Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18446 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18446 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
OGGETTO:
sanzioni amministrative – commercializzazione di molluschi di misura inferiore a quella minima
RG. 29199/2021
C.C. 11-6-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29199/2021 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato avverso la sentenza n.550/2021 della Corte d’ depositata il 16-4-2021,
contro
ricorrente appello di Venezia, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 11-6-2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME quale titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, ha proposto avanti il Tribunale di Venezia opposizione all’ordinanza -ingiunzione a lui notificata il 5-2-2019, con la quale la Capitaneria di Porto della Guardia Costiera di Venezia gli aveva irrogato la sanzione amministrativa di Euro 6.500,00 per la
violazione dell’art. 10 co.2 lett. b) d.lgs. 9 -1-2012 n. 4 come modificato dall’art. 39 legge 28 -7-2016 n. 154 e All. III Reg. (CE) n. 1967/2006, art. 89 d.P.R. 2-10-1968 n. 1639, sanzionata dall’art. 11 co. 5 e 6 d.lgs. 4/2012, per avere in data 30-9-2016 commercializzato una partita di molluschi cannolicchi di peso compreso tra kg. 5 e kg. 50 di misura inferiore a quella minima consentita di cm.8.
Il Tribunale di Venezia ha rigettato l’opposizione, NOME COGNOME ha proposto appello, che con sentenza n. 550/2021 pubblicata il 16-42021 la Corte d’appello ha integralmente rigettato.
La sentenza ha considerato che l’appellante non contestava l’esistenza dell’infrazione nella sua materialità, ma sosteneva che non fosse esigibile la condotta consistente nell’esecuzione del controllo del prodotto da lui acquistato confezionato dal centro di spedizione dei molluschi; ciò perché il controllo avrebbe potuto essere eseguito soltanto attraverso l’apertura dei colli all’interno dei quali si trovava il prodotto, con condotta vietata dal Regolamento CE n. 853/2004, il quale prevedeva che i colli dovessero restare chiusi da quando lasciavano il centro di spedizione fino alla presentazione per la vendita al consumatore finale. Ha considerato che gli argomenti, volti a censurare l’affermazione del primo giudice secondo la quale era inverosimile che il rivenditore non avesse potuto rilevare, tramite un attento esame esterno delle confezioni dei molluschi, una percentuale di merce sottomisura pari a circa al 40% di quella esaminata, non coglievano nel segno; ha rilevato che era onere dell’appellante dimostrare di avere agito senza colpa e ciò l’appellante non aveva fatto neppure deducendo che l’apertura di uno dei colli avrebbe reso la merce non commerciabile, in quanto il rivenditore poteva anche rivalersi di quella perdita con l’applicazione di una maggiorazione al prezzo di vendita.
La sentenza ha altresì escluso che, facendo applicazione dei ‘criteri Engel’ , la sanzione amministrativa avesse natura punitiva e fosse sottoposta alle garanzie assicurate alla sanzione penale, quale la retroattività della lex mitior; quindi ha escluso che si applicasse la disposizione successiva più favorevole. Ha altresì escluso che la sanzione applicata fosse sproporzionata, in quanto il prodotto ittico sottomisura era pari al 40% del totale e in quanto il ricorrente non aveva dimostrato di avere eseguito alcun tipo di controllo.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME anche in qualità di titolare dell’impresa RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, già costituito nel giudizio di appello, è rimasto intimato.
A ll’esito della camera di consiglio del 16-10-2024 la Corte ha depositato ordinanza interlocutoria n. 28387/2024, con la quale, rilevando la nullità della notifica al Ministero eseguita presso l’Avvocatura distrettuale di Venezia, anziché all’Avvocatura Generale dello Stato come previsto dall’art. 11 r.d. 30 -10-1933 n. 1611, ha dato termine per la rinnovazione della notificazione. Rinnovata la notificazione in data 13-2-2025, in data 25-3-2025 il Ministero ha depositato controricorso, senza dimostrarne l’av venuta notifica alla controparte.
A ll’esito della camera di consiglio in data 11-6-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente deve essere rilevata l’inammissibilità del controricorso, in quanto depositato senza dimostrarne la notificazione al ricorrente, imposta dall’art. 370 cod. proc. civ. nella formulazione previgente al d.lgs. 10-10-2022 n. 149, che si applica alla fattispecie ex art. 35 co. 5 d.lgs. 149/2022 per il fatto che il ricorso è stato
notificato prima del I-1-2023 . Non può ipotizzarsi l’applicazione dell’art. 370 cod. proc. civ. nella formulazione attualmente vigente , secondo la quale è sufficiente il deposito del controricorso, per il fatto che la prima notifica del ricorso era nulla; ciò, sia perché è l’esecuzione di notifica che in sé abbia comportato l’instaurazione del giudizio a rilevare al fine di individuare le disposizioni applicabili secondo il contenuto letterale dell’art. 35 co. 5 d.lgs. 149/2023, che fa riferimento ‘ai giudizi introdotti con ricorso notificato’ a decorrere del I -1-2023, sia perché la rinnovazione della notificazione ha effetti ex tunc ai sensi dell’art. 291 co. 1 cod. proc. civ.
