Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21411 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21411 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORCOGNOMENZA
sul ricorso 28869/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e COGNOME NOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2357/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME, esponendo di avere dato in prestito alla convivente NOME COGNOME la somma di € 80.000,00, perché
NOME potesse far fronte ai mutui ipotecari stipulati per l’acquisto di due immobili, in uno dei quali il COGNOME andò a vivere insieme a NOME, col patto che laddove la COGNOME non fosse stata in grado di restituirgli il denaro gli avrebbe intestato il più piccolo dei due immobili; che dopo due anni dal sopraggiunto matrimonio i due si erano separati e che vanamente aveva chiesto la restituzione della somma data in prestito, citò la COGNOME perché fosse condannata al pagamento dell’anzidetto ammontare, maggiorato di rivalutazione e interessi.
1.1. Il Tribunale accolse la domanda.
La Corte d’appello di Venezia rigettò l’impugnazione della convenuta soccombente, disattendendo le censure da NOME prospettate, con le quali aveva addotto vizio motivazionale nel vaglio probatorio, la sussistenza di cause incompatibili con l’avversa pretesa (obbligazione naturale, rimborso, donazione).
NOME COGNOME propone ricorso sulla base di due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Nel corpo del primo motivo (nell’intestazione del quale viene genericamente denunciata erronea applicazione di legge) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata era incorsa in errore, avuto riguardo alla valenza degli artt. 1813 e 2697 cod. civ.
Ripercorrendo la parte motiva censurata, la COGNOME sostiene che la controparte non aveva provato il titolo della dazione, come era suo onere, che la somma era stata utilizzata per spese familiari, che la testimonianza del padre del controricorrente era inattendibile, oltre che inammissibile, trattandosi di teste avente interesse all’esito della causa, nel mentre la Corte di merito aveva obliterato altre testimonianze.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti controversi e decisivi.
La RAGIONE_SOCIALE, riallacciandosi a quanto esposto nel primo motivo, contesta la ricostruzione fattuale:
la controparte non aveva dimostrato che si trattava di denaro proveniente da accantonamenti stipendiali;
il COGNOME era comproprietario al 25% di due capannoni;
la testimonianza valorizzata dalla sentenza era <>;
-era stato violato l’art. 2697 cod. civ., non avendo il Giudice d’appello tenuto conto del fatto che la somma era stata versata in un conto corrente sul quale gravavano tutte le spese di famiglia, il cui elenco era stato riportato in sede di comparsa conclusionale in primo grado e in questa sede variamente dalla pag. 13 in poi;
<>.
Entrambi i motivi, tra loro collegati e perciò scrutinati unitariamente, sono inammissibili per il convergere d’una pluralità di ragioni.
All’evidenza, la ricorrente assegna del tutto impropriamente al giudizio di legittimità la funzione d’un ipotetico terzo grado di merito.
6.1. È del tutto palese che attraverso la denunzia di violazione di legge la RAGIONE_SOCIALE sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimità, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
6.2. Si è già affermato che deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga
un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Sez. 2, n. 10927, 23/04/2024, Rv. 670888 -01). E qui è evidente che la ricorrente, ‘mettendo nelle mani’ del giudice di legittimità tutti gli argomenti e le allegazioni del giudizio di merito, mira a un vero e proprio riesame.
6.3. Sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Peraltro, l’omesso esame non sarebbe stato, in ogni caso, ipotizzabile, non vertendosi in ipotesi di mancata considerazione di un fatto storico-documentale, avente carattere di decisività, bensì, come già sopra s’è detto, di rivendicazione d’un diverso apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass. n. 18886/2023).
6.4. La critica alla ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016,
Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
6.5. L’evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata
violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
In conclusione il ricorso merita rigetto.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 29