SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1204 2025 – N. R.G. 00001227 2019 DEPOSITO MINUTA 29 07 2025 PUBBLICAZIONE 29 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI BARI
Seconda Sezione Civile
La Corte d’appello, 2^ sezione civile, riunita in camera di consiglio, con l’intervento dei signori Magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott.
NOME COGNOME
Consigliere
avv. NOME COGNOME
G.A. Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II Grado iscritta al n. 1227 R.G. 2019 (alla quale è riunita quella contraddistinta dal n. 1297 R.G. 2019 ) relativa all’appello proposto avverso la sentenza n. 2661/2019 resa dal Tribunale di Bari il 21 giugno 2019, notificata il 25 giugno 2010, avente ad oggetto: compravendita – appalto – vizi dell’opera e risarcimento dannidecadenza e prescrizione
, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, , in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME per mandati allegati all’atto di appello ed alla comparsa di costituzione nel giudizio riunito n. 1297/2019, elettivamente domiciliati nel suo studio, in Bari
= Appellanti ed Appellati incidentali =
E
rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per mandato allegato all’atto di appello iscritto al n. R.G. 1297/2019 ed alla comparsa di costituzione nel giudizio R.G. n. 1227/2019, elettivamente domiciliato nello studio del primo, in Bari
= Appellante ed Appellato incidentale =
E
, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME per mandato allegato alle comparse di costituzione in entrambi i giudizi riuniti, elettivamente domiciliata nello studio del secondo, in Bari
-Appellata ed Appellante incidentale-
All’udienza collegiale del 7 luglio 2023, tenutasi mediante lo scambio di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., la causa è stata riservata per la decisione sulle conclusioni rassegnate dai difensori delle parti, depositate telematicamente ed accluse al fascicolo telematico del procedimento, il cui contenuto è da intendersi qui integralmente trascritto, con la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c.
– SVOLGIMENTO DEL PROCESSO –
Con atto di citazione notificato il 4/02/2014, , premesso di aver acquistato in data 23/10/2008 dalla società (successivamente posta in liquidazione) un immobile di nuova costruzione ubicato in un ampio complesso edilizio costituito da residenze tipo ‘ville’ con circostante giardino pertinenziale, in località INDIRIZZO INDIRIZZO in agro di Noicattaro, costruito dalla società (anch’essa posta successivamente in liquidazione) convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Bari, la società venditrice, la società costruttrice, l’ing. direttore tecnico di quest’ultima, e l’ing. , progettista e direttore dei lavori, chiedendone la condanna in solido, ai sensi degli artt. 1490 e 1669 c.c., al risarcimento dei danni, quantificati in complessivi €. 107.649,55, rivenienti dai gravi difetti costruttivi (analiticamente indicati nel libello introduttivo) riscontrati sull’immobile all’esito di ATP, anche a fini conciliativi, espletato ante causam (di cui chiedeva disporsi l’acquisizione) per il tramite del CTU, ing. con relazione definitiva, resa all’esito delle osservazioni delle parti, del 6/11/2012, depositata il 7/11/2013.
Con comparsa depositata il 30/4/2014 si costituirono, con il patrocinio di un comune difensore, la la e l’ing. eccependo preliminarmente la decadenza e prescrizione dell’azione ex adverso promossa, nonché il difetto di legittimazione passiva della e del suo direttore tecnico, ing. Nel merito, contestarono la fondatezza della domanda attorea non sussistendo i denunciati vizi, né il nesso causale con le condotte ascritte alle parti convenute, risultando, peraltro, inapplicabile ai rapporti tra privati tra costruttore e acquirente (salva l’ipotesi derivante dalla presenza di patti contrattuali espressi) il D.P.C.M. 5/12/1997, sui requisiti acustici passivi degli edifici.
All’udienza del 28/5/2014, si costituì anche l’ing. il quale, nell’aderire alle eccezioni di decadenza e prescrizione sollevate dagli altri convenuti, a sua volta, contestò la fondatezza delle avverse domande per non essere a lui imputabili, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, alcun inadempimento agli obblighi a suo carico, quale progettista e direttore dei lavori, e per essere comunque insussistenti i vizi lamentati e la loro gravità.
Acquisiti l’ATP espletato ante causam e la documentazione in atti, il Tribunale, disattese le eccezioni preliminari di decadenza e prescrizione e riconosciuta la responsabilità di tutti i convenuti nella produzione dei danni lamentati dall’attrice, con la sentenza in epigrafe indicata, oggetto del presente gravame, ha così statuito:
<>.
Avverso la sentenza, la , la e in proprio, con atto notificato il 24/07/2019, hanno proposto appello, chiedendone, previa sospensione della sua efficacia esecutiva, la riforma con
l’ing l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
<>.
5.1. A fondamento del gravame, hanno dedotto i seguenti motivi:
5.1.1. primo motivo: difetto di legittimazione passiva dell’ing.
Il Tribunale, ad avviso degli appellanti, erroneamente valutando le eccezioni sollevate nel corso del giudizio ed omettendo di considerare circostanze ed aspetti rilevanti per la decisione, in violazione di plurime disposizioni di legge e con motivazione inesistente o comunque apparente e contraddittoria, aveva riconosciuto anche in capo all’ing. in qualità di direttore tecnico della società costruttrice, la responsabilità per gli asseriti vizi costruttivi lamentati dall’originaria attrice.
Il Primo Giudice aveva assunto tale decisione sul presupposto che la posizione del direttore tecnico di cantiere (qualità rivestita dall’ing. costituiva una figura apicale descritta dal d.lgs. 163/2006 (codice dei contratti pubblici, sostituito di recente
dal d.lg. 59/2016), incaricata ‘ dell’organizzazione, della gestione e della conduzione del cantiere ‘, il quale ‘ mantiene i rapporti con la Direzione dei lavori, coordina e segue l’esecuzione delle prestazioni in contratto e sovrintende all’adattamento, all’applicazione ed all’osservanza dei piani di sicurezza ‘, svolgendo anche ‘ un ruolo di fondamentale importanza per la garanzia della corretta applicazione delle misure di sicurezza nei cantieri ‘. Pur divergendo, in materia di appalto, le figure di direttore dei lavori e di direttore di cantiere profondamente tra loro -sia in relazione ai titoli professionali richiesti sia alle competenze, alla preparazione, alla responsabilità e alla provenienza dell’incarico (dal committente per il primo e dall’appaltatore per il secondo) sia in relazione alla misura dei compensi spettanti a ciascuna delle due figure professionali indicate, essendo, quelli del direttore tecnico pari al 50% di quelli spettanti al direttore dei lavori- e pur essendo specificamente e normativamente prevista la figura del direttore tecnico nell’organico delle imprese che intendevano accedere ai bandi di gara per gli appalti pubblici (possibilità questa espressamente contemplata nell’oggetto sociale della , nulla escludeva, tuttavia, che tale figura professionale fosse prevista anche nell’organizzazione imprenditoriale nel contesto di appalti privati, come era avvenuta nel caso di specie, non risultando peraltro limitazione alcuna riguardo a detto incarico nella visura camerale della
Peraltro, aveva soggiunto il Tribunale, l’assunto attoreo secondo cui, per tutta la durata del cantiere la aveva intrattenuto rapporti con l’ing. il quale, oltre ad aggiornarla sull’andamento dei lavori, aveva curato anche l’attuazione delle modifiche resesi necessarie in corso d’opera non era stato specificamente contestato dalla controparte. Di conseguenza, nulla escludeva che lo stesso potesse essere chiamato a rispondere, solidalmente ex art. 2055 c.c., a titolo extracontrattuale.
Secondo parte appellante, invece, come peraltro ampiamente dedotto nei rilievi preliminari esposti nell’atto di appello (pagg. 1/8) nel contratto di appalto (intercorso tra privati) avente ad oggetto l’edificazione dell’immobile acquistato dall’originaria attrice non era prevista la figura del direttore tecnico né alla stessa erano stati attribuiti compiti specifici in merito alla vigilanza sulla rispondenza delle opere eseguite a quelle previste in progetto e/o alle regole dell’arte, non avendone le competenze professionali in quanto ingegnere elettronico e spettando, comunque, dette competenze al direttore dei lavori; né era dirimente la mera circostanza, valorizzata dal primo Giudice, che l’ing. avesse interloquito con l’originaria attrice per aggiornarla sull’andamento dei lavori, curando anche l’attuazione delle modifiche resesi necessarie in corso d’opera, trovando tanto giustificazione nella circostanza pacifica, in quanto risultante dalla stessa visura camerale prodotta in atti, che l’ing. era al contempo legale rappresentante della società per cui era in tale veste che aveva interagito con la sig.ra durante l’esecuzione delle opere.
5.1.2. secondo motivo: prescrizione e decadenza dall’azione
Gi appellanti, deducendo anche con il motivo in epigrafe l’omessa considerazione di fatti e circostanze rilevanti per la decisione, il vizio di motivazione e, in ogni caso, la violazione di legge, assumono l’erroneità della sentenza impugnata per aver disatteso
le eccezioni di decadenza e prescrizione dell’azione ex adverso proposta ex artt. 1495 e 1669 c.c..
Segnatamente, il Tribunale aveva ancorato la decorrenza del prescritto termine annuale decadenziale al fine dell’ammissibilità della spiegata azione per vizi della cosa venduta e per gravi difetti dell’opera al deposito della relazione tecnica redatta dal CTU nell’intercorso procedimento per ATP ex art. 696 bis c.p.c. (unico momento, sempre a dire del Tribunale, in cui si sarebbe ravvisata la sicura conoscenza dei vizi), incurante dell’effettiva e sicura conoscenza in capo alla stessa controparte di tutti i (presunti) vizi lamentati sin da epoca di molto antecedente l’espletamento del predetto ATP.
Deducono al riguardo che già con missive del 19.10.2009 e del 19/09/2011 l’originaria attrice aveva denunciato la presenza dei vizi afferenti all’immobile da lei acquistato, dimostrando, altresì, soprattutto nella seconda, di aver acquisito conoscenza della loro causa e consistenza. Sicché, avendo poi proposto il ricorso per ATP dopo il decorso di un anno da tale ultima missiva, ella era certamente decaduta dall’azione di garanzia per la quale era in ogni caso maturato anche il termine prescrizionale previsto dagli artt. 1495 e 1669 c.c.
5.1.3. terzo motivo: erroneo accertamento dei danni risarcibili ed erronea liquidazione degli stessi.
Il Tribunale aveva riconosciuto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1495 e 1669 c.c., un risarcimento dei danni pari ad € 52.298,52 (di cui € 46.798,52 per le opere di ripristino e la svalutazione dell’immobile ed € 5.500,00 per gli oneri professionali riferiti al coordinamento della sicurezza, alla progettazione e alla direzione dei lavori). Era tuttavia evidente l’errore di calcolo (non rilevato dal primo Giudice) in cui era incorso il CTU nella quantificazione del danno con riferimento ai vizi acustici nonché l’inapplicabilità della norma UNI 11367/2010 quale parametro di svalutazione dell’immobile, con conseguente ingiusta ed inaccettabile duplicazione del danno accertato e riconosciuto proprio per i (presunti) vizi acustici.
Segnatamente, rilevano gli appellanti, il CTU, dopo aver inizialmente quantificato in complessivi € 22.083,22 (oltre ad € 1.512,40) per la minor superficie calpestabile) il costo delle opere idonee a garantire il rispetto dei parametri del D.P.C.M. 05/12/1997, aveva poi elaborato un nuovo computo metrico (condiviso dal Tribunale) che teneva conto delle osservazioni del CTP di parte attrice circa la necessità di eliminare i ponti acustici per via aerea. Tale ulteriore intervento, consentiva di inquadrare l’immobile nella classe II della norma UNI 11367. Il CTU aveva, pertanto, ritenuto spettante anche la perdita di valore dell’immobile nella misura del 5%, quale differenza tra un’immobile di classe I (ossia la classe più prestazionale in assoluto) e uno di classe II. Tanto, senza considerare che la norma UNI 11367/2010 era stata pubblicata nel 2010, ossia ben sei anni dopo l’approvazione del progetto (permesso di costruire del 04/05/2005) e due anni dopo la stipula del contratto di compravendita (23/10/2008), per cui la venditrice giammai avrebbe potuto impegnarsi a rispettare tali futuri parametri, la cui osservanza, peraltro, nemmeno è imposta da alcuna disposizione normativa, consentendo soltanto al venditore/costruttore di consentire al
venditore/costruttore di meglio qualificare il proprio prodotto e di informare l’acquirente sulle caratteristiche acustiche dalla propria abitazione.
Il rispetto dei valori del D.P.C.M 05/12/1997 collocava l’immobile, secondo la successiva classificazione UNI 11367, in classe III (prestazioni acustiche di base). Gli interventi ulteriori previsti dal CTU nel secondo computo metrico, quali i lavori per l’eliminazione dei ponti acustici, per la sostituzione degli infissi, delle bocchette e del portone blindato (il cui costo ammontava a € 6.490,30) consentivano l’inquadramento dell’immobile in classe II (e quindi in una classe migliorativa rispetto a quella che sarebbe risultata dal rispetto dai valori del D.P.C.M.).
il Giudice di primo grado, conseguentemente, recependo le conclusioni del CTU, aveva addebitato agli originari convenuti, oltre che degli interventi per l’adeguamento al D.P.C.M., anche di quelli migliorativi rispetto ai valori previsti dal D.P.C.M. per il raggiungimento di una classe acustica più prestazionale. Inoltre, aveva riconosciuto spettante l’ulteriore indennizzo di € 18.225,00, a titolo di svalutazione dell’immobile per la differenza tra la prima classe acustica e la seconda classe; indennizzo, quest’ultimo, calcolato sul prezzo di acquisto dell’intero immobile, laddove avrebbe dovuto rapportarsi alla sola superficie residenziale, con esclusione di quella non residenziale, pari al 56% di quella commerciale totale.
Ad avviso degli appellanti nemmeno erano dovuto il rimborso dei costi per porre rimedio ai riscontrati fenomeni di umidità di risalita lungo le pareti perimetrali di facciata e fenomeni infiltrativi nell’intercapedine, essendo l’impresa costruttrice tenuta a garantire la salubrità degli ambienti con funzione abitativa e non anche dell’intercapedine che assolve esclusivamente a una funzione tecnica.
La pronuncia è stata altresì impugnata dall’ing. che con atto di citazione notificato il 25/07/2019, ne ha chiesto a sua volta, la riforma con l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
<>.
Il gravame è stato affidato ai seguenti motivi:
6.1. primo motivo: erronea ed illegittima applicazione degli artt. 1495 e 1669 c.c.
Il Giudice di prime cure aveva disatteso le eccezioni di decadenza e prescrizione ex artt. 1495 e 1669 c.c., sollevate dalla società venditrice, da quella costruttrice e dal suo direttore tecnico, alle quali, esso appellante, quale obbligato in solido, costituendosi in giudizio aveva aderito, senza considerare che l’originaria appellante, quanto meno già
in data 19.09.2009 aveva acquisito piena consapevolezza degli asseriti vizi presenti sull’immobile, così come dimostrato dalla nota di pari data dalla stessa inoltrata alla sola
Quindi, alla data della proposizione del ricorso per ATP, notificato ad esso appellante in data a 15.01.2013, l’originaria attrice era decaduta, quanto meno nei confronti di esso appellante, dalla possibilità di azionare il rimedio di cui all’art. 1669 c.c., non avendo fatto denuncia dei vizi entro un anno dalla scoperta.
In ogni caso, stante la pregressa conoscenza dei vizi quanto meno già nel settembre 2009, l’azione avrebbe dovuto considerarsi prescritta.
6.2. secondo motivo: illegittima ed erronea qualificazione della gravità dei vizi e difetti ex art. 1669 c.c.
Il CTU officiato dell’ATP, la cui relazione era stata recepita dal Tribunale, aveva ritenuto che fossero imputabili a difetti costruttivi i fenomeni di risalita lungo le pareti perimetrali, laddove, in realtà, tali fenomeni -addebitabili, secondo l’ausiliare, alla ‘ estrema compattezza ed alla scarsa capacità drenante dell’ulteriore strato ‘ posto al di sotto del primo laddove- erano inesistenti in quanto presenti sul bordo del solaio e non sulla base della parete e consistevano nel mero distacco della pellicola superficiale del rivestimento esterno, come tale non inquadrabile nella categoria dei gravi difetti.
Nemmeno potevano qualificarsi come gravi difetti costruttivi l’umidità presente sulla parete esterna dell’intercapedine -costituendo funzione normale ed appropriata di detto elemento costruttivo quella di isolare e proteggere gli ambienti dell’edificio, operando appunto un distacco tra il terreno esterno e gli ambienti interni- e la rilevata mancanza dei c.d. rompigoccia nella copertina dei parapetti del terrazzo in quanto non impeditivi del normale utilizzo dell’immobile.
6.3. terzo motivo: erronea ed illegittima applicazione del DPCM 5.12.1997
Con il motivo in epigrafe, l’ing. denuncia, a sua volta, l’illegittima applicazione del DPCM 5.12.1997, emesso in attuazione della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/95, in quanto applicabile esclusivamente ai rapporti esterni e non ai rapporti tra privati.
Peraltro, assolutamente irrilevante e, quindi non produttivo di danni, era la differenza tra 49 db e 50 db rilevata dal CTU. Inoltre, nella specie, non era necessaria la misurazione di un potere fonoisolante tra unità immobiliari, in quanto trattavasi di una sola unità costituita da una villa il cui piano interrato era destinato a deposito. Relativamente alle misurazioni per via aerea degli elementi di facciata, attesa la natura particolare dell’immobile, i muri di facciata presentavano aperture e passaggi verso l’esterno che quindi alteravano i rilievi fatti dal CTU.
Infine, gli interventi suggeriti dal CTU non consideravano che in commercio erano presenti alternative tecniche in grado di soddisfare il potere fonoisolante, quali ad esempio iniezioni, che non incidevano sul valore dell’immobile né sui costi.
6.4. quarto motivo: erronea ed illegittima affermazione della responsabilità dell’ing. nella duplice veste di progettista e direttore dei lavori
Contrariamente a quanto affermato dal primo Giudice, esso appellante non rispondeva dei vizi riscontrati né come progettista né come direttore dei lavori.
A tutto concedere la causa dei detti vizi era dovuta alla qualità dei materiali utilizzati o alle modalità di esecuzione delle opere, la cui sorveglianza non poteva essere accollata al direttore dei lavori, avendo questi il compito di verificare che l’opera fosse realizzata in conformità al permesso di costruire e secondo le modalità in esso indicate, non anche quello di seguire i lavori e gli interventi dai quali erano dipesi i vizi riscontrati, la cui sorveglianza spettava all’impresa esecutrice ed al direttore di cantiere. Tanto anche con riferimento alla dedotta violazione del DPCM 5.12.1997, atteso che esso non era in alcun modo richiamato né nel permesso a costruire né nel successivo certificato di agibilità.
6.5. quinto motivo: erronea quantificazione dei danni, illegittima duplicazione della somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni.
Il Giudice di prime cure, con riferimento ai vizi acustici, aveva sostanzialmente duplicato i danni risarcibili avendo condannato i convenuti non solo al rimborso dei costi degli interventi di ripristino dell’immobile al fine di renderlo conforme alle norme in materia acustica (€ 28.573,52) ma anche, in aggiunta a tale somma, al pagamento di € 18.225,00 quale danno relativo alla svalutazione dell’immobile.
Era evidente che ove gli interventi di ripristino ove fossero stati sono sufficienti a rendere l’immobile conforme dal punto di vista acustico, non vi era spazio per l’ulteriore liquidazione a titolo di danno da svalutazione dell’immobile.
Né la causale di detta somma aggiuntiva poteva rinvenirsi nella norma UNI 11367/2010, essendo stata questa pubblicata nel 2010, e quindi a distanza di due anni dalla stipula dell’atto di compravendita oggetto di causa.
entrambe le impugnazioni sono state iscritte a ruolo, assumendo quella proposta dalla , dalla e dell’ing il n. 1227 R.G. 2019 e quella proposta dall’ing. il n. 1297 R.G. 2019.
si è costituita in entrambi i giudizi e, richiamati estensivamente i fatti di causa, né ha dedotto l’infondatezza chiedendone il rigetto. Ha, a sua volta, proposto appello incidentale, chiedendo, in parziale riforma dell’impugnata pronuncia, una miglior riliquidazione dei danni riconosciuti in suo favore. Segnatamente, ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
<>.
A fondamento dell’appello incidentale, ha dedotto i seguenti motivi:
8.1. primo motivo: erronea quantificazione dei danni: contraddittorietà tra motivazione e calcoli numerici
Il Giudice di prime cure, pur avendo pienamente riconosciuto, in motivazione, i vizi sia acustici che materiali, così come accertati e quantificati nella relazione di ATP (salvo il profilo di cui al motivo 2 dell’appello incidentale) tuttavia, nel calcolo dei danni, aveva omesso di riportare alcune poste individuate dal CTU a titolo di vizi acustici e di vizi materiali. Segnatamente: (a) quanto ai danni acustici, la posta di € 1.512,40, corrispondente alla diminuzione di valore dell’immobile per diminuzione dell’area calpestabile in seguito ai lavori di inspessimento dei muri. Sicché l’importo complessivo dovuto corrispondeva ad € 48.310,92 non anche al minor importo di € 46.798,52, liquidato in sentenza;
(b) quanto ai danni materiali, il CTU aveva calcolati i costi necessari ad eliminare i vizi costruttivi ritenuti gravi in € 10.101,76, oltre iva, ma in sentenza detto importo non era stato incluso nel calcolo dei danni complessivi.
