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Prestazioni accessorie: quando si maschera un appalto?

Un gruppo di lavoratori, dipendenti di una cooperativa, ha citato in giudizio sia il loro datore di lavoro che una società committente, chiedendo il riconoscimento della responsabilità solidale per retribuzioni non pagate. Il rapporto tra le due società era stato inquadrato come un obbligo di “prestazioni accessorie” legato alle azioni possedute dalla cooperativa nella società committente. La Corte di Cassazione ha stabilito che quando il valore di tali servizi è enormemente sproporzionato rispetto al conferimento di capitale, il rapporto deve essere qualificato come un contratto di appalto, con conseguente applicazione della responsabilità solidale.

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Prestazioni Accessorie: Schermatura Societaria o Contratto di Appalto?

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 5316 del 2024, affronta una questione cruciale al confine tra diritto societario e diritto del lavoro: i limiti e la natura delle prestazioni accessorie previste dall’art. 2345 c.c. Questa pronuncia chiarisce quando un rapporto formalmente inquadrato come obbligo societario nasconda, in realtà, un vero e proprio contratto di appalto, con importanti conseguenze sulla tutela dei lavoratori.

I Fatti di Causa: Un Legame Societario Anomalo

Il caso ha origine dalla domanda di un gruppo di lavoratori, dipendenti di una cooperativa sociale Onlus operante nel settore dei servizi riabilitativi. La cooperativa era stata posta in liquidazione coatta amministrativa, lasciando i lavoratori senza retribuzioni e TFR. I lavoratori hanno quindi agito in giudizio non solo contro la cooperativa (loro datore di lavoro formale), ma anche contro una Società per Azioni committente, chiedendo che venisse accertata la responsabilità solidale di quest’ultima per i crediti maturati, ai sensi della normativa sugli appalti (art. 29, D.Lgs. 276/2003).

Il legame tra le due società era peculiare: la cooperativa Onlus era socia della S.p.A. e, in virtù di azioni di una categoria speciale, era tenuta a fornire prestazioni accessorie a favore della S.p.A. Tali prestazioni consistevano proprio nei servizi riabilitativi svolti dai lavoratori ricorrenti. La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, ritenendo che questo legame societario escludesse la configurabilità di un contratto di appalto, qualificando le attività come mero adempimento di un’obbligazione sociale.

La Questione delle Prestazioni Accessorie e l’Appalto

Il nodo centrale della controversia, portato all’attenzione della Cassazione, è stato proprio la corretta interpretazione delle prestazioni accessorie. I ricorrenti hanno sostenuto che la sproporzione tra il valore del conferimento in conto capitale (pari a 41.000 euro) e l’enorme valore delle prestazioni fornite (stimate in oltre 4 milioni di euro annui) snaturava l’istituto delle prestazioni accessorie, facendolo sconfinare in un vero e proprio contratto di appalto di servizi.

La Corte Suprema ha accolto questa tesi, ribaltando la decisione di merito. Ha affermato un principio di diritto fondamentale: le prestazioni previste dall’art. 2345 c.c. devono mantenere un carattere di accessorietà rispetto alla partecipazione sociale. Devono essere strumentali e di valore necessariamente inferiore alla prestazione principale del socio, che è la partecipazione al capitale sociale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio, stabilendo che la Corte d’Appello territoriale dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati. Secondo i giudici di legittimità, la palese sproporzione economica tra conferimento e servizi erogati è un indice inequivocabile che qualifica il rapporto tra le due società, almeno nei confronti dei lavoratori (che sono terzi rispetto al patto sociale), come un contratto di appalto.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su una distinzione netta tra il rapporto societario interno (tra la S.p.A. e la sua socia, la cooperativa) e il rapporto esterno con i lavoratori. Sebbene la cooperativa fosse legata da un obbligo statutario, la sostanza economica dell’operazione era quella di una fornitura di servizi. Il vincolo societario non può essere usato come uno schermo per eludere le tutele previste dalla legge in materia di appalti, in particolare la responsabilità solidale del committente.

La Cassazione ha evidenziato la contraddittorietà della sentenza d’appello, che da un lato aveva riconosciuto la possibilità di proseguire il giudizio contro la sola società committente (invocando implicitamente le norme sulla solidarietà nell’appalto), ma dall’altro aveva negato nel merito l’esistenza stessa dell’appalto. Per la Suprema Corte, la qualificazione del rapporto come appalto si impone quando le prestazioni fornite dal socio, per valore e natura, travalicano la funzione accessoria e diventano l’oggetto principale dello scambio economico tra le parti.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un importante monito per le imprese che utilizzano strutture societarie complesse per organizzare la fornitura di servizi. La forma giuridica non può prevalere sulla sostanza economica dei rapporti, specialmente quando sono in gioco i diritti dei lavoratori. Il principio di accessorietà non è un mero formalismo, ma un requisito sostanziale che, se violato, porta a riqualificare il rapporto. Per i lavoratori, questa decisione rafforza la possibilità di far valere la responsabilità solidale del committente anche in presenza di sofisticati schemi societari, garantendo una tutela più efficace dei loro crediti da lavoro.

Cosa distingue le prestazioni accessorie di un socio da un contratto di appalto?
Il criterio distintivo fondamentale è il principio di accessorietà e proporzionalità. Le prestazioni accessorie, per essere tali, devono avere un valore necessariamente inferiore e una funzione strumentale rispetto alla partecipazione al capitale sociale. Se il valore delle prestazioni è enormemente superiore a quello del conferimento, il rapporto si qualifica come un contratto di appalto.

Un rapporto societario tra due aziende può escludere l’esistenza di un contratto di appalto tra le stesse?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’esistenza di un rapporto societario (in questo caso, una società socia di un’altra) non impedisce che tra le stesse parti si configuri un distinto e autonomo rapporto contrattuale, come un appalto. Ciò è particolarmente vero dal punto di vista dei lavoratori, che sono terzi rispetto all’accordo societario e hanno diritto alle tutele previste dalla legge.

Perché i lavoratori hanno potuto continuare la causa contro la società committente nonostante il loro datore di lavoro fosse in una procedura concorsuale?
Perché la legge (art. 29, D.Lgs. 276/2003) stabilisce una responsabilità solidale tra committente e appaltatore. Questo vincolo di solidarietà crea obbligazioni autonome. Di conseguenza, l’improcedibilità dell’azione verso l’appaltatore (soggetto a procedura concorsuale) non impedisce la prosecuzione del giudizio nei confronti del committente, che è un soggetto giuridico distinto e non coinvolto nella procedura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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