Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23815 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23815 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15825/2020 R.G. proposto da :
NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME difesi dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrenti- contro
COGNOME NOMECOGNOME difeso dall’avvocato NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 1053/2019 depositata il 02/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il 13/04/1993 NOME COGNOME in veste di promissario acquirente, stipulava con NOME COGNOME e NOME COGNOME un contratto preliminare di compravendita immobiliare, al prezzo
complessivo di lire 157 milioni, di cui lire 20 milioni versati contestualmente alla sottoscrizione a titolo di caparra confirmatoria. Le parti convenivano di stipulare il contratto definitivo entro la fine di aprile del 1993. I promittenti venditori non davano corso alla regolarizzazione urbanistica dell’immobile -che richiedeva un condono -e non si presentavano all’appuntamento notarile, nonostante solleciti.
Nel 1998 il promissario acquirente conveniva in giudizio il solo NOME COGNOME davanti al Tribunale di Brindisi, chiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferimento ex art. 2932 c.c. Il Tribunale, rilevata la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’altra promittente venditrice, dichiarava nel 2005 l’estinzione del giudizio per omessa integrazione.
Nel 2006 il promissario acquirente conveniva di nuovo entrambi i promittenti venditori, reiterando la domanda di esecuzione in forma specifica e, in via subordinata, domandando la risoluzione del contratto per inadempimento, la restituzione della caparra e il risarcimento del danno.
Nel 2016 il Tribunale rigettava tutte le domande, ritenendo che il contratto non fosse suscettibile di esecuzione specifica per difetto dei presupposti di cui agli artt. 17 e 40 l. n. 47/1985 e all’art. 46 d.p.r. 380/2001, in quanto non era stata fornita la prova della regolarità urbanistica dell’immobile né erano stati prodotti la concessione in sanatoria o altri titoli abilitativi. NOME COGNOME proponeva appello principale, insistendo sulle proprie domande. I promittenti venditori proponevano appello incidentale eccependo la prescrizione e l’intervenuto giudicato sul rigetto della domanda risarcitoria.
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello ha confermato il rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. per l’ assenza di documentazione urbanistica, ma ha accolto la domanda
subordinata di risoluzione , dichiarando l’inadempimento dei promittenti venditori per mancata sanatoria, con condanna alla restituzione della caparra. Ha escluso infatti la prescrizione, valorizzando l’effetto interruttivo dell’atto di citazione del 1998 anche con riferimento alla domanda di risoluzione, e ha rigettato la domanda di risarcimento per difetto di prova.
Ricorrono in cassazione i promittenti venditori con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste il promissario acquirente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo (p. 4) denuncia violazione degli artt. 2934, 2935, 2936, 2943, 2945 co. 3, 2946 c.c., degli artt. 99, 101, 112, 115, 329, 342, 346 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost. per avere la Corte di appello rigettato l’eccezione di prescrizione della domanda di risoluzione proposta solo nel 2006, dopo oltre 13 anni dalla stipula del preliminare, senza ravvisare che nel precedente giudizio del 1998 era stata proposta solo la domanda di esecuzione in forma specifica. Si contesta che tale atto potesse produrre effetti interruttivi della prescrizione anche in relazione alla domanda di risoluzione, estranea al primo giudizio. Si deduce altresì un’ulteriore violazione di legge, poiché la domanda di risoluzione non sarebbe stata specificamente «riproposta» in appello.
Il primo motivo è rigettato.
L’effetto interruttivo della prescrizione opera anche nei confronti della domanda di risoluzione proposta nel 2006 nel secondo giudizio, sebbene nel primo giudizio introdotto nel 1998 fosse stata proposta solo la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. Infatti, l’ effetto interruttivo si estende non solo al diritto dedotto in via principale, ma anche ai diritti che si trovano in una relazione di causalità, anche in via subordinata, nel quadro dell’unitario rapporto fatto valere per via della domanda principale. Tale principio è stato affermato e ribadito da numerose decisioni,
tra cui, fra le meno remote, Cass. 16120/2023 e 37735/2022. Le domande di esecuzione specifica e di risoluzione del contratto vertono sul medesimo rapporto contrattuale e mirano a tutelare la parte non inadempiente a fronte del l’inadempimento della controparte, per cui il diritto alla risoluzione si configura come strettamente collegato al rapporto contrattuale dedotto in giudizio con la domanda di esecuzione specifica. Pertanto -si ripete dell’interruzione della prescrizione prodotta dalla proposizione della domanda di esecuzione specifica nel primo giudizio beneficia anche il diritto alla risoluzione del medesimo contratto, fatto valere nel secondo giudizio.
Inoltre, non vi è la lamentata violazione dell’art. 342 c.p.c., poiché il promissario acquirente ha impugnato la mancata pronuncia del Tribunale sulla domanda subordinata di risoluzione, mantenendo così aperta la prospettiva di una pronuncia di accertamento dell’inadempimento funzionale all’accog limento di tale domanda, con il conseguente effetto di restituzione della caparra.
2. – Il secondo motivo (p. 9) denuncia la violazione degli artt. 99, 111, 112, 2909, 2932, 1453, 1460, 1482, 2934, 2935, 2936, 2946 c.c., degli artt. 339, 342, 345, 359 c.p.c., nonché degli artt. 17 e 40 l. n. 47/1985, dell’art. 46 d.p.r. 380/2001, in connessione con l’art. 1418 c.c., per avere la Corte di appello pronunciato sull’inadempimento dei convenuti senza che vi fosse domanda in tal senso, ricollegandolo in particolare a una causa (mancata sanatoria) diversa da quella prospettata in giudizio (mancata comparizione dal notaio). Si lamenta inoltre che la Corte di appello abbia omesso di valutare il comportamento dell’attore, che non ha prodotto la documentazione urbanistica necessaria, pur ritenuta essenziale dalla stessa Corte.
Il secondo motivo è rigettato.
La denuncia di ultrapetizione è infondata, poiché risulta che fin dall’inizio l’attore aveva allegato il carattere abusivo dell’immobile. Pertanto la Corte di appello non ha introdotto un fatto nuovo, ma ha valorizzato una circostanza già dedotta dall’attore a fondamento dell’inadempimento. Quanto ai profili di censura relativi all’omessa valutazione della condotta dell’attore, la parte ricorrente sovrappone il proprio apprezzamento della situazione di fatto rilevante a quello che la Corte di appello ha espresso in una motivazione che non presta il fianco a censure in sede di legittimità.
3. -Il terzo motivo (p. 15) denuncia la violazione dell’art. 2932 co. 2 c.c., poiché la sentenza impugnata ha ritenuto sufficiente, ai fini della pronuncia, una semplice manifestazione di volontà del promissario acquirente a versare il prezzo, espressa nell’atto di citazione. Si censura che la Corte abbia escluso l’inadempimento del promissario acquirente, nonostante egli non avesse mai adempiuto né offerto formalmente di adempiere l’obbligo di versamento del saldo. La dichiarazione contenuta nella citazione del 2006 rappresenta una mera espressione di intenti, priva di qualsiasi elemento oggettivo a sostegno dell’effettiva disponibilità della somma dovuta. Poiché il pagamento del prezzo era previsto per aprile 1993, l’attore, con la citazione dell’ottobre 2006, avrebbe dovuto dimostrare l’avvenuto pagamento o almeno l’offerta reale della somma, e non limitarsi a un generico impegno futuro. La Corte ha dunque applicato erroneamente l’art. 2932 co. 2 c.c., trascurando che, nei contratti a prestazioni corrispettive, l’onere di dimostrare l’adempimento o la tempestiva offerta incombe sulla parte che chiede l’esecuzione specifica. La motivazione è pertanto viziata per violazione di legge e per omesso esame di un fatto decisivo, ossia la mancanza di qualsiasi offerta effettiva del saldo prezzo da parte del promissario acquirente.
Il terzo motivo è rigettato.
A i fini dell’art. 2932 c.c., non è richiesta l’offerta formale del prezzo ex artt. 1206 ss. c.c., ma è sufficiente un comportamento che esprima in modo certo la volontà di adempiere (cfr. tra le altre, Cass. n. 27342/2018, cui si dà continuità).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha correttamente ritenuto che la dichiarazione contenuta nell’atto di citazione, accompagnata dalla richiesta di pronuncia costitutiva, integri gli estremi dell’offerta rilevante a tali fini. La parte attrice ha agito per ottenere l’effetto traslativo, manifestando disponibilità a corrispondere il prezzo residuo, e ciò esclude ogni dubbio sulla serietà dell’impegno assunto. Né può ritenersi necessaria una concreta disponibilità delle somme sin dall’introduzione del giudizio, essendo sufficiente che, al momento della decisione, il promissario acquirente non sia inadempiente. In definitiva, il motivo si risolve in una diversa valutazione delle risultanze processuali e non evidenzia violazioni di diritto idonee a fondare la censura.
4. – Il quarto motivo, p. 17, denuncia violazione degli artt. 17 (ora art. 46 d.p.r. 380/2001) e 40 l. n. 47/1985, nonché degli artt. 99, 112, 345 c.p.c., 1421, 1476 n. 3, 2934, 2944, 2946 c.c., in quanto la Corte ha escluso l’idoneità della documentazione prodotta dall’attore copia della domanda di sanatoria presentata nel 1986 -a soddisfare i requisiti richiesti per la commerciabilità dell’immobile, affermando che tale documento fosse inidoneo a sanare gli abusi edilizi. La censura afferma che l’immobile era stato costruito nel 1978, prima dell’entrata in vigore della l. n. 47/1985, e che pertanto non trovava applicazione l’art. 17, bensì l’art. 40 co. 2 l. cit., secondo cui è valido il trasferimento di immobili realizzati anteriormente alla legge, purché sia stata depositata la sola domanda di sanatoria o gli estremi della concessione. L’attore aveva dichiarato di avere depositato copia della domanda di condono presentata da Calcagnile nel 1986. Tale documento integra uno dei requisiti dichiarativi elencati dalla legge, che non
richiede alcuna valutazione nel merito sugli abusi edilizi. La Corte ha violato l’art. 40 co. 2 l. n. 47/1985, attribuendo al giudice civile un potere di verifica sostanziale degli abusi, che invece la norma non prevede, limitandosi a richiedere l’accertamento formale dell’esistenza di almeno uno dei requisiti dichiarativi alternativi.
Il quarto motivo è rigettato.
La l. n. 47/1985 ha introdotto un regime di nullità per gli atti di trasferimento di immobili urbanisticamente irregolari, applicabile anche a immobili costruiti prima della sua entrata in vigore. Per gli immobili irregolari costruiti prima del 1985 e oggetto di un processo di regolarizzazione tramite sanatoria, non è sufficiente il deposito della domanda di sanatoria per garantirne la commerciabilità. Affinché l’atto di trasferimento non sia affetto dalla nullità formale prevista dall’art. 40 co. 2 l. cit., è necessario che esso contenga la dichiarazione degli estremi della domanda di sanatoria e l’attestazione dei relativi versamenti. L’assenza di tali requisiti preclude la validità del trasferimento, a prescindere dal fatto che la domanda di sanatoria sia stata effettivamente depositata. Si dà così continuità, tra le altre, a Cass. n. 4502/2020 ove si ribadisce che, anche per le costruzioni anteriori alla l. n. 47/1985, l’art. 40 co. 2 l. cit. impone che dall’atto risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza edilizia, della concessione in sanatoria o della relativa domanda corredata dalla prova del versamento delle prime due rate dell’oblazione. In mancanza di tali elementi, l’atto è nullo.
– La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 5.800 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025.