8.2. secondo motivo: erronea quantificazione dei danni: errore nella lettura di parte della CTU
Erroneamente interpretando la CTU e, in particolare, la risposta data dall’ausiliare alle osservazioni del CTP di parte convenuta, il Tribunale aveva escluso che i ‘ fenomeni infiltrativi a soffitto del vano soggiorno e della cucina ‘ costituissero un grave difetto costruttivo, laddove il CTU, in quella risposta aveva sì richiamato le osservazioni sul punto del CTP dei convenuti, ma al contempo, aveva evidenziato che l’intervento sulla pavimentazione esterna del terrazzo del primo piano esulava comunque dal fenomeno infiltrativo verificatosi a soffitto della sala pranzo, risultando comunque, quella pavimentazione, realizzata in maniera non idonea e tale da presentare evidenti vizi. Sicché, tra i danni risarcibili, andava ricompresa l’ulteriore spesa di € 3.457,19 + iva, necessario al rifacimento della detta pavimentazione.
8.3. terzo motivo: mancata liquidazione del danno da spese logistiche
Il Tribunale aveva escluso la debenza del rimborso delle spese conseguenti agl’interventi riparatori per porre rimedio ai riscontrati vizi dell’immobile (quelle per smontaggio, carico, trasporto mobili, deposito mobili, pulizie, carico e montaggio mobili, soggiorno in hotel) sul presupposto che le stesse sarebbero state solo eventuali e comunque non erano state documentate.
Al contrario, trattavasi di spese certe e necessarie, considerato che i lavori di ripristino da eseguirsi avrebbero comportato l’indisponibilità dell’immobile per il periodo necessario alla loro esecuzione ed il temporaneo trasferimento dei mobili in altro luogo. Inoltre, le spese in questione erano state sia documentate che stimate nella relazione tecnica di parte a firma dell’ing. che le aveva quantificate in complessivi € € 17.931,60 oltre iva; anche tale importo avrebbe dovuto quindi riconoscersi in favore di essa appellante incidentale.
Ciascuna delle parti appellanti nei due giudizi come innanzi incardinati si è poi costituita in quello introdotto dall’altra, contestandosi, in particolare, da parte dell’ing il motivo del gravame spiegato dall’ing. olto all’accertamento del suo difetto di legittimazione passiva.
Accolta con ordinanza comunicata il 22/08/2019 l’istanza di inibitoria dell’impugnata sentenza e disposta la riunione del procedimento n. 1279 R.G. 2019 a quello preventivamente incardinato n. 1227 R.G. 2019, all’udienza del 7 luglio 2023, la causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe, è stata introitata a sentenza con concessione dei termini ex art.190 c.p.c..
=Motivi della decisione=
Richiamati i motivi dei gravami, principali ed incidentali, dedotti dalle parti a fondamento delle rispettive impugnazioni, assume carattere pregiudiziale l’esame delle eccezioni sollevate dagli appellanti principali ma disattese dal primo Giudice, di decadenza e prescrizione dell’azione proposta da (secondo motivo dell’appello principale nel procedimento R.G. 1227/2019 e primo motivo dell’appello principale nel procedimento R.G. 1279/2019 ).
11.1. Risulta dagli atti di causa che la la e l’ing.
costituendosi in giudizio eccepirono la decadenza dell’azione ex adverso per non essere stati denunciati i presunti vizi lamentati entro i termini di legge nonché la sua prescrizione per non essere stata promossa, l’azione, entro un anno dalla consegna della cosa e, comunque, dalla denuncia dei vizi.
11.2. Il Giudice di prime cure ha disatteso entrambe le eccezioni, tanto con riferimento al disposto dell’art. 1495 c.c. che dell’art. 1669 c.c., richiamando i noti principi giurisprudenziali secondo cui, sia nei riguardi della società venditrice che dell’appaltatore, il termine per la denunzia, trattandosi di vizi occulti, andava individuato nel momento in cui l’acquirente e/o committente o avente causa dallo stesso, avevano acquisito la certezza obiettiva del vizio, non essendo sufficiente il semplice sospetto. Nella specie, l’attrice aveva acquisito tale certezza solo con il deposito della relazione dei propri tecnici di parte in data 30/11/2012 e, ancor più, con il deposito della relazione tecnica redatta dal consulente nominato dall’ufficio nell’ambito del procedimento di cui all’art. 696 bis c.p.c. in data 8/11/2013. Nel suddetto procedimento di accertamento tecnico preventivo si erano costituite le parti convenute, per cui potevano ritenersi rispettati i termini di decadenza e di prescrizione dell’azione, esperita con il successivo atto di citazione del 4/2/2014.
11.3. La valutazione della vicenda operata dal primo Giudice, seppur fondata sul richiamo di condivisibili e consolidati orientamenti giurisprudenziale, non tiene tuttavia in debita considerazione la circostanza in fatto, documentalmente provata dagli appellanti principali che l’attrice, già con la nota raccomandata del 19/09/2011 (pervenuta il 27.09.2011) a firma dell’avv. COGNOME contestò formalmente alla società venditrice la presenza di diversi fenomeni infiltrativi, sia all’esterno che all’interno dell’immobile, precisando che ‘… al fine di descrivere esattamente detti fenomeni nonché la loro esatta natura, la mia cliente ha recentemente incaricato un proprio tecnico di fiducia al fine di elaborare una perizia tecnica sull’immobile di sua proprietà . All’esito di tale accertamento è emerso che l’immobile di proprietà presenta gravi vizi di realizzazione, sia nella parte interna che esterna dell’edificio, come si preciserà meglio di seguito e come è più compiutamente documentato nella perizia tecnica.
In primis, il rivestimento esterno dell’intonaco presenta in molte zone, rigonfiamenti distacchi dello strato di rifiniture, nonché varie lesioni in corrispondenza di componenti strutturali dell’edificio (cordoli, pilastri, architravi).
Inoltre, la presenza di umido sul soffitto dell’intercapedine dimostra come, in fase di costruzione, non sia stata adottata alcuna misura di controllo dell’acqua pluviale, circostanza avvalorata dal fatto che il piano di campagna si trova ad una quota più alta del piazzale circostante l’immobile.
In occasione di piogge, peraltro, si sono frequentemente verificate macchie di umido sia sul soffitto del soggiorno che della cucina.
Grazie all’esame effettuato con la termocamera è emersa la presenza di numerosi ponti termici diffusi sui muri perimetrali e sul soffitto di varie stanze. Inoltre, è emersa la mancata correzione dei ponti termici nei pressi degli infissi, oltre che nelle zone di
attacco tra i cassonetti e gli infissi stessi, che provoca infiltrazioni d’aria. Tutto ciò ha effetti negativi di tipo termico sull’immobile’.
Nella stessa missiva, l’avv. COGNOME segnalò che ‘ negli ambienti confinanti con la villa familiare adiacente, si avvertono rumori provenienti dall’immobile confinante, con ovvi risvolti negativi in termini di riservatezza per la mia cliente ‘.
Sempre con la citata missiva, il legale dell’attrice, richiamato l’art. 1669 c.c., qualificò la stessa come formale denuncia dei vizi descritti, dei quali solo con la perizia ivi richiamata aveva avuto piena contezza.
Dato il tenore testuale della missiva in parola, è di tutta evidenza che già all’epoca del suo inoltro, l’originaria attrice (quanto meno relativamente a vizi ivi descritti ed accertati per il tramite di un suo tecnico di fiducia, diversi da quelli inerenti ai problemi di isolamento acustico, per i quali la relativa problematica veniva solo segnalata) avesse avuto piena consapevolezza degli stessi e della loro derivazione causale.
11.4. Né per eludere integralmente gli effetti di detta missiva, ai fini dell’eccepita prescrizione, l’appellata può invocare le palesate incertezze circa l’origine dei vizi denunciati ed il loro carattere progressivo.
Tale deduzione può condividersi solo con riferimento agli anzidetti problemi di isolamento acustico tra immobili confinanti, atteso che, nella richiamata missiva, tale problematica viene sottoposta all’attenzione della venditrice, ma non risulta che la stessa sia stata sottoposta all’esame del tecnico di fiducia che aveva analizzato le altre.
Riguardo, invece, agli ulteriori vizi analiticamente descritti con la missiva in parola (la cui sussistenza è stata confermata sia nella relazione tecnica del 30/11/2012 e, in parte, nella relazione di CTU resa in sede di ATP) la stessa, non solo è stata redatta tramite un legale -per cui se ne deve desumere che, prima della sua redazione, il professionista avesse adeguatamente valutato tutti gli aspetti fattuali e legali della vicenda, tra i quali, appunto, la natura e la causa delle contestate infiltrazioni- ma in essa la sussistenza dei difetti costruttivi denunciati e la loro imputabilità all’appaltatore viene affermata in termini di certezza e non di mera probabilità.
In definitiva dalle stesse ammissioni dell’originaria attrice, contenute nella predetta missiva del 19/09/2011, si ricava che la stessa, già a quella data, con riferimento alle problematiche diverse da quelle inerenti all’isolamento acustico dell’immobile, avesse acquisito conoscenza e consapevolezza dei vizi ivi analiticamente descritti, per cui, onde evitare il maturare della prescrizione prevista dal secondo comma dell’art. 1669 c.c., entro il termine ivi previsto, avrebbero dovuto introdurre il giudizio ovvero compiere ulteriori altri atti idonei ad interromperne il decorso.
Nel caso di specie, invece, il ricorso per ATP è stato introdotto solo con ricorso del 4.12.2013, la cui notifica è stata tuttavia richiesta l’11.01.2013; quindi, dopo il decorso dell’anno non solo dall’invio di quella denuncia ma anche dall’inoltro del successivo nota fax del 07.12.2011, con la quale l’odierna appellata aveva ribadito la sussistenza dei vizi denunciati in riscontro alle giustificazioni addotte dalla con la propria nota del 29.10.2011.
Tanto, a prescindere dalla pur eccepita tardività della produzione della suddetta nota fax, in quanto allegata dall’originaria attrice soltanto alla terza memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., non anche alla seconda.
Gli effetti interruttivi e conservativi del ricorso per ATP si producono non dal momento del suo deposito in cancelleria ma da quello della sua notifica alle controparti (in tal senso, cfr. Cass. 19/02/2016, n.3357 e Cass. 08/09/2023, n.26225) avvenuta, come già detto, solo in data 11.01.2013.
In tema di appalto, la denuncia dei vizi cui all’art. 1669 c.c., infatti, non ha natura processuale e pertanto può essere effettuata anche mediante un atto stragiudiziale. Ciò comporta che l’atto interruttivo della prescrizione ad essa relativo si perfeziona in forza dell’avvenuta conoscenza da parte del destinatario senza che al riguardo possa trovare applicazione il principio di scissione degli effetti della notifica (in tali termini, cfr. Cass. 24/11/2022, n. 34648 che, nella specie, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto prescritta l’azione per essere spirato il termine annuale di cui all’art. 1669 c.c. all’atto della ricezione del ricorso, non rilevando all’uopo che il procedimento notificatorio fosse iniziato entro l’anno).
11.5. E’ indubbio, pertanto, l’errore di diritto in cui è incorso il primo Giudice, in quanto, se è vero che ai fini della tempestività della denuncia dei gravi difetti costruttivi contemplati dall’art. 1669 c.c., il termine decadenziale di un anno dalla loro scoperta può farsi decorrere solo dal momento in cui il soggetto danneggiato abbia acquistato un apprezzabile grado di conoscenza obbiettiva e completa, non solo della gravità dei difetti, ma anche, e soprattutto, del loro collegamento causale con l’attività di esecuzione dell’opera svolta dall’appaltatore e della loro incidenza sulla statica e sulla durata dell’immobile e che tale conoscenza, di norma, viene acquisita solo attraverso mirate indagini tecniche, è altrettanto vero che, una volta effettuata la denuncia (la quale implica l’avvenuto accertamento della natura e della causa dei danni lamentati) la proposizione del giudizio o di ulteriori atti interruttivi della prescrizione deve comunque effettuarsi entro il termine annuale previsto dal secondo comma della citata norma (Cfr.: Cass. 17/10/2017 n. 24486; Cass. 06/07/2001 n. 9199; Cass. 17/04/2002 n. 5496).
11.6. Quanto testé rilevato ai fini della ritenuta decorrenza della prescrizione ai sensi del secondo comma dell’art. 1669 c.c., vale a maggior ragione per quella prevista dall’art. 1495 c.c., essendo indubbio che l’azione proposta, pure per far valere la garanzia per vizi della cosa venduta, è stata comunque esercitata decorso l’anno dalla consegna della cosa e, comunque, dopo gli otto giorni dalla loro scoperta.
11.7. Della riscontrata prescrizione può giovarsi anche l’ing.
Egli, pur essendosi costituito tardivamente all’udienza del 28/5/2014, dichiarò di aderire alle eccezioni preliminari di decadenza e prescrizione proposte tempestivamente dagli altri convenuti.
Tanto, in ossequio all’insegnamento della Suprema Corte, da ultimo ribadito da Cass. 03/04/2025, n. 8837, secondo cui ‘ In tema di obbligazioni solidali, la prescrizione eccepita da uno dei coobbligati ha effetto estintivo del rapporto obbligatorio anche nei
confronti degli altri, ogniqualvolta dalla mancata estinzione generalizzata possano derivare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente, sempre che il coobbligato non abbia rinunciato espressamente a far valere la prescrizione, ovvero, dopo essersi costituito in giudizio, abbia omesso di eccepirla a sua volta ‘ (conf. Cass. 22/03/2021), n.7987).
Nel caso di specie è di tutta evidenza che il mancato riconoscimento degli effetti estintivi della prescrizione anche nei confronti dell’ing. esporrebbe gli altri coobbligati tempestivamente eccipienti all’azione di regresso pro quota ex art. 1299 c.c., esperibile da parte del detto ing. in caso di sua condanna.
11.8. Nemmeno coglie nel segno l’assunto di parte appellata secondo cui, nella specie, l’eventuale prescrizione dell’azione ex artt. 1495 e 1669 c.c., non inciderebbe sull’ulteriore domanda risarcitoria dalla stessa formulata anche ai sensi dell’art. 2043 c.c..
Sul punto, si richiama la condivisibile recente pronuncia della Suprema Corte del 05/11/2024, n. 28469, secondo cui << l'indirizzo attuale della giurisprudenza di legittimità sui rapporti tra azione ex art. 1669 ed azione generale ex art. 2043 c.c. è nel senso tracciato da Cass. n. 31301 del 2023, secondo la quale: " Poiché la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all'art. 2043 c.c., l'applicazione dell'art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione di responsabilità previsti dall'art. 1669 c.c., e non già al fine di superare i limiti temporali entro cui l'ordinamento positivo appresta la tutela specifica, ovvero senza poter "aggirare" il peculiare regime di prescrizione e decadenza che connota l'azione speciale" e si fonda sulla ritenuta necessità di evitare che siano raggiunti scopi elusivi ovvero impedire che, inutilmente esperita o esperibile l'azione speciale, l'interessato ottenga, per altre vie, il risultato negato in primis: ossia che, all'esito della prescrizione della pretesa, si possa rimediare ricorrendo all'azione generale di responsabilità civile' .
Sicché, essendo nella specie, sussistenti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione di responsabilità previsti dall'art. 1669 c.c., non può l'odierna appellata ed appellante incidentale invocare la responsabilità degli originari convenuti anche ex art. 2043 c.c. in ragione dei singoli inadempimenti in ipotesi agli stessi ascrivibili al fine di superare la maturata prescrizione ex art. 1669 c.c..
L'accertata prescrizione dell'azione, come innanzi rilevato, non investe il complesso dei vizi costruttivi lamentati, ma solo quelli per i quali l'originaria attrice aveva acquisito piena consapevolezza della loro natura e consistenza come già denunciati con la missiva del 19/09/2011.
Trattasi, segnatamente, di quelli accertati nella relazione di ATP dell'11/09/2013 (pagg. 7/11) e, soprattutto, nell'impugnata sentenza, attinenti:
(a) ai i fenomeni di risalita lungo le pareti perimetrali a diretto contatto con la pavimentazione esterna;
(b) ai fenomeni infiltrativi interessanti le intercapedini dei muri perimetrali del piano interrato;
(c) alla inidoneità del sistema di protezione dei parapetti.
Sicché, con riferimento ai suddetti vizi costruttivi, la domanda risarcitoria proposta da , in riforma dell'impugnata sentenza, deve essere rigettata per intervenuta prescrizione, per cui non è dovuto il rimborso dei relativi costi di ripristino, come quantificati nella relazione di ATP.
L'intervenuta prescrizione dell'azione relativamente ai vizi suindicati comporta, altresì, l'infondatezza del primo motivo dell'appello incidentale di nella parte in cui denuncia la erroneità dell'impugnata sentenza per non aver conteggiato, nella liquidazione complessiva dei danni, l'importo complessivo di € 10.101,76, oltre iva, corrispondente ai costi di ripristino degli stessi, come analiticamente calcolati dal CTU.
Parimenti infondato è il secondo motivo dell'appello incidentale , attesa la non debenza, per effetto della dichiarata prescrizione dell'azione, del rimborso dei costi (€ 3.457,19 + IVA) per l'eliminazione dei fenomeni infiltrativi a soffitto del vano soggiorno e della cucina, erroneamente non riconosciuti dal Giudice di prime cure seppur ritenuti sussistenti e quantificati nella relazione di ATP.
risultano invece assorbiti terzo motivo dell'appello principale rubricato al n. 1227/2019 , nella parte in cui denuncia l'illegittima liquidazione dei danni relativi ai fenomeni di risalita lungo le pareti perimetrali ed all'umidità presente sulla parete esterna dell'intercapedine, ed il secondo motivo dell'appello principale proposta dall'ing. (R.G. n. 1297/2019) , con il quale si pone analoga censura, essendo esclusa, per effetto dell'intervenuta prescrizione, il risarcimento dei detti danni.
L'accertamento dell'intervenuta prescrizione dell'azione non investe, come già innanzi precisato, i c.d. vizi acustici riscontrati sull'immobile, dovendosi pertanto procedere, riguardo ad essi, alla delibazione degli appelli principali ( terzo motivo dell'appello, prima parte, iscritto al n. R.G. n. 1227/2019; terzo e quinto motivo di quello iscritto al n. R.G. 1297/2019) e di quello incidentale (terzo motivo) sul punto.
16.1. Riguardo ai detti vizi, il Giudice di prime cure, condividendo la relazione di CTU, ha accertato la non conformità acustica dell'immobile ai limiti di legge stabiliti con il D.P.C.M. 5/12/1997 sotto il profilo del contenimento di impatto acustico tra unità immobiliari e del rumore da calpestio, dovuti alla non idonea coibentazione acustica della muratura presente tra le diverse unità immobiliari e delle murature perimetrali di prospetto.
Segnatamente, disattendendo le eccezioni degli originari convenuti ed odierni appellanti principali circa l'inapplicabilità dei limiti imposti dal suddetto D.P.C.M. 5/12/1997, ha così motivato la decisione assunta:
<>.
Il Giudice di prime cure, sempre condividendo la CTU, ha escluso poi che lo scostamento dal valore minimo stabilito dal D.P.C.M. solo di 1 db potesse ritenersi irrilevante, in quanto tale superamento per le misure in opera dell’isolamento acustico per via aerea tra ambienti, di per sé solo, costituiva ‘ una non conformità ‘, precisando, altresì, che, sempre il CTU, aveva evidenziato che tutte le misurazioni facevano riferimento ad un’opera già realizzata e che, a suo parere, ‘ le opere progettuali realizzate dovevano essere valutate dapprima per via previsionale (previsione di impatto acustico con le stratigrafie a disposizione e di progetto) e poi a progetto realizzato, tramite una valutazione fonometrica che consentisse di verificare quanto precedentemente previsto per via previsionale e di eliminare eventuali vizi acustici ‘.
La mancanza di tale valutazione, preventiva e fonometrica, consentiva di riscontrare una negligenza del direttore dei lavori/progettista.
16.2. La statuizione del Tribunale, ad avviso della Corte, si appalesa corretta in punto di diritto, in quanto conforme alla condivisibile e più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in materia di immissioni, il superamento dei limiti di rumore stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che disciplinano le attività produttive è, senz’altro, illecito, in quanto, se le emissioni acustiche superano la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione esse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino -ancor più esposto degli altri, in ragione della contiguità dei fondi, ai loro effetti dannosi – devono, per ciò solo, considerarsi intollerabili, ex art. 844 c.c. e, pertanto, illecite anche sotto il profilo civilistico (tra le ultime, in tal senso, cfr. Cass. 26/02/2024, n. 5074; conf.: Cass 28/02/2023, n. 5947 e Cass. 15/03/2022, n. 8320).
Correttamente, il CTU, la cui relazione sul punto è stata condivisa dal Tribunale, ha, quindi, fatto riferimento al suddetto DPCM come criterio per valutare lo stato dell’arte esigibile all’epoca di realizzazione del fabbricato al fine di verificare la sussistenza dei gravi difetti di insonorizzazione agli effetti dell’art. 1669 c.c. (cfr. in senso conforme, Cass. n. 21922 del 2021 e 25/01/2022, n.2226) avendo accertato la non conformità alle prescrizioni fissate dal decreto relativamente al ‘ Potere fono isolante R’w tra unità immobiliari: Valore misurato 49,00 dB, Valore ammesso dal D.P.C.M. 05.12.1997≥ 50,00 dB ‘ ed alla ‘ Misurazione per via aerea degli elementi di facciata e delle facciate D2m,nT,w: Valore misurato riferito alla facciata camera da letto piano rialzato 32,00 dB, Valore ammesso dal D.P.C.M. 05.12.1997 ≥ 40 dB; Valore misurato riferito alla facciata cucina piano rialzato 31,00 dB, Valore ammesso dal D.P.C.M. 05.12.1997 ≥ 40 dB ‘ (cfr. Relazione di ATP dell’11.09.2013, pagg. 12/15).
Vanno di conseguenza disattese le censure degli appellanti principali volte ad affermare l’inapplicabilità del richiamato DPCM ai fini della accertata sussistenza, nella specie, di un grave difetto costruttivo ex art. 1669 c.c. dovuto all’inadeguato isolamento acustico dell’immobile.
16.3.1. Gli appellanti principali, gradatamente, censurano la sentenza anche in merito alla misura dei danni liquidati in conseguenza degli accertati difetti di coibentazione acustica.
L’ausiliare, nella richiamata relazione dell’11.09.2013, ha individuato e descritto le opere di coibentazione acustica necessarie a porre rimedio alle riscontrate difformità, predisponendo il relativo computo metrico per un importo complessivo di € 26.720,69 al lordo di IV A. Al costo delle opere necessarie a coibentare acusticamente l’immobile, è stata poi aggiunta la diminuzione di valore dello stesso immobile dovuta alla perdita di superficie utile calpestabile derivante dall’intervento da effettuarsi nei vani al piano rialzato ed al piano primo, quantificata in € 1.512,40.
Nel rispondere alle osservazione delle parti, sempre riguardo ai vizi di isolamento acustico, il CTU, recependo le osservazioni del CTP di parte attrice, ha elaborato un
secondo computo metrico (depositato il 07.11.2013) che, partendo dal presupposto che la soluzione di bonifica avrebbe potuto mitigare il vizio di carenza di isolamento acustico riscontrato, senza tuttavia porre rimedio ai numerosi ‘ ponti acustici ‘ presenti nella costruzione, ha optato per l’eliminazione dei ponti acustici per via aerea, la quale avrebbe offerto, in tal caso, secondo la norma UNI 11367, la classificazione acustica II dell’immobile secondo la tabella riportata a pagina 6 dell’elaborato contenente la risposta alle osservazioni delle parti. In omaggio a detta diversa classificazione l’immobile avrebbe presentato delle buone prestazioni acustiche, con una percentuale di svalutazione pari al 5% del valore di scambio, ossia pari ad €18.225,00, a cui avrebbero dovuto aggiungersi l’importo di € 6.490,30 risultante dalla sommatoria delle singole voci di costo degli interventi necessari al raggiungimento della classe di prestazione acustica. Detto importo avrebbe dovuto computarsi in aggiunta a quello di €2.537,11 oltre IVA per il punto 1) dell’originario computo metrico sub I (pag. 12) e ad € 19.546,11, sempre oltre IVA, per il punto 3) del medesimo documento; il tutto per complessivi € 46.798,52.
16.3.2. Il Tribunale ha fatto proprio il secondo computo metrico, condannando i convenuti al pagamento dell’importo complessivo di € 46.798,52 ivi riportato.
La quantificazione del danno così operata, ad avviso della Corte, non è corretta nella parte in cui recepisce il secondo computo metrico redatto dal CTU.
Invero, come condivisibilmente rilevato dagli appellanti principali, detto computo metrico è stato predisposto sul presupposto che per l’immobile oggetto di causa trovasse applicazione la norma UNI 11367/2010 sulla classificazione acustica delle unità immobiliari. Tale norma, tuttavia, è stata pubblicata il 22/07/2010; vale a dire, ben sei anni dopo l’approvazione del progetto (permesso di costruire del 04/05/2005) e due anni dopo la stipula del contratto di compravendita (23/10/2008), per cui né la venditrice, né la costruttrice né il progettista avrebbe potuto impegnarsi a rispettare tali futuri parametri.
Ne consegue che, non essendo normativamente prevista all’epoca della costruzione e della successiva vendita dell’immobile la sua classificazione secondo le classi previste dall’UNI 11367/2010, le opere ulteriori indicate dal CTU per poter classificare il detto immobile in classe II (ponti aerei) ed il deprezzamento dello stesso rispetto alla classe I, si appalesano ingiustificati, dovendosi ritenere già idonei, gli interventi previsti nel primo computo metrico, ad assicurare la conformità dell’immobile ai parametri previsti dal DPCM 1997, il solo all’epoca applicabile al fine di valutare la corretta isonorizzazione acustica dell’immobile.
16.3.3. La sentenza impugnata merita quindi di essere riformata anche sulla misura dei danni risarcibili dovuti all’accertata non conformità acustica dell’immobile, i quali devono liquidarsi nella misura indicata nel primo computo metrico elaborato dal CTU; vale a dire, in € 26.720,69 al lordo di IV A cui va aggiunto l’ulteriore importo di € 1.512,40 a titolo di ristoro per la perdita di superficie utile calpestabile, riveniente dall’esecuzione delle opere di coibentazione. Il riconoscimento della debenza di detta somma comporta, altresì, l’accoglimento del primo motivo dell’appello incidentale,
nella parte in cui la sentenza impugnata è stata censurata per non aver incluso nel calcolo definitivo dei danni riconosciuti anche il suddetto importo.
Vanno inoltre riconosciuta la somma di € 5.500,00, IVA ed INARCASSA comprese, per gli oneri professionali riferiti al coordinamento della sicurezza, alla progettazione e alla direzione dei lavori di ripristino, anch’essi accertati dal CTU e liquidati in sentenza, non oggetto di specifica impugnazione sul punto.
16.3.4. Sempre con riferimento al quantum debeatur , va disatteso il terzo motivo dell’appello incidentale con il quale si lamenta la mancata liquidazione delle c.d. spese logistiche (quelle per smontaggio, carico, trasporto e deposito mobili, pulizie, carico e montaggio mobili, soggiorno in hotel).
Conformemente a quanto statuito dal Tribunale, trattasi infatti di spese solo eventuali, atteso che nulla esclude che l’esecuzione degli accertati lavori per coibentare acusticamente l’immobile possa avvenire senza la necessità di liberarlo dalle persone che lo abitano e dai mobili che lo arredano, trattandosi di interventi che non investono l’immobile nella sua interezza la cui esecuzione può avvenire per gradi. Del resto, i suddetti danni, sono stati soltanto allegati ma non affatto provati sia in ordine alla loro derivazione causale dalle opere da eseguirsi che in ordine al loro ammontare, non essendo all’uopo sufficiente la specificazione fattane nella perizia di parte prodotta in atti, trattandosi di documento proveniente dalla stessa parte attrice, contestato dalle controparti.
Quanto alla responsabilità risarcitoria in capo agli originari convenuti ed odierni appellanti principali, va rilevato che non è stata oggetto di impugnazione la riconosciuta responsabilità solidale in capo all’impresa venditrice ed a quella costruttrice, per cui deve ritenersi passato in giudicato il capo della sentenza che così ha statuito.
17.1. Restano, tuttavia, da delibare il quarto motivo dell’appello principale dell’ing. ed il primo motivo dell’appello principale iscritto al n. R.R 1227/2019 .
Con entrambi i motivi si censura la responsabilità risarcitoria riconosciuta nell’impugnata sentenza rispettivamente in capo all’ing. (progettista e direttore dei lavori) ed all’ing. in qualità di direttore tecnico della società costruttrice.
17.1.2. La censura proposta dall’ing. è giuridicamente infondata e va quindi disattesa, atteso che, come già innanzi riportato al capo 16.1. , il CTU, nel rispondere alle osservazione delle parti (cfr. relazione depositata il 6.11.2013, pag. 19) ha condivisibilmente rilevato che il progettista, per assicurare i requisiti acustici passivi del realizzando immobile, avrebbe dovuto valutarli, dapprima in via previsionale (previsione impatto acustico con le stratigrafie a disposizione e di progetto) e poi, a progetto realizzato, tramite una valutazione fonometrica, che consentiva di verificare quanto precedentemente previsto in via previsionale e di eliminare eventuali vizi acustici; valutazione che, nella specie, non risulta essere stata effettuata, donde la responsabilità risarcitoria anche a carico del detto professionista.
Tanto, peraltro, in ossequio ai consolidati principi giurisprudenziali secondo i quali, in tema di appalto, le figure dell’appaltatore, del progettista e del direttore dei lavori, laddove i rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno subito dal committente, sorge la medesima obbligazione risarcitoria gravante sull’appaltatore e avente per oggetto le opere necessarie per eliminare i vizi e rendere l’opera conforme alla regola dell’arte (Cass. 06/12/2017, n. 29218; Cass. 27/08/2012, n. 14650).
17.1.3. Merita invece accoglimento la censura proposta dall’ing. che, sebbene rubricata come difetto di legittimazione passiva, costituisce in realtà eccezione di infondatezza della domanda proposta nei suoi confronti.
Il Tribunale ne ha accertato la responsabilità sul presupposto che dalla visura camerale della (l’impresa costruttrice dell’immobile) egli figurava nell’organico sociale con la qualifica di direttore tecnico ed aveva interloquito con l’originaria attrice, aggiornandola sull’andamento dei lavori e curando l’attuazione delle modifiche resesi necessarie in corso d’opera. Era vero che la posizione del direttore tecnico di cantiere costituiva una figura apicale descritta dal d.lgs. 163/2006, incaricata ‘ dell’organizzazione, della gestione e della conduzione del cantiere ‘, la quale ‘ mantiene i rapporti con la Direzione dei lavori, coordina e segue l’esecuzione delle prestazioni in contratto e sovrintende all’adattamento, all’applicazione ed all’osservanza dei piani di sicurezza ‘, svolgendo anche ‘ un ruolo di fondamentale importanza per la garanzia della corretta applicazione delle misure di sicurezza nei cantieri ‘ e che tale posizione organizzativa era espressamente prevista per gli appalti pubblici. Tuttavia, nulla escludeva che l’impresa appaltatrice potesse avvalersi di detta figura anche negli appalti privati.
È opinione della Corte che le argomentazioni addotte dal Tribunale per affermare la responsabilità risarcitoria dell’ing. non siano condivisibili.
La figura del direttore tecnico è obbligatoriamente prevista per le imprese che intendono concorrere all’aggiudicazione di appalti pubblici, non anche per gli appalti privati. Né la mera circostanza che l’ing. fosse indicato con tale qualifica nella visura camerale della società costruttrice (nel cui oggetto figurava anche la partecipazione a gare di appalto pubblici) è di per sé idonea a dimostrare che egli abbia svolto tale incarico anche nel rapporto di appalto intercorso tra la e la Né tanto meno è stata acquisita prova che nel corso dell’appalto egli abbia di fatto espletato i compiti e le mansioni previste dal richiamato d.lgs. 163/2006.
Nemmeno è dirimente la circostanza, pure valorizzata dal Giudice di prime cure, dell’aver egli interloquito con l’originaria attrice, come allegato dalla stessa e non espressamente contestata dal convenuto. A parte la genericità dell’allegazione, priva di puntuali elementi idonei ad individuare i compiti in concreto svolti dall’ing. va rilevato che il Tribunale nemmeno ha considerato che il detto era, al contempo, il legale rappresentante della società costruttrice, per cui nulla esclude che la sua presenza in cantiere e le interlocuzioni con la sig.ra fossero dovute a detta qualità.
In ogni caso, la responsabilità dell’ing. va esclusa per l’assorbente considerazione che, nella specie, alcuna prova è stata fornita circa i compiti in concreto dal medesimo svolti nell’ambito del cantiere ed ai quali egli non avrebbe adempiuto, concorrendo in tal modo alla produzione del danno subito dal committente.
Al riguardo va peraltro soggiunto che, come rilevato dal CTU, i danni rivenienti dall’inadeguato isolamento acustico dell’immobile sono da imputare più che a difetti esecutivi, all’inadeguata progettazione dell’opera, certamente esulante dai compiti del direttore tecnico anche qualora, in ipotesi, la figura dello stesso fosse stata prevista nell’ambito dell’appalto oggetto di causa.
In definitiva, accolti per quanto di ragione gli appelli (principali e incidentale) proposti dalle parti, l’impugnata sentenza deve essere parzialmente riformata, con il rigetto dell’originaria domanda attore proposta nei confronti dell’ing. e con condanna solidale della della , della e dell’ing. a risarcire i danni subiti da nella misura di complessivi € 33.733,09 al lordo di IV A e di RAGIONE_SOCIALE, oltre agli interessi legali nella misura e con la decorrenza indicate nella sentenza di primo grado.
Quanto alle spese del giudizio, l’esito del gravame e complessivo della causa, caratterizzato da un notevole ridimensionamento della domanda risarcitoria originariamente proposta dall’attrice, considerate altresì le incertezze giurisprudenziali e normative sull’isolamento acustico degli immobili, sulla responsabilità del direttore tecnico previsto dal d.lgs 163/2006 e sulla possibilità di proporre alternativamente le azioni di cui agli artt. 1669 e 2043 c.c., da valutarsi quali eccezionali ragioni ex art. 92 c.p.c., ne giustificano, ad avviso della Corte, la integrale compensazione tra tutte le parti in causa per entrambi i gradi del giudizio e per l’espletato ATP, ponendosi invece le spese liquidate all’ausiliare per il suo espletamento a carico delle parti solidalmente.
L’accoglimento, per quanto di ragione, degli appelli proposti, principali ed incidentali, esclude che possa trovare applicazione il disposto di cui dell’ulteriore versamento del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 115/02.
P.Q.M.
la Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti, in via principale) da , in persona del suo legale rappresentante pro tempore, , in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e , ed in via incidentale, da
, avverso la sentenza n. 2661/2019 resa dal Tribunale di Bari il 21 giugno 2019, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e deduzione, così provvede in parziale riforma dell’impugnata sentenza:
1)- accoglie gli appelli per le ragioni di cui in motivazione e per l’effetto:
(a) rigetta la domanda proposta da nei confronti di
(b)
accoglie la domanda dalla medesima proposta nei confronti della
, della
e di
;
(c) condanna la
, la
al pagamento, in solido, in favore di a titolo di risarcimento danni, della somma di € 33.733,09 al lordo di IV A e di INARCASSA, oltre agli interessi legali nella misura e con la decorrenza indicate nella sentenza di primo grado;
2)compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio di entrambi i gradi del giudizio e del procedimento di ATP;
3)pone definitivamente a carico di tutte le parti, sempre in solido tra loro, le spese liquidate in favore del CTU per l’ATP espletato ante causam .
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in videoconferenza, in data 22 luglio 2025
Il Presidente Dott. NOME COGNOME
Il G.A. estensore
avv. NOME COGNOME