Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1581 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1581 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME , in qualità di titolare dell’omonima RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO -ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata giusta procura speciale da RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in INDIRIZZO,
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino n.46/2022 pubblicata il 18.1.2022, notificata il 20.1.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 .1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto: risarcimento danni
La RAGIONE_SOCIALE intrattenne col Banco di Napoli due conti correnti identificati nn. 26/35 e 27/5466. Su entrambi questi conti, la banca concesse aperture di credito in conto corrente in data 5.8.1983 e in data 2.3.1995, quest’ultima assistita da garanzia ipotecaria.
In data 7.7.1998 il Banco di Napoli revocò i fidi concessi con effetto immediato, ‘per andamento irregolare del rapporto’ e intimò il pagamento del saldo debitore di £ 362.420.861 (sul c/c 26/35) e di £ 302.246.289 (sul c/c 27/4566). Oltre a queste ragioni di credito, la banca chiese altresì la copertura di effetti e ricevute bancarie, oggetto di anticipazione e di esito ancora non conosciuto, per complessivi £ 32.741.000;
Nel mese di marzo 1999, COGNOME NOME promise di vendere, con contratto preliminare trascritto, al fratello COGNOME NOME il capannone in INDIRIZZO INDIRIZZO dove la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva sede;
nel mese di ottobre 1999, il Banco di Napoli segnalò a sofferenza alla Centrale rischi di Banca d’Italia la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per un importo di € 417.297;
a febbraio 2000, propose istanza di fallimento della RAGIONE_SOCIALE dalla quale desistette in data 21.3.2000 (doc. 4 att.), dopo aver raggiunto in data 9.3.2000 con COGNOME un accordo per il rientro dell’esposizione debitoria;
specificamente, il piano di rientro convenuto prevedeva, oltre al riconoscimento del debito maturato, la cancellazione della trascrizione del preliminare di vendita al fratello del capannone, il rilascio ‘a maggior garanzia’ di nuova ipoteca per £ 400.000.000 su immobili di proprietà del COGNOME, e il rientro dell’esposizione debitoria tramite un versamento a pronti di £ 18.500.000 ‘che va ad aggiungersi alla somma di £ 88.000.000 circa corrispostavi con diversi versamenti dall’inizio dell’anno’, il versame nto di n. 35 rate mensili di £ 8.500.000 dal 17.2.2000 al 17.12.2002 e il versamento
a seguire di n. 36 rate mensili di £ 18.500.000 dal 17.1.2003 al 17.12.2005;
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE cessò l’attività in data 31.12.2002, con conseguente licenziamento del personale dipendente.
In data 12.7.2004, COGNOME presentò denuncia querela al RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei responsabili del Banco di Napoli, oggi Sanpaolo IMI, ‘per tutti i reati che dovessero essere ravvisati’ e segnatamente per usura ed estorsione.
Avverso il decreto ingiuntivo chiesto da RAGIONE_SOCIALE Sanpaolo nei confronti di COGNOME e dei garanti emesso dal Tribunale di Latina in data 23.12.2004, gli odierni ricorrenti proposero opposizione chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Con sentenza non definitiva 8-16.5.2014, il Tribunale di Lat ina ‘accertata la nullità delle clausole anatocistiche contenute nei contratti di conto corrente n. 27/5466 e n. 16/35, nonché il carattere usurario dei tassi applicati nel primo di detti rapporti dal 1.1.1998 al 30.9.1999’ revocò il decreto ingiuntivo opposto e rimise la causa in istruttoria per disporre nuovo accertamento contabile e rideterminare il saldo complessivo dei conti correnti tenendo conto dei pagamenti effettuati da parte opponente. Con sentenza definitiva 13.7.2016, il Tribunale di Latina pervenne a un importo di € 8.821,16 a credito per il correntista alla data del 30.9.1999, con riferimento al conto corrente n. 27/5466, ed all’importo di € 124.006,82 a debito per il correntista alla data del 30.9.1999 con riguardo al conto n. 16/35. Operata la compensazione per pari quantità e dedotti i versamenti successivi fatti da COGNOME a riduzione dell’esposizione debitoria, sulla base del piano di rientro 9.3.2000, condannò gli opponenti a corrispondere la minore somma di € 47.546,21 per residuo scoperto di conto e di € 13.850,19 per gli effetti anticipati e rimasti insoluti a scadenza. Le sentenze non sono mai state appellate.
5. Con atto di citazione ritualmente notificato, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME convenivano, innanzi al Tribunale di Torino, RAGIONE_SOCIALE san RAGIONE_SOCIALE per chiedere l’accertamento d el danno ingiusto causato dalla condotta dolosa e consapevole degli effetti conseguenti posta in essere dal Banco di Napoli e la condanna della banca convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi in seguito alle violazioni penali dell’art. 644 c.p. per aver applicato tassi d’interessi usurari oltre la soglia ai sensi della legge 108/96 e violazioni dell’art. 1283 c.c. sull’anatocismo. Con sentenza n. 1167/2020, il Tribunale di Torino rigettava la domanda degli attori e li condannava in solido tra loro a rifondere a RAGIONE_SOCIALE Sanpaolo le spese di lite.
6. L’attuale ricorrente proponeva gravame, lamentando che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la proposizione, nel 2005, del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non sarebbe stata idonea ad interrompere il decorso del termine prescrizionale, perché la domanda non era rivolta all’accertamento del danno ed al conseguenziale risarcimento, dinanzi alla Corte di Appello di Torino che con la sentenza qui impugnata rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito statuiva che:
a) Il Tribunale aveva rilevato che la prescrizione decorre ‘dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere’ (art. 2935 c.c.) che, nel caso di specie coincideva con il momento in cui la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva cessato di operare, ovvero il 31.12.2002, giorno in cui si era verificata la ‘scomparsa dal mercato’ della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che veniva imputata alla banca; non valeva come domanda giudiziale idonea all’interruzione della prescrizione l’opposizione al decreto ingiuntivo avanti al Tribunale di Latina, poiché gli attori avevano chiesto soltanto di ‘revocarsi il decreto ingiuntivo opposto’, e la pura e semplice domanda di rigetto dell’altrui pretesa non può sortire effetto interruttivo della prescrizione rispetto a pretese diverse,
seppure collegate. In assenza di atti interruttivi intermedi della prescrizione dal 31.12.2002 sino al momento della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (avvenuta in data 18.6.2018);
Il gravame non aveva la forza di contrastare l’apparato motivazionale della sentenza di prime cure: infatti le argomentazioni dell’appellante non apparivano tali da incrinare il fondamento logicogiuridico di quelle contenute nella sentenza impugnata;
ai sensi dell’art. 2943 c.c., perché un atto abbia efficacia interruttiva deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora;
l’accertamento del nesso tra l’opposizione a decreto ingiuntivo, con la richiesta di revoca dello stesso per anatocismo ed usura, e l’azione di risarcimento dei danni per la condotta dolosa della Banca, deve svolgersi in termini rigorosi, riservando la produzione per estensione degli effetti interruttivi solo a quei fatti che siano conseguenti, cioè ineluttabilmente discendenti da un altro che ne costituisce il necessario presupposto o a quelli che, rispetto al presupposto, ne rappresentino il logico sviluppo;
la pretesa risarcitoria così come prospettata non era in rapporto con la richiesta di revoca del decreto ingiuntivo, perché non era fondata su fatti che siano conseguenti, cioè ineluttabilmente discendenti, dalla pretesa creditoria della Banca per quanto rivelatasi meno rilevante e non ne rappresentano nemmeno il logico sviluppo;
era assente qualsiasi consequenzialità logico-giuridica fra l’accertamento del credito della Banca e l’azione risarcitoria per i censurati comportamenti dolosi della stessa.
COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con tre motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
8 . -Con il primo motivo: Ex art. 360, comma 1, nn. 4 e 5. c.p.c. Violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per omessa motivazione sulla dedotta decorrenza del dies a quo della prescrizione del diritto fatto valere dal giorno della pubblicazione della sentenza n. 1449/16, emessa dal Tribunale di Latina a margine del procedimento n. r.g. 1342/05, depositata il 13.7.16. Omesso esame del fatto. La Corte ha omesso di considerare che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non già dalla “data del fatto”, inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi, dal medesimo, conosciuti o conoscibili. Nel caso di specie il termine inizierebbe a decorrere dall’accertamento compiuto dal Tribunale resa nel 2016.
8.1 -L a censura che richiama il n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile.
La sentenza della Corte di merito è conforme, sul punto in questione, alla sentenza di primo grado, sicché trova applicazione l’art. 348 ter , ultimo comma, c.p.c. (qui applicabile ratione temporis -pur essendo stato abrogato dall’art. 3, comma 26, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 -ai sensi dell’art. 35, commi 1 e 4, d.lgs. cit., trattandosi di ricorso per cassazione proposto in data anteriore al 28 febbraio 2023), a mente del quale nell’ipotesi di “doppia conforme”, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. A
tale onere dimostrativo, invece, il ricorrente si è completamente sottratta. (Cass., n. 5528/2014; da ultimo Cass., n. 8320/2022; Cass., n. 5947/2023).
La censura relativa al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. non è autosufficiente perché il ricorrente omette di specificare in che modo i fatti enunciati provochino la violazione prevista dall’art. 360, n. 4, c.p.c. Il richiamo delle previsioni del n. 4 dell’art. 132 c . p.c. non è d’ausilio poiché la mancanza di motivazione si verifica soltanto quando questa manchi del tutto, ovvero sia esistente, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo totalmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., n. 20112/2009; Cass., n. 10937/2016) o allorché la sentenza sia nulla per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione (Cass., n.16611/2018). il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., n. 3819/20202).
9 . -Con il secondo motivo: Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione e/o falsa a pplicazione dell’art. 2935 c.c. Errata individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione. La Corte ritenendo che il diritto al risarcimento poteva essere fatto valere dalla pubblicazione della sentenza del 2016, o dal suo passaggio in giudicato, ha violato il precetto di cui all’art. 2935 c.c.
9.1 -La censura è inammissibile.
Risulta dalla sentenza impugnata che: «Con l’unico motivo di gravame (Avvenuta interruzione della prescrizione) parte appellante
lamenta che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la proposizione, nel 2005, del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non sarebbe stata idonea ad interrompere il decorso del termine prescrizionale, perché la domanda non era rivolta all’acc ertamento del danno ed al conseguenziale risarcimento».
E cioè l’appello ha rimesso in discussione esclusivamente la questione della interruzione (e conseguente sospensione) del corso della prescrizione estintiva per effetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento introdotta dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Banca: va da sé che sulla parte di sentenza di primo grado concernente l’individuazione del termine a quo per il corso della prescrizione è ineluttabilmente sceso il giudicato interno ai sensi dell’articolo 329, secondo comma, c.p.c.
10 . -Con il terzo motivo: Ex art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli art. 2943 e 2945 c.c. per il mancato riconoscimento di effetti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento del danno alla domanda di revoca del decreto ingiuntivo. Motivazione apparente e/o illogica. La prescrizione, in ogni caso, si sarebbe comunque interrotta nel 2005, con il deposito dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, per riprendere il suo nuovo decorso al passaggio in giudicato della sentenza del 2016. La Corte non spiega perché non intercorra un rapporto di conseguenzialità e/o di causalità tra la domanda di revoca (o meglio di accertamento della nullità di clausole contrattuali per violazione di legge) e la pretesa risarcitoria.
10.1 -Per la violazione dei nn. 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c. il ricorrente incorre nelle medesime inammissibilità già riscontrate sub 1.1 La motivazione della Corte, inoltre, risulta adeguata sia rispetto alla inidoneità della citazione in opposizione a D.I. quale elemento interruttivo della prescrizione sia per l’inesistenza di un rapporto di consequenzialità logico giuridica tra i diritti evocati (Cass., n.
18570/2007 e successive). La C orte d’appello ha rammentato che, ai sensi dell’articolo 2943 c.c., la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’effetto interruttivo si determina riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino, con stretto nesso di causalità, al rapporto cui inerisce il giudizio proposto (p. es. Cass. 4 agosto 2016, n. 16293), per poi osservare che, nella specie considerata, detto rapporto di stretto collegamento non sussisteva affatto: «Contrariamente a quanto dedotto da parte appellante, la pretesa risarcitoria così come prospettata non è in rapporto con la richiesta di revoca del decreto ingiuntivo, perché non è fondata su fatti che siano conseguenti, cioè ineluttabilmente discendenti, dalla pretesa creditoria della Banca per quanto rivelatasi meno rilevante e non ne rappresentano nemmeno il logico sviluppo». Trattasi di accertamento incensurabile in questa sede (Cass. 22 luglio 1968, n. 2643, più in generale Cass. 24 novembre 2010, n. 23821).
11. Nella memoria il ricorrente formula eccezione di inammissibilità del controricorso in quanto privo di sottoscrizione digitale, in violazione dell’art. 125 c.p.c., all’atto della sua notifica al ricorrente con PEC del 29.4.22 (all. 1) e ciò in conformità all’ordinanza di codesta Suprema corte n. 14338 dell’8.6.17 per cui: « L’atto introduttivo del giudizio redatto in formato elettronico e privo di firma digitale è nullo, poiché detta firma è equiparata dal d.lgs. n. 82 del 2005 alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., requisito di validità dell’atto introduttivo (anche del processo di impugnazione) in formato analogico », principio estendibile analogicamente anche al controricorso quale atto processuale da notificarsi, nella previgente disciplina, al ricorrente.
11.1Sulla doglianza va osservato che dalla consultazione a video del controricorso risulta perfettamente apposta la firma digitale che
diviene illeggibile se soltanto in sede di stampa cartacea si inserisce un corpo di stampa non adeguato. Chiaramente con una corretta impostazione anche sulla stampa cartacea la firma è leggibile e apposta legittimamente.
Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE nella camera di consiglio della Prima Sezione