2. Il primo motivo di ricorso è intitolato ‘ violazione degli artt. 115, 116, 132 c.p.c., artt. 24, 111, comma 6, Costituzione della Repubblica Italiana, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., in quanto confliggente con i principi del giusto processo e del diritto alla prova che ne costituisce una delle scansioni necessarie e ineludibili’. Il ricorrente evidenzia di avere spiegato nei gradi di merito che l’unico controllo che egli poteva fare era quello visivo, aggiunge che aveva chiesto l’ammissione di prova testimoniale, formulando dodici capitoli di prova che trascrive in ricorso; lamenta che, senza ammettere i capitoli di prova e senza esporre le ragioni per le quali la prova non sarebbe stata utile, la Corte d’appello abbia affermato che il ricorrente non ave sse assolto all’onere di provare di avere agito senza colpa. Quindi sostiene che la sentenza sia viziata ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. in quanto confliggente con i principi del giusto processo e del diritto alla prova, non avendo la Corte d’appello spiegato le ragioni per le quali le dichiarazioni testimoniali non potessero essere risolutive.
2.1.Il motivo è infondato.
Si deve richiamare il principio generale secondo il quale, in tema di sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 3 legge 689/1981 è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della
condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo ha commesso, riservando poi a questi l ‘onere di provare di avere agito senza colpa; ne deriva che l’esimente della buona fede, applicabile anche all’illecito amministrativo, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa -al pari di quanto avviene per la responsabilità penale, in materia di contravvenzioni- solo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso (Cass. Sez. 2 11-6-2007 n. 13610 Rv. 597317-01, Cass. Sez. 2 31-7-2018 n. 20219 Rv. 649910-01, Cass. Sez. 6-2 18-6-2020 n. 11777 Rv. 65821201). Non si rinvengono precedenti relativi all’elemento soggettivo con s pecifico riferimento all’illecito amministrativo di cui si discute, ma si registra il precedente di Cass. pen. Sez. 3, Sentenza n. 44945 del 2007, che ha pronunciato sulla contravvenzione di cui all’art. 24 legge 963/1965 con riferimento all’art. 15 lett.c), per avere posto in commercio quattro confezioni di kg. 2 ciascuna di vongole ‘sotto misura in quanto inferiori ai 250 min’. Per quanto è qui di interesse in ordine all’elemento soggettivo dell a contravvenzione, a fronte degli argomenti dell’imputato secondo i quali -tra l’altro – il confezionamento del prodotto era eseguito da altra ditta e l’acquisto da parte della sua ditta era avvenuto del prodotto già confezionato in sacche a maglie strette, così da presumere che il prodotto fosse conforme alla norma, Cass. pen. 44945/2007 ha statuito che il legale rappresentante della ditta che commercializzava il prodotto era tenuto a disporre tutte le misure idonee a evitare l’acquisto e la rivendita di prodotti ittici sottomisura, mediante appositi controlli, che in quel caso non erano
stati eseguiti né da lui né dai suoi dipendenti. Si tratta di principio valevole anche nella fattispecie, in quanto l’onere di dimostrare di avere agito senza colpa al fine di superare la presunzione di colpa posta dall’art. 3 legge 689/1981 non può essere soddisfatto dalla dimostrazione di una condotta qualsiasi; può essere soddisfatto esclusivamente dalla dimostrazione di una condotta indicante che il soggetto ha fatto quanto possibile per rispettare il precetto, e cioè, nella fattispecie, indicante che ha posto in essere i controlli necessari a evitare l’acquisto e la rivendita del prodotto ittico sottomisura.
Procedendo perciò alla disamina dei capitoli di prova orale dei quali il ricorrente lamenta la mancata ammissione da parte del giudice di merito, al fine di accertare se i capitoli siano finalizzati a dare la prova della quale il ricorrente era onerato, se ne deve escludere qualsiasi rilevanza. I primi tre capitoli sono relativi all’attività svolta dalla ditta, per cui sono in sé pacifici o irrilevanti al fine della dimostrazione dell’assenza di colpevolezza ; il quarto capitolo, relativo al fatto che il prodotto era consegnato in retine, riguarda circostanza che già la sentenza impugnata ha dato per acquisita e perciò non necessitante prova. I capitoli quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e dodicesimo, riferiti al fatto che la merce una volta consegnata alla ditta proseguiva immediatamente il trasporto per la consegna al successivo destinatario a Venezia, al fatto che il trasporto deve essere eseguito con celerità, al fatto che in quei passaggi le retine non venivano e non potevano neppure venire aperte, al fatto che la ditta disponeva un impianto di RAGIONE_SOCIALE, al fatto che il personale poteva visionare il contenuto delle retine solo dall’esterno, diversamente da quanto avviene allorché il pesce era acquistato in casse aperte, anziché dimostrare l’assenza di colpa del ricorrente, la confermano: proprio per il fatto che la consegna e il trasporto del prodotto avveniva nei termini descritti, tale da non consentire la
verifica delle dimensioni dei molluschi al momento della consegna, il titolare della ditta, per escludere la sua responsabilità, avrebbe dovuto dimostrare di avere posto in essere altre misure di controllo, finalizzate a evitare l’acquisto e la rivendita di prodotto sottomisura. Quindi, neppure il capitolo 11, finalizzato a chiedere al teste se le retine della partita di molluschi in oggetto mostrassero esternamente esemplari sottomisura, risulta utile a escludere la colpa del titolare della ditta, in quanto non si trattava di circostanza volta a dimostrare la predisposizione di sistema di controllo adeguato a escludere il rischio di commercializzare prodotto sottomisura. Invece, controlli adeguati sarebbero stati quelli individuati dalla sentenza impugnata, riferiti all’apertura a campione di qualche retina (che poi non sarebbe stata posta in vendita), o comunque tutti i controlli volti a verificare le dimensioni dei molluschi al momento dell’insacchettamento .
Ne consegue che la mancata ammissione delle istanze istruttorie da parte della sentenza impugnata non può integrare neppure vizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. -a prescindere da ogni questione sull’ammissibilità della riqualificazione del motivo in tal senso – perché non sussiste l’omesso esame di fatti decisivi, non avendo le circostanze che la parte ha chiesto di provare il requisito della decisività al fine di escludere l’elemento soggettivo dell’illecito . Non è configurabile neppure la violazione dei principi regolatori del giusto processo, in ordine alla violazione del diritto della parte alla prova, in quanto la censura concernente la violazione dei principi regolatori del giusto processo deve avere carattere decisivo e, cioè, deve incidere sul contenuto della decisione, arrecando effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass. Sez. 3 14-12-2024 n. 32574 Rv. 673114-02).
3. Il secondo motivo è intitolato ‘ violazione dell’art.1, comma 2, Legge 24.11.1981 n. 689, dell’art. 7, comma 11, D.Lgs. 150/2011, degli artt. 6 e 7, comma 1, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
siglata a Roma il 4-11-1950 e successive modifiche, art. 49 CDFUE, artt. 3, 25 e 111, comma 6 Costituzione della Repubblica Italiana, con conseguente falsa applicazione dell’art. 11, comma 5 e 6, D.Lgs. n. 4/2012, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’. Con esso il ricorrente lamenta che la sanzione sia stata quantificata sulla base dei limiti edittali previsti dall’art. 11 co.5 lett. b) D.Lgs. 4/2012 nella formulazione vigente fino al 29-3-2019, che prevedeva sanzione da Euro 2.500,00 a Euro 15.000,00, per ché l’art. 11 -ter co.1 lett. b) n.3 d.l. 29-3-2019 n. 27 conv. con mod. dalla legge 21 maggio 2019 n. 44 ha ridotto la sanzione, prevedendo per la fattispecie -oltre 5 kg. e fino a 25 kg. di pescato di taglia inferiore alla taglia minima- sanzione da Euro 250,00 a Euro 1.500,00; sostiene che la sentenza impugnata avrebbe dovuto applicare la normativa sopravvenuta più favorevole, essendo la fattispecie sostanzialmente punitiva.
3.1.Il motivo è infondato.
Secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, in materia di illeciti amministrativi non è possibile applicare la legge successiva più favorevole in quanto il relativo principio penalistico non si estende, in mancanza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative; per le sanzioni amministrative vale il principio di irretroattività di cui all’art. 1 legge 689/1981, che comporta l’assoggettamento dell’illecito alla legge del tempo in cui è stato commesso e la conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole (Cass. Sez. 2 28-4-2022 n. 13336 Rv. 664620-01, Cass. Sez. 2 18-8-2020 n. 17209 Rv. 658959-01, Cass. Sez. 2 16-4-2018 n. 9269 Rv. 648084-01). L’inapplicabilità del principio di retroattività della legge successiva più favorevole in ambito di sanzioni amministrative è stata confermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 193/2016, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 legge
689/1981 nella parte in cui non prevede l’applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi; la sentenza ha rilevato come non si rinvenga nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative. Come si legge da ultimo in Cass. Sez. 2 10-8-2023 n. 24375 (Rv. 668803-02), neppure la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha mai avuto a oggetto il complessivo sistema delle sanzioni amministrative, ma singole e specifiche discipline sanzionatorie che, pur qualificate come amministrative nell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche punitive alla luce de ll’ordinamento convenzionale. Q uindi, deve escludersi l’equiparazione del la sanzione amministrativa a quella penale in termini assoluti e astratti, ma deve anche escludersi che nella fattispecie i c.d. ‘ criteri Engel ‘ consentano di qualificare la sanzione come punitiva; ciò perché già la sentenza impugnata, facendo applicazione dei criteri predetti, ha esattamente escluso la natura punitiva della sanzione in questione e, in via assorbente rispetto a ogni ulteriore considerazione, neppure l’entità massima della sanzione -pari a Euro 15.000,00 e che il ricorrente lamenta non sia stata considerata dalla sentenza impugnata- è tale da fare ritenere la natura sostanzialmente penale della sanzione.
4.In conclusione il ricorso è interamente rigettato.
Nulla sulle spese del giudizio di legittimità, stante l’inammissibilità del controricorso.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione