Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6912 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 6912 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17509/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME, digitalmente domiciliato per legge presso l’indirizzo pec EMAIL;
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE (‘già RAGIONE_SOCIALE‘), in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME NOME, già domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ed attualmente digitalmente domiciliato per legge presso gli indirizzi pec EMAIL e EMAIL;
-controricorrente-
avverso la sentenza di Corte d’appello di Roma n. 968/2020 depositata il 06/02/2020.
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28/02/2024 dal AVV_NOTAIO. COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Generale, AVV_NOTAIO, che, richiamate le conclusioni scritte, ha chiesto l ‘ accoglimento del primo motivo, assorbiti i restanti.
uditi i Difensori delle parti, che hanno insistito nell ‘ accoglimento delle rispettive richieste.
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2010 la società RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Latina la società RAGIONE_SOCIALE e – dopo aver premesso: a) di aver affidato per molti anni alla società convenuta, il servizio di trasporto della propria merce; b) che la RAGIONE_SOCIALE aveva subito in data 16.12.2004, 21.12.2004 e 29.09.2005, il furto dei propri autotreni, su cui si trovava la merce da essa affidata; c) che parte della merce rubata il 29.09.2005 era stata ritrovata e ad essa restituita – chiedeva la condanna della convenuta:
al risarcimento del danno subito in occasione dei furti in ragione di € 41.528,00, computando tale somma nella misura di € 6,2 al kg di merce in ragione di quanto stabilito dalla legge n. 450/1985 vigente al tempo dei fatti, detratto il valore della merce rinvenuta, oltre € 1.200,00 per le spese sostenute per il recupero, il trasporto ed il deposito della merce ritrovata;
al pagamento dell’ulteriore somma di € 8.481,85 per la perdita del materiale consegnato e danneggiato durante il trasporto per l’importo complessivo di € 50.009,85.
Quanto precede precisando di agire per far valere la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della convenuta e, comunque, l’inadempimento da parte di quest’ultima all’autonoma obbligazione assunta con le dichiarazioni con cui si era riconosciuta
responsabile dell’accaduto e disponibile al risarcimento del danno sia pure offrendo la minor somma di euro 7.888,77.
Si costituiva la società convenuta, eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto azionato, sul rilievo che il breve termine annuale previsto dall’art. 2951 c.c. trovava applicazione anche in relazione all’azione risarcitoria esercitata a seguito del furto della merce. Rilevava, quindi, che nessun addebito poteva esserle mosso, atteso che, al fine di eseguire i trasporti in cui erano avvenuti i furti oggetto di causa, si era avvalsa della collaborazione di un subvettore che, in base ai controlli eseguiti, risultava affidabile. Contestava, quindi, sia la corrispondenza del peso della merce affidata a quello indicato nei documenti di trasporto (che non risultava fossero stati ad essa consegnati e da essa accettati), sia i criteri seguiti per la determinazione del relativo valore, dovendo essere considerato l’importo di € 0,26 per ogni kg di merce. Evidenziava, quindi, che le note ex adverso prodotte non potevano essere intese né come atti di riconoscimento di responsabilità, né come impegno a pagare.
Il Tribunale di Latina, espletata l’istruttoria necessaria, con sentenza n. 1196/2017, accoglieva parzialmente la domanda attrice, condannando la società convenuta al pagamento della somma di euro 55.883,24, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, nonché alla rifusione delle spese di lite.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la società RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che, in riforma della sentenza di primo grado e previa sospensione della sua esecutività, a) fosse dichiarata la prescrizione annuale ed in ogni caso anche la maturazione della prescrizione quinquennale del diritto ex adverso azionato; b) in subordine, fosse dichiarata l’insussistenza di qualsivoglia forma di responsabilità a suo carico per caso fortuito ai sensi dell’art. 1693 c.c.; c) in ulteriore subordine, fosse dichiarato non provato il danno e respinta ogni domanda; d) in estremo subordine e per mero tuziorismo,
fosse ridotta la condanna nei limiti di 0,26 euro per ogni kg. di merce. Il tutto con vittoria delle spese.
Si costituiva in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE, contestando l’impugnazione avversaria della quale chiedeva il rigetto con conferma della sentenza impugnata.
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 968/2020, in rigetto dell’appello, confermava la sentenza del giudice di primo grado, pur procedendo ad alcune integrazioni.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso a questa Corte avverso la sentenza della corte territoriale.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
Per la trattazione del ricorso è stata fissata l’adunanza camerale del 28 settembre 2023, per la quale NOME ha presentato memoria a sostegno dell’accoglimento del ricorso.
Il Collegio, ad esito della camera di consiglio, ha disposto la trattazione in pubblica udienza, in considerazione del rilievo nomofilattico della questione dell’inquadramento sistematico dell’art. 252 disp. Att. c.p.c. e della relativa interpretazione.
Per l’odierna udienza pubblica il AVV_NOTAIO Generale ha rassegnato conclusioni scritte, mentre il Difensore di parte resistente NOME ha depositato memoria a sostegno del rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La società RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso sette motivi.
1.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia <>.
Sottolinea che i contratti ed i fatti generatori del diritto risarcitorio si sono verificati in regime di prescrizione quinquennale nel
2005; osserva che, mentre era in corso la prescrizione quinquennale, è entrata in vigore la prescrizione annuale dal 28.2.2006; si duole che la corte territoriale ha errato nell’applicare la prescrizione quinquennale, in violazione dell’art. 252 disp. att. c.c.
1.2. Con il secondo motivo denuncia <>; e si duole che la corte territoriale ha errato nell’attribuire a semplici fatture l’efficacia interruttiva della prescrizione.
1.3. Con il terzo motivo denuncia <>: e si duole che la corte territoriale ha pronunciato una sentenza nulla, in quanto, argomentando in maniera intrinsecamente ed insanabilmente contraddittoria, nel giudicare sulla sua responsabilità, quale vettore della merce, in un capo della sentenza ha qualificato detta responsabilità semplice e presunta ex art. 1693, 1176 c.c., mentre in altro capo della sentenza ha qualificato detto capo come colpa grave ed inescusabile tale da impedire la limitazione di responsabilità disciplinata dall’art. l comma 3 della L 450/1985.
1.4. Con il quarto motivo denuncia <>.
Si duole che la corte territoriale: a) ha applicato illegittimamente l’inversione dell’onere della prova; b) ha posto a carico del vettore la prova sulla portata utile del mezzo al fine di quantificare il danno, ex art. 1 della legge n. 450/1985, applicabile al trasporto in questione, regolato dalle tariffe a forcella, circostanza coperta dal giudicato; c) ha modificato d’ufficio in pejus la qualificazione giuridica della responsabilità del vettore, giudicandola grave e tale da escludere la
limitazione di responsabilità ex art. 1 della legge n. 450/1985; d) in insanabile contrasto con la precedente affermazione di responsabilità presunta ex art. 1693 c.c. a carico del vettore, con motivazione nulla ha riqualificato detta responsabilità come responsabilità grave e tale da escludere la limitazione di responsabilità ex art. 1 della legge n. 450/1985.
1.5. Con il quinto motivo denuncia <>.
Si duole che la corte territoriale, nel quantificare il danno: a) ha applicato il criterio di valore della merce illegittimamente ritenendo provato tale valore; b) ha violato l’art. 2697 c.c. e l’art. 1, comma 1, della L. 450/1985 che prevede un sistema automatico e di limitazione del risarcimento basato sul criterio quantitativo (portata utile del veicolo) e non valoristico.
Osserva che detto sistema si applicava ai trasporti con il sistema delle tariffe a forcella, di cui si duole che la corte non ha tenuto conto, benché fosse pacifico in causa (e coperto dal giudicato) che il contratto fosse regolato da tale normativa e da tale limitazione di responsabilità.
1.6. Con il sesto motivo denuncia <>.
Si duole che la corte territoriale, in relazione ad un’altra voce di danno sempre inerente al trasporto, ha ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale in luogo di quella annuale, introdotta dal 28.2.2006 mentre era ancora in corso quella di cinque anni, in relazione a fatti del 2005. Con violazione art. 11 preleggi e 252 disp. att. c.c.
