Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15140 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15140 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19607/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME, ex lege domiciliato come da PEC. -ricorrente – contro COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME, ex lege domiciliata come da PEC. -controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 1082/2023 depositata il 26/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
1. COGNOME NOME conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Bergamo, COGNOME NOME, deducendo: di aver ceduto un ramo di azienda a COGNOME NOME, figlio della COGNOME, con un contratto che prevedeva il pagamento a rate, mediante vaglia cambiari; che siccome l’attività aziendale (bar) si svolgeva in un immobile in locazione, il pagamento di n. 36 rate/vaglia successivo alla scadenza della locazione era stato sospeso, con condizione sospensiva del rinnovo della locazione; nelle more i vaglia venivano depositati presso un notaio; che l’COGNOME decedeva in un sinistro ed allora il COGNOME chiedeva al notaio le cambiali per l’incasso, ma il notaio rifiutava, dato che NOMECOGNOME subentrata in luogo del figlio nel contratto di cessione di ramo di azienda, non aveva prestato il suo consenso.
Tanto premesso, COGNOME COGNOME chiedeva al tribunale di accertare il rinnovo del contratto di locazione e di condannare COGNOME NOME al pagamento del residuo dovuto a saldo.
Costituitasi, NOME chiedeva il rigetto della domanda asserendo, in fatto: che il figlio in vita, quanto al totale pattuito in contratto di euro 160.012,00, aveva già corrisposto euro 110.008, di cui euro 10.000,00 in contanti (che le parti danno per versati) ed euro 100.008,00 pagati a rate, ricevendo in restituzione gli originali dei 36 vaglia cambiari da euro 2.778 l’uno, rinvenuti fra i documenti del figlio, segno che erano stati restituiti dal ricorrente; che riteneva essere da lei ancora dovuti euro 50.004,00 che aveva subito offerto in pagamento, poi elevando l’offerta ad euro 69.450, 00, perché sette vaglia cambiari non recavano, a differenza degli altri, il nome del beneficiario.
In diritto allegava che il possesso di n. 29 vaglia cambiari in originale, dei 36 rinvenuti fra i documenti del figlio, che attestavano la girata all’incasso da parte di COGNOME e il
pagamento da parte della banca, costituivano presunzione, seppure iuris tantum , della corresponsione del pagamento di parte del prezzo (euro 110.008,00) convenuto fra le parti originarie del contratto (euro 160.012,00).
Con sentenza n. 1729/2020 il Tribunale di Bergamo: accertava che tra NOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE era intervenuto il rinnovo del contratto di locazione; accertava che si era verificata la condizione sospensiva contenuta nel contratto di cessione del ramo di azienda; dichiarava NOME Brigida inadempiente agli obblighi contrattuali e la condannava a pagare la residua somma di euro 30.539,16 oltre interessi legali; compensava fra le parti le spese di lite.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame ed anche proponendo appello incidentale, COGNOME Bruno.
3.1. Con sentenza n. 1082/2023 del 26 giugno 2023 la Corte d’Appello di Brescia accoglieva l’appello principale e rigettava l’appello incidentale.
Avverso tale sentenza COGNOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denunzia ‘Nullità della sentenza ex art. 161, comma 1, c.p.c., per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.’.
Lamenta che la corte territoriale avrebbe omesso di scrutinare la domanda dell’attore siccome ritenuta tardiva e, quindi, inammissibile, sul presupposto di una causa petendi e petitum travisati rispetto alla prospettazione dalla parte istante,
come pure di fatti non altrimenti rivenienti dal materiale documentale di causa e parimenti travisati, e per aver conseguentemente ritenuto inammissibili le prove orali relative a tale domanda.
1.1. Il motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
La violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. è dedotta in modo erroneo, posto che ciò che si deduce sarebbe stata materia per far valere un’erronea interpretazione della domanda, che avrebbe dovuto attingere l’art. 163, n. 4, cod. proc. civ. (v., tra le tante, Cass., 16/10/2024, n. 26913, secondo cui il vizio di omessa pronuncia è configurabile soltanto nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito).
Peraltro, anche se il motivo, a volerlo riqualificare ai sensi di Cass., Sez. Un., n. 17931/2013, si apprezzasse in questo senso, risulterebbe comunque inammissibile.
Infatti, si risolve in una serie di considerazioni su emergenze processuali oggetto di rinvio a documenti, le quali dovrebbero essere oggetto di apprezzamenti da parte di questa Corte, sollecitata però con erronea deduzione della violazione delle norme degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’articolo 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass., Sez. Un.,
05/08/2016, n. 16598).
Il presupposto della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è invece che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; diversamente, ove si deduca che il giudice abbia solo male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle stesse Sezioni Unite (Cass., Sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34474; Cass., Sez. Un. n. 20867/20, cit.).
Le critiche che il ricorrente rivolge alla impugnata sentenza si risolvono, in effetti, al di là dell’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, in una contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito e non sono, pertanto, inquadrabili né, come detto, nel paradigma dell’articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell’articolo 132 cod. proc. civ., n. 4 -dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., 26/09/2018, n. 23153; Cass., 10/06/2016, n. 11892); e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., 15/05/2018, n. 11863; Cass., 17/12/2017, n. 29404; Cass., 02/08/2016, n. 16056).
Dalla lettura dell’impugnata sentenza -là dove viene affermato che ‘L’unico dato certo è che il prezzo concordato dalle parti, per scrittura privata autenticata, è pari a € 160.012’ e che, in relazione a tale prezzo la COGNOME, subentrata nella cessione al posto del figlio, avrebbe dimostrato di aver ottemperato ai suoi obblighi, ‘usufruendo (…) della presunzione di pagamento delle rate da € 2.778 l’una per il possesso dei vaglia cambiari’ -emerge che la corte territoriale ha pronunciato secondo diritto, a mente del principio per cui ‘Il possesso da parte del debitore del titolo originale del credito costituisce fonte di una presunzione legale juris tantum di pagamento, superabile con la prova contraria di cui deve onerarsi il creditore che sia interessato a dimostrare che il pagamento non è avvenuto e che il possesso del titolo è dovuto ad altra causa, come risulta implicitamente confermato, per i titoli cambiari, dall’art. 45, comma 1, del r.d. n. 1669 del 1933, secondo il quale il trattario che paga la cambiale ha diritto alla sua riconsegna con quietanza al portatore (v. Cass. civ. n. 3130/2018; Cass., n. 13462/2010).
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione
dell’art. 1193 c.c. e degli artt. 1237 c.c. e 2728 c.c., in relazione al disposto dell’art.45 R. D. 05.12.1933 n. 1669, nonché dell’art.2697 c.c., ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c., in combinato disposto con l’omessa motivazione ai sensi dell’art.360 n.5 c.p.c.’.
Lamenta che la corte territoriale ha erroneamente ritenuto raggiunta la prova circa l’efficacia estintiva dei pagamenti fatti dalla COGNOME sul presupposto dell’avvenuta produzione da parte di quest’ultima dei titoli cambiari, senza indagare la loro riferibilità al credito azionato dal COGNOME e senza correttamente interpretare la prova contraria da questi offerta.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Sollecita, al pari del primo motivo, una rivalutazione della quaestio facti ed evoca la violazione dell’art. 2697 cod. civ. senza rispettare gli insegnamenti di questa Suprema Corte (v. Cass. n. 26769 del 2018, che, ex multis , ribadisce l’assunto di Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, (enunciato in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, e cioè che ‘In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni’).
La violazione delle norme evocate nella rubrica del motivo è dedotta solo come conseguenza di una inammissibile rivalutazione del fatto e della prova.
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
contro
ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza