbe il possesso’ (cfr. ricorso, pag. 11) ; che la Corte di Roma ha prospettato la detenzione di egli ricorrente ‘sulla base di una detenzione di NOME e NOME COGNOME ‘ (così ricorso, pag. 11) .
Deduce altresì che in virtù del disposto del 1° co. dell’art. 114 1 cod. civ. spettava all’ ‘A.G.E.A.’ dimostrare che egli ricorrente ‘aveva cominciato ad esercitare il potere di fatto che gli aveva consentito la semina quale detentore nomine alieno ‘ (così ricorso, pag. 12) .
Deduce inoltre che la corte d’appello ha valutato erroneamente la sentenza penale della Corte d’Appello di Bari, ‘in quanto chi ha la di un fondo non dipendente da un titolo giuridico proveniente dal proprietario è possessore e non detentore’ (così ricorso, pag. 13) ; e ancora che la corte distrettuale non ha esplicitato le ragioni per cui egli ricorrente non sarebbe stato possessore di buona fede (così ricorso, pag. 13) .
12. Il motivo di ricorso è inammissibile.
Va debitamente premesso che il ricorrente adduce la sua veste di possessore, tant’è che invoca (cfr. ricorso, pag. 12) la previsione del 1° co. dell’art. 1141 cod. civ. (‘ si presume il possesso in colui che esercita il potere di
fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione’) .
In tal guisa, per un verso, riconosce, in linea di principio, che non è bastevole la veste di mero detentore, così come ha reputato la Corte di Roma, limitatamente, ben vero, ai terreni e alle annualità per cui è controversia.
In tal guisa, per altro verso, ingiustificatamente, prospetta che ‘i giudici di rinvio (…) avrebbero dovuto spiegare perché NOME COGNOME, il quale aveva pacificamente la gestione (non importa a che titolo) anche di altri terreni, oltre quelli di cui si discute, non poteva beneficiare degli aiuti comunitari’ (così ricorso, pag. 14) .
Ovviamente, il thema (attinente al merito della decisione) della sussistenza dei requisiti soggettivi, ai fini del riscontro della titolarità della posizione sostanziale azionata in giudizio, apparteneva ab initio alla materia del contendere. Del resto, così come riferisce lo stesso ricorrente, il tribunale aveva rigettato la domanda, giacché non erano emersi ‘elementi per ritenere che l’attore fosse in possesso di un idoneo titolo giuridico per l’ottenimento dei contributi’ (così ricorso, pag. 4) .
Di conseguenza, ingiustificatamente il ricorrente assume che la questione dell’insussistenza dei requisiti soggettivi non era stata esaminata dall’ordinanza n. 5392/2023 di questa Corte, per cui ‘ avre bbe dovuto essere riproposta dall’ AGEA nel giudizio di rinvio, il che non è avvenuto in quanto l’AGEA non si è costituita in tale giudizio’ (così ricorso, pag. 14) .
Tanto, ben vero, alla stregua del rilievo per cui la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa (cfr. Cass. sez. un. 16.2.2016, n. 2951) .
Tanto, ben vero, alla stregua del rilievo per cui questo Giudice, con l’ordinanza n. 5392/2023, aveva cassato la sentenza del 27.11.2019 della Corte d’Appello di Roma per vizio di motivazione, segnatamente aveva accolto il secondo motivo di ricorso, siccome il dictum allora impugnato ‘esibisce una motivazione non comprensibile’, segnatamente aveva accolto il primo ed il terzo motivo di ricorso, siccome il dictum allora impugnato era incorso nella ‘totale omessa considerazione delle argomentazioni difensive , che si fondino sulle prove assunte nel processo penale o sulla motivazione della sentenza penale attinente alla stessa vicenda oggetto di cognizione nel processo civile’ (cfr. ricorso, pag. 7) .
Tanto, ben vero, alla stregua del rilievo per cui, in caso di cassazione con rinvio per vizio di motivazione (da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge) , il giudice del rinvio non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento impugnato ritenuti illogici ed eliminando, a seconda dei casi, le contraddizioni ed i difetti argomentativi riscontrati (cfr. Cass. sez. lav. 29.5.2014, n. 12102; Cass. sez. un. 3.9.2020, n. 18303) .
15. Senza dubbio la prova del possesso implica solo la dimostrazione di un’attività corrispondente all’esercizio di un diritto reale, nella quale si identifica
presuntivamente, ai sensi dell’art. 1141 c od. civ., il potere di fatto sulla cosa costituente l’essenza stessa del possesso, sicché spetta a chi contesti tale potere di provare che l’attività esercitata configura una semplice detenzione o è dovuta a mera tolleranza (cfr. Cass. 11.12.1981, n. 6552; Cass. 23.5.2000, n. 6738) .
Tuttavia, la Corte di Roma ha nella specie congruamente ed ineccepibilmente reputata superata la presunzione anzidetta, opinando per la sussistenza di una detenzione né autonoma né qualificata (‘in ragione dell’assoluta provvisorietà della relazione con il bene, del tutto non qualificata’: così sentenza impugnata, pag. 12) .
E tanto, segnatamente, alla stregua della valutazione delle risultanze della sentenza penale della Corte d’Appello di Bari (cfr. Cass. 2.7.2010, n. 15714, secondo cui il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento anche gli elementi probatori raccolti in un giudizio penale; Cass. sez. lav. 5.12.2008, n. 28855, secondo cui il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest’ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa) .
Ovviamente, nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio co siddetto dell’acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (cfr. Cass. 29.11.2000, n. 15312; Cass. 8.5.2006, n. 10499; Cass. 21.5.1979, n. 2945) .
E, ulteriormente, la coltivazione del fondo, sebbene ai fini della prova degli elementi co stitutivi dell’usucapione, non è sufficiente, in quanto, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l ‘ intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all ‘ esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta ‘ uti dominus ‘ (cfr. Cass. 29.7.2013, n. 18215; Cass. (ord.) 3.7.2018, n. 17376) .
Una duplice puntualizzazione si impone da ultimo.
16.1. Invano il ricorrente prospetta che la corte distrettuale ha valutato erroneamente le risultanze dell a sentenza penale della Corte d’Appello di Bari .
Soccorre l’elaborazione di questa Corte alla cui stregua il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc. c iv., né in quello del precedente n. 4, disposizione che per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153; Cass. (ord.) 19.7.2021, n. 20553) .
16.2. Invano il ricorrente prospetta che la disciplina comunitaria fa riferimento ad un ‘ampia nozione di ‘produttore’ (cfr. memoria del ricorrente, pag. 2) .
Evidentemente, l’attività agricola ‘essenziale’ identificantesi ex art. 2135 cod. civ. nella ‘ co ltivazione del fondo’ è a pieno titolo riconducibile all’attività
di ‘ produzione ‘ di cui all’art. 2082 cod. civ. e d, inoltre, la medesima attività d’impresa agricola può -in un’ampia proiezione – di certo rinvenire il suo referente soggettivo anche in un organismo collettivo, eventualmente pur di natura associativa e non necessariamente di natura societaria.
L’ ‘ARAGIONE_SOCIALE sostanzialmente non ha svolto difese. Pertanto, nonostante la declaratoria di inammissibilità del ricorso nessuna statuizione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater , d.P.R. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
dichiara inammissibile il ricorso;
a i sensi dell’art. 13, 1° co. quater , d.P.R. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis , d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sez. civ. della Corte