1.7. Con il settimo motivo denuncia <>.
Sottolinea che la parte aveva chiesto la liquidazione delle spese in euro 6.600,00 oltre oneri, mentre la Corte ne ha liquidati 13.635,00 oltre oneri. Nel liquidare tanto, ha applicato la fascia di valore della causa da euro 52.001,00 a 260.000,00 in luogo di quella da 26.001,00 a 52.000,00 da applicarsi in quanto con la domanda si chiedeva il risarcimento nella misura di euro 50.009,85.
Il motivo primo ed il motivo sesto – che in quanto connessi, vanno trattati congiuntamente – sono fondati.
2.1. Al fine della individuazione della questione di diritto, sottesa ai motivi, occorre tener presente che, nel caso di specie:
in data anteriore al 28 febbraio 2006 sono intervenuti tra le parti i contratti di autotrasporto di cose per conto di terzi, oggetto di ricorso, per i quali era previsto il sistema di tariffe a forcella e sono avvenuti anche i furti degli autotreni (su cui era trasportata la merce della società attrice);
b) all’epoca dei contratti e dei furti era in vigore l’art. 2 primo comma del d.l. n. 82/1993, che prevedeva la prescrizione quinquennale di ogni diritto conseguente ai suddetti contratti;
detta norma è stata abrogata dall’art. 3 secondo comma lett. d) del d.lgs. n. 285/2005 (con effetto dal 28 febbraio 2006), che, senza contenere alcuna disciplina transitoria, ha ripristinato la prescrizione annuale prevista dall’art. 2951 c.c., che vigeva prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 82/1993.
2.2. La questione di diritto, posta dai motivi in esame, è se, in difetto di una disciplina transitoria, a seguito della sopravvenienza di un termine di prescrizione annuale per effetto di una disciplina normativa entrata in vigore quando non era ancora decorso il termine di prescrizione quinquennale, previsto dalla precedente normativa:
continui ad applicarsi il termine prescrizionale quinquennale, previsto dalla norma vigente all ‘ epoca in cui il diritto è sorto, con
decorrenza dalle date dalle quali origina il preteso diritto al risarcimento; oppure se b) si applichi il nuovo termine prescrizionale annuale, previsto dalla norma sopravvenuta, con decorrenza dalle date dalle quali origina il preteso diritto al risarcimento; oppure, ancora, se
si applichi il nuovo termine prescrizionale annuale, previsto dalla norma sopravvenuta, con decorrenza dalla data del 28 febbraio 2006, data di entrata in vigore dell’art. 3 del d. lgs. n. 286/2005.
2.3. Entrambi i giudici di merito hanno accolto la prima opzione interpretativa, in quanto hanno ritenuto che nel caso di specie il danno di cui è stato chiesto il ristoro, si è realizzato prima del 28 febbraio 2006 (data di entrata in vigore del d. lgs. n. 286/2005, in quanto antecedenti a detta data sono sia i contratti di autotrasporto di cose per conto di terzi, per i quali era previsto il sistema di tariffe a forcella, che il furto degli autotreni su cui era trasportata la merce della società attrice). E la corte territoriale ha anche aggiunto che <<…dalle allegazioni delle parti e dalla documentazione emerge che i contratti venivano conclusi di volta in volta al momento della consegna della merce, sicché alla data del 23.2.06 non vi era un rapporto contrattuale pendente tra le parti. Con la conseguenza che, essendo già sorto il diritto al risarcimento del danno al momento dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 286/2005 – hanno ritenuto suscettibile di applicazione la normativa vigente al momento in cui detto diritto era sorto (cioè l'art. 2 della legge n. 82/1993, che per l'appunto prevedeva per i contratti in esame il termine di prescrizione quinquennale).
2.4. Alla terza opzione interpretativa ha invece aderito il ricorrente, secondo il quale i fatti dovrebbero essere inquadrati alla luce (non dell'art. 11 delle preleggi e del principio di irretroattività della legge, ma) dell'art. 252 disp. att. c.c., in base al quale: <> (primo comma); e <> (secondo comma).
In sostanza, secondo l’art. 252 disp. att. c.c., se il termine residuo in base alla disciplina precedente è inferiore a quello stabilito dalla nuova normativa, continua ad applicarsi quello originariamente previsto. Pertanto, la parte, colpita dalla perdita di un diritto, nei cui confronti maturi la prescrizione, o contro la quale maturi l’usucapione, ha diritto al termine più elevato tra quello residuo previsto originariamente e quello, intero, derivante dalla nuova disciplina.
Quindi, secondo il ricorrente, poiché alla data di entrata in vigore dell’art. 3 del d. lgs. n. 286/2005 (cioè, alla data del 28 febbraio 2006), il termine prescrizionale quinquennale non era ancora decorso dalle date dei furti (risalenti al 16 e 21/12/2004 e al 29/9/2005, date dalle quali originava il preteso diritto al risarcimento), si dovrebbe applicare il nuovo termine prescrizionale annuale dalla data di entrata in vigore del citato art. 3, con la conseguenza che, alla data del 28 febbraio 2007, ogni preteso diritto risarcitorio era già prescritto.
2.5. L’assunto del ricorrente è fondato, nei termini di seguito indicati.
A) Occorre premettere che il legislatore nazionale è libero di modulare i termini di prescrizione o di decadenza (come per l’appunto è avvenuto nel caso dei contratti di autotrasporto di cose per conto di terzi, oggetto di ricorso, per i quali era previsto il sistema di tariffe a forcella, in relazione ai quali l’intento del legislatore è stato quello di definire più celermente i rapporti insorti, così eliminando in un lasso di tempo più breve la possibilità di controversie fra le parti), ma deve far
salva l’esigenza di garantire l’effettività della tutela dei diritti soggetti a tali cause di estinzione.
Alla luce di tale principio generale, la seconda opzione ermeneutica – quella sopra descritta alla lettera b) – va esclusa.
Invero, aderendo ad essa, i diritti risarcitori si sarebbero prescritti, per i primi due trasporti, rispettivamente dal 16.12.2005 e dal 21.12.2005: date nelle quali, invece, il titolare poteva ancora riporre affidamento nella loro perdurante esistenza e attendere un momento successivo per il loro esercizio (purché, ovviamente, entro il termine quinquennale), non potendo prevedere l’accorciamento del termine di prescrizione. Per il terzo trasporto del 29.9.2005, invece, il diritto risarcitorio si sarebbe andato a prescrivere il 29.9.2006 e il titolare si sarebbe, improvvisamente, trovato di fronte alla necessità di azionare il diritto, o di interromperne la prescrizione, entro poco più di otto mesi dalla data di entrata in vigore della modifica legislativa (cioè, entro un termine minore di quello voluto dal legislatore del d.lgs. 286/2005)
In definitiva, l’accoglimento dell’opzione interpretativa in esame comporterebbe l’estinzione dei diritti in esame così improvvisa da sorprendere il loro titolare, la cui aspettativa di esercizio del diritto sarebbe in modo imprevedibile impedita o comunque gravemente menomata. Ciò in contrasto con il generale principio della effettività della tutela giurisdizionale, secondo il quale le modalità procedurali per tutelare i diritti riconosciuti dall’ordinamento non possono essere sottoposte a condizioni che ne rendano impossibile o estremamente difficile l’esercizio.
B) Ciò posto, nel caso di specie, pure va riconosciuto che il principio di irretroattività della legge è stato erroneamente invocato in sede di merito.
Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che la sopravvenienza della nuova normativa sia intervenuta su rapporto giuridico già
esaurito. Tanto non può dirsi avvenuto, in quanto, nel caso di specie, per come sopra rilevato, alla data dell’entrata in vigore della nuova normativa non era ancora decorso il termine prescrizionale quinquennale, previsto dalla precedente normativa, con la conseguenza che il rapporto dedotto in giudizio era indubbiamente ancora pendente.
Al riguardo, in via generale , va affermato che un rapporto giuridico può definirsi esaurito se: a) è oggetto di, ovvero discende da un giudicato formatosi nell ‘ applicazione della disciplina precedente alla pronuncia di incostituzionalità e che, pertanto, sopravvive alla sentenza e ad alla sua eventuale efficacia retroattiva , poiché ormai fa stato tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa, secondo l ‘ art. 2909 Cod. civ.; b) si connota per inoppugnabilità derivante dall ‘ intervenuta prescrizione o decadenza della relativa situazione giuridica soggettiva. Nel caso di specie, si ribadisce, nessuna delle suddette ipotesi ricorre. Né il termine prescrizionale di un diritto può definirsi, neppure solo a tali fini, rapporto pendente, autonomo ed avulso da quello cui afferisce.
Erroneo è, quindi, il riferimento al principio di irretroattività della legge, in quanto quest’ultima, per dirsi retroattiva, deve incidere su effetti già perfezionatisi, facendoli venire meno, o comunque deve incidere su situazioni già consolidate sotto la vigenza della precedente disciplina. Per contro, qualora non si siano ancora verificati effetti definitivi dovuti alla previgente disciplina e la nuova disciplina intervenga su rapporti pendenti (come per l’appunto si è verificato nel caso di specie), che ancora non hanno esaurito i loro effetti, non può parlarsi di retroattività, ma, semplicemente, deve parlarsi di applicabilità, per il futuro, della nuova disciplina a tali rapporti.
Ne consegue che, nel momento in cui il legislatore introduce un diverso regime di prescrizione, tale nuovo regime è applicabile ai rapporti che non hanno ancora esaurito i loro effetti (sempre che, come sopra rilevato, l’applicazione del nuovo termine prescrizionale, se
abbreviato, non comporti l’estinzione precoce di tale diritto, o comunque fatto salvo quanto si viene a dire di qui a tra un momento), intendendosi per tali quelli per i quali la prescrizione secondo il vecchio termine non è ancora maturata al momento della modifica legislativa.
C) Sotto altro profilo, è stato invece correttamente invocato l’art. 252 disp. att. c.c.
Tale disposizione – introdotta per disciplinare la progressiva entrata in vigore dei diversi libri del codice civile del 1942 (ed in particolare, per disciplinare tutte le fattispecie nelle quali la nuova normativa riduceva i termini previsti dalle norme preesistenti per la perdita o per l’acquisizione di un diritto) – fa parte (non delle disposizioni sulla legge in generale, che precedono il codice civile, ma) delle disposizioni di attuazione, che seguono il codice civile.
Orbene è indubbio che, a differenza delle prime, le disposizioni di attuazione non contengono, necessariamente, regole di carattere generale e, perciò, in linea di principio, non possono essere applicate quando esistono disposizioni specifiche.
È pure indubbio che l’art. 252 disp. att. cod. civ. non ha valore assoluto, ma fissa un criterio, che, essendo contenuto in una legge ordinaria, può essere derogato da una successiva legge ordinaria, nella quale il legislatore disciplini nuovamente i termini.
Senonché, riprendendo concetti già trattati da questa Sezione di recente (Cass. n. 15315/2019, che, oltre ad alcune precedenti sentenze della Sezione Lavoro di questa Corte, richiama Sez. Un. N. 15352/2015), occorre qui ribadire che l’art. 252 disp. att. c.c. – pur essendo disposizione transitoria, volta (nel passaggio dal codice del 1865 a quello tuttora vigente) a regolamentare il succedersi dei diversi termini fissati dai suddetti codici in ordine alla sola decadenza o prescrizione, nonché all’usucapione; e pur essendo prevista da una legge ordinaria (quale per l’appunto è il codice civile), con la conseguenza che, secondo il principio per cui lex posterior derogat
priori, può essere derogata da una legge successiva, con la quale il legislatore regoli diversamente i termini di prescrizione – è disposizione alla quale può attribuirsi il valore di <> (Sez. Un. N. 6173/2008 e Corte cost. n. 20/1994), nel senso che fissa un criterio di bilanciamento tra due opposte esigenze che sempre ricorrono ogni qualvolta il legislatore introduce un termine di decadenza o prescrizione prima non previsto: da un lato, quella di garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale/prescrizionale e, dall’altro, quella di tutelare l’interesse del privato, onerato della decadenza/prescrizione, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile.
La giurisprudenza di legittimità a sezione semplice ha di recente precisato (Cass. n. 35571/2023, ove ulteriori richiami alla giurisprudenza di legittimità già espressa nello stesso senso) che il suddetto bilanciamento è realizzato dall’art. 252 disp. att. c.c. attraverso la previsione di due regole. La prima regola è che quando una nuova legge stabilisca un termine di prescrizione più breve di quello previsto dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all ‘ esercizio dei diritti sorti anteriormente all ‘ entrata in vigore della nuova legge, con decorrenza dall ‘ entrata in vigore di quest ‘ ultima. La seconda regola, che pone un ‘ eccezione alla prima, è che il termine di prescrizione introdotto dalla legge posteriore non s ‘ applica, se ha per effetto di prolungare la scadenza del termine previgente già in corso. L ‘ art. 252 disp. att. c.c., cioè, fissa il principio per cui dall ‘ entrata in vigore d ‘ una legge abbreviatrice d ‘ un termine di prescrizione in corso, s ‘ applicherà il minor termine tra quello nuovo e quel che residua del termine originario.
D) In definitiva, applicando al caso di specie i convergenti principi sopra indicati ai punti B) e C), i giudici di merito avrebbero dovuto affermare che:
che alla data del 28 febbraio 2006 il rapporto contrattuale era tra le parti ancora pendente;
che era applicabile al caso di specie il ‘nuovo’ termine prescrizionale annuale, di cui all’art. 2951 c.c., ripristinato dall’art. 3 comma 1 del citato d. lgs. n. 286/2005, con decorrenza dalla data del 28 febbraio 2006 (cioè dalla di entrata in vigore d. lgs. n. 286/2005);
che, pertanto, la danneggiata avrebbe avuto tempo sino al 28.2.2007 per esercitare il suo diritto.
Tale soluzione, da un lato, non contrasta con il principio di non retroattività delle leggi e, dall’altro, rispetta il principio di effettività della tutela giurisdizionale, riconoscendo al titolare del diritto, il cui termine prescrizionale è stato abbreviato dal legislatore, un congruo lasso di tempo per il suo esercizio, corrispondente – del resto – a quello riconosciuto in via generalizzata per il futuro come congruo ed idoneo.
In senso contrario, non vale invocare quanto affermato da Cass. n. 27015/2022, che ha distinto, ai fini dell’applicabilità del nuovo termine prescrizionale, fra norma che allunga il termine di prescrizione e norma che abbrevia il termine di prescrizione, riconoscendone solo nella prima ipotesi l’applicabilità ai rapporti pendenti. Invero, quella sentenza è stata pronunciata in fattispecie nella quale veniva in rilievo una norma che aveva allungato il termine prescrizionale, con la conseguenza che quanto in essa affermato in relazione ad una ipotetica norma che avesse abbreviato il termine prescrizionale deve considerarsi come mero obiter dictum , non utile ai fini della formazione di un orientamento nomofilattico. D’altronde, quand’anche si volesse ravvisare in Cass. n. 27015/2022 un precedente, questo sarebbe da intendersi superato da Cass. n. 35571/2023 con ampie argomentazioni, alle quali il Collegio intende qui dare seguito.
In definitiva, va qui ribadito che, qualora il legislatore intervenga su termini prescrizionali non ancora esauriti, non può parlarsi di retroattività della disciplina nuova normativa, con la conseguenza che
il nuovo termine prescrizionale è applicabile: non soltanto nel caso il cui <> il termine prescrizionale sui rapporti ancora pendenti ma anche nel caso in cui <> detto termine prescrizionale, fermo restando quanto sopra evidenziato (per la necessità di tutelare il portatore di un diritto soggettivo dalla sua improvvisa e imprevedibile estinzione o dall’improvviso e imprevedibile accorciamento del termine per il suo esercizio).
Pertanto, in caso di modifica del termine prescrizionale (non assistita da una pure invece opportuna disciplina transitoria), alla prescrizione già in corso si applica, con decorrenza dall’entrata in vigore della modifica, il minore tra il nuovo termine ed il residuo di quello già in corso in forza della normativa previgente.
Rimangono assorbiti tutti gli altri motivi di ricorso: i quali, riguardando il merito della pretesa risarcitoria, avrebbero potuto essere scrutinati soltanto in caso di diverso esito dell’esame dei motivi sulla preliminare questione dell’estinzione per prescrizione ed attengono a questioni che restano, comunque impregiudicate.
Per le ragioni che precedono, accolti il motivo primo ed il motivo sesto, ritenuti assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame dell’appello alla stregua dei principi di diritto illustrati nella motivazione che precede.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo ed il sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi; per l’effetto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa