Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3927 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3927 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 22402/2022 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in FIRENZE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
nonché contro
COMUNIONE EREDITARIA COGNOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 537/2022 depositata il 18/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le osservazioni del P.M., nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Nel 2007 mancava ai vivi NOME COGNOME lasciando un testamento che designava NOME COGNOME, sua nipote ex filia, erede per la quota disponibile con riferimento ad un immobile a Forte dei Marmi. La comunione ereditaria vede come partecipanti, oltre a NOME COGNOME le figlie di NOME, NOME e NOME (rispettivamente zia materna e madre di NOME). Amministratore è il commercialista NOME COGNOME. Il testamento viene impugnato dalle figlie di NOME, ma la sua validità è confermata dal Tribunale di Prato nel 2014, con una sentenza ancora sottoposta ad appello. Nel 2013, NOME COGNOME ha ottenuto una sentenza dal Tribunale di Firenze che ordinava la consegna delle chiavi dell’immobile di Forte dei Marmi da parte di NOME e NOME COGNOME. L’esecuzione di questa sentenza, avvenuta nel novembre del 2013, ha portato NOME COGNOME a conoscenza di una delibera dei partecipanti alla comunione ereditaria, adottata in sua assenza il 13/08/2013. A questa riunione erano presenti NOME e NOME, mentre risultava assente (oltre a NOME COGNOME anche l’amministratore. In tale riunione le due sorelle deliberavano di riconoscere a NOME COGNOME, marito di NOME e padre di NOME, un credito di circa € 87.450,00 per spese da lui sostenute per interventi sull’immobile e deciso di compensare tale credito con i canoni di un contratto di locazione dell’immobile tra le
sorelle e NOME. Il contratto di locazione relativo all’immobile di Forte dei Marmi veniva stipulato il 17/08/2013 tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME Il contratto veniva successivamente registrato il 16/09/2013 e prevedeva un canone di locazione annuo di € 20.000 per un periodo di quattro anni rinnovabili. Il pagamento del canone del primo quadriennio sarebbe stato compensato con il credito riconosciuto a NOME COGNOME nell’assemblea del 13/08/2013.
Questi gli antefatti della controversia attuale. Nel dicembre 2013 NOME COGNOME conveniva NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Firenze, per l’impugnazione della delibera assembleare del 13/08/2013, chiedendo di escludere ogni debito nei confronti di NOME COGNOME L’attrice sosteneva di non essere mai stata convocata validamente e di essere appunto venuta a conoscenza della delibera solo a novembre 2013, in occasione dell’esecuzione per la consegna delle chiavi. NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME eccepivano l’incompetenza territoriale del Tribunale di Firenze sulla questione della locazione, indicando la competenza del Tribunale di Lucca. Contestavano inoltre la loro legittimazione passiva (sostenevano che, essendo la delibera assembleare un atto collettivo della comunione ereditaria, non erano personalmente legittimati come singoli partecipanti) e affermavano di aver inviato regolare convocazione. NOME COGNOME proponeva domanda riconvenzionale per il credito verso NOME COGNOME pari a € 19.433,33, corrispondente alla rispettiva quota del credito complessivo. NOME COGNOME COGNOME assumeva una posizione defilata, riconoscendo la validità della delibera per la propria quota. NOME COGNOME rimaneva contumace. Nel 2016 il Tribunale di Firenze dichiarava invalida la delibera del 13/08/2013, inopponibile a NOME COGNOME il contratto di locazione e prescritto il credito di NOME COGNOME. La Corte di appello ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado. Ha richiamato l’esistenza di due lettere raccomandate
inviate dai genitori a NOME COGNOME nel contesto della convocazione assembleare e della successiva comunicazione della delibera. La prima lettera è stata redatta il 3/8/2013 e spedita il 5/8/2013 all’indirizzo statunitense di NOME COGNOME Il Tribunale di primo grado ha ritenuto che tale lettera non contenesse la convocazione dell’assemblea del 13/8/2013, bensì una comunicazione diversa (una lettera personale del padre). Questa interpretazione si è basata sul documento prodotto da NOME COGNOME, che non è stato specificamente contestato da NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME. La seconda lettera è stata spedita il 2/9/2013 e conteneva il verbale della delibera assembleare e le chiavi dell’immobile. Questo plico è stato restituito al mittente con la dicitura « Refused -Returned to sender » e successivamente consegnato da NOME COGNOME all’ufficiale giudiziario durante un’esecuzione coattiva. Il Tribunale di Firenze ha ritenuto invalida la delibera del 13/8/2013 per mancanza di prova di una valida convo cazione dell’assemblea e per l’assenza di elementi sufficienti a dimostrare un rifiuto imputabile a NOME COGNOME in relazione al plico del 2/9/2013. Di conseguenza, ha escluso che la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. potesse operare. La C orte di appello, invece, ha riformato questa parte della sentenza. Ha ritenuto che la mancata ricezione della convocazione non fosse decisiva ai fini della validità della delibera, in quanto NOME COGNOME era comunque stata posta in condizione di conoscerla attraverso il plico del 2/9/2013. Ha applicato la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. in relazione a quest’ultimo, giudicando che la spedizione fosse sufficiente a far decorrere i termini per l’impugnazione. Pertanto, ha considerato tardiva ex art. 1109 co. 2 c.c. l’impugnazione della delibera da parte di NOME COGNOME e ha dichiarato valida la delibera del 13/8/2013. Di conseguenza, il contratto di locazione derivante dalla delibera è stato dichiarato opponibile a NOME COGNOME Tuttavia, la Corte ha rigettato la domanda riconvenzionale di NOME COGNOME confermando la prescrizione del credito.
Ricorre in cassazione NOME COGNOME con tre motivi. Resiste NOME COGNOME con controricorso, illustrato da memoria. Resistono NOME COGNOME e NOME COGNOME con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 1335 c.c., nonché degli artt. 5, 6 e 17 e ss. della Convenzione dell’Aja del 15/11/1965 (resa esecutiva con l. n. 42/1981), della Convenzione postale universale (d.p.r. n. 358/1981), degli artt. 1109 co. 1 n. 2, 1105 co. 3 c.c., e 2697 c.c. Si censura altresì omesso esame circa fatti decisivi relativi al mancato perfezionamento del procedimento di notificazione. Si afferma che la Corte di appello abbia erroneamente applicato la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., ritenendo tardiva l’impugnazione della delibera assembleare nonostante il plico raccomandato non sia mai entrato nella sfera di conoscibilità della destinataria. Si rileva che la raccomandata contenente la delibera è stata restituit a al mittente con un’indicazione di ‘rifiuto’ non attribuibile alla destinataria, mancando una valida attestazione da parte dell’ufficio postale statunitense. Si osserva inoltre che l’assenza di elementi probatori sull’effettiva conoscenza da parte di NOME NOME avrebbe dovuto spostare l’onere probatorio sul mittente, impedendo l’applicazione della presunzione. Si contesta, inoltre, l’applicazione impropria del d.lgs. 261/1999, che disciplina la liberalizzazione del servizio postale senza regolare le modalità di esecuzione delle notifiche internazionali. Si richiama invece la Convenzione dell’Aja, che prevede specifiche formalità per garantire l’effettivo recapito degli atti all’estero. La mancata osservanza di tali formalità avrebbe dovuto condurre a dich iarare l’inesistenza di una valida notificazione. Si conclude che la sentenza impugnata ha indebitamente compresso i diritti difensivi della destinataria, invertendo l’onere probatorio e applicando una presunzione in assenza dei necessari presupposti, con evidente violazione di legge.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1418 e 1421 c.c., nonché degli artt. 2909 c.c., 651 e 654 c.p.p., evidenziando come la sentenza impugnata abbia omesso di rilevare la natura simulata della delibera assembleare e del contratto di locazione stipulato, circostanze già accertate con sentenza penale, divenuta definitiva in seguito a Cass. n. 8591/2022. La mancata considerazione della sentenza penale, ancorché non ancora passata giudicato al tempo del giudizio di appello, ha determinato una violazione del giudicato esterno, incidendo sulla validità degli atti impugnati e sulla loro opponibilità. Si censura, inoltre, il mancato esercizio dei poteri ufficiosi da parte del giudice d’appello, che avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità degli a tti simulati ai sensi degli artt. 1421 c.c. e 2909 c.c., in considerazione dell’evidenza documentale risultante dalle pronunce penali acquisite. Si afferma altresì che la sentenza d’appello non ha adeguatamente motivato sulle conseguenze della simulazione, determinando un pregiudizio alla giustizia sostanziale, nonostante l’acquisizione del giudicato penale che qualificava la condotta come fraudolenta.
– Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. censurando la decisione della Corte di appello di compensare integralmente le spese di lite relative al rapporto processuale tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, basandosi su una presunta reciproca soccombenza. Si evidenzia che tale statuizione ha riformato il capo della sentenza di primo grado, nonostante NOME COGNOME fosse risultato soccombente anche in appello. Si sottolinea che la compensazione delle spese è stata motivata dalla Corte di appello sulla base di un presupposto erroneo di reciproca soccombenza, anziché sulla presenza di ‘giusti motivi’. Pertanto, si sostiene che la doglianza sulla compensazione sia esaminabile dalla Corte di Cassazione per l’assenza di una ragione giuridica valida alla base della decisione.
-Il primo e il secondo motivo ricorso sollevano questioni di valenza nomofilattica in guisa tale che – considerati anche i risvolti
della controversia nel caso concreto – sollecitano il Collegio a rimettere la trattazione della causa all’udienza pubblica, affinché la trattazione e la decisione della causa possano giovarsi, oltre che del rinnovato contributo del P.M., in particolare della discussione orale ad opera delle parti.
P.Q.M.
La Corte rimette la trattazione della causa all’udienza pubblica. Così deciso in Roma, il 15/01/2025.