Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2454 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2454 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16487/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Sassari INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di TRIBUNALE SASSARI n. 98/2023 depositata il 31/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Sassari ha riformato la decisione del Giudice di Pace che aveva condannato la mutuante Intesa Sanpaolo s.p.a. alla restituzione della somma di 3.824,35 euro in favore di NOME COGNOME respingendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta, osservando che:
dovevano qualificarsi gli importi di cui il signor COGNOME aveva chiesto la restituzione sull’assunto che non fossero dovuti e chiarirsi se gli stessi fossero costi up front o costi recurring : nel primo caso, trattandosi di costi sopportati contestualmente alla conclusione del contratto, il termine decennale per ripeterne l’indebito pagamento iniziava a decorrere dal momento del pagamento (nella fattispecie 16 anni prima), mentre nella seconda ipotesi andava fatto riferimento al giorno in cui di volta in volta i costi in tesi indebiti erano maturati;
agli effetti della qualifica di detti costi indebiti rilevava l’art. 5 delle condizioni generali del contratto, lett. c) e d), per cui: (i) le commissioni finanziarie per euro 717,33 e le commissioni accessorie per euro 2.062,80 di cui al frontespizio del contratto, riguardando tutte attività prodromiche all’erogazione del prestito e corrisposte già al momento della conclusione del contratto, integravano costi up front ; (ii) i costi di successiva amministrazione del mutuo -pur in astratto ricorrenti, e connessi all’esistenza ed alla durata del rapporto -secondo il predetto art. 5 delle condizioni generali, dovevano essere versati in un’unica soluzione all’atto dell’erogazione del mutuo mediante trattenuta sul valore attualizzato: risalendo la conclusione del contratto al 13.4.2004, in mancanza di atti interruttivi nei successivi 10 anni, il diritto alla
ripetizione delle somme asseritamente non dovute doveva ritenersi comunque prescritto;
considerazioni analoghe valevano per i premi assicurativi di cui alla lettera g) dell’art. 5 delle condizioni generali di contratto il cui versamento pure si collocava al momento dell’erogazione del prestito.
3.- Contro la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME affidandolo a due motivi di cassazione. Intesa Sanpaolo ha resistito con controricorso depositando anche memoria.
E’ stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c..
La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione con memoria motivata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (2935 c.c.) in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in quanto il Tribunale avrebbe individuato il dies a quo del decorso della prescrizione dell’azione di ripetizione nel giorno della stipula del contratto di mutuo (nella specie cessione del quinto dello stipendio) in contrasto col consolidato insegnamento di legittimità per cui nei rapporti di mutuo la prescrizione inizia a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata ; la decisione sarebbe inoltre illogica in quanto considererebbe esperibile l’azione di ripetizione da parte del mutuatario quando questi ancora non ha versato nulla, in assenza cioè di preventiva dazione; né l’art. 5 del contratto potrebbe condurre ad una disapplicazione di detti principi alterando l’istituto della prescrizione.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2935 c.c. artt. 6 e 7 della direttiva 2008 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., poiché il giudice del gravame avrebbe fatto scorretta applicazione dei criteri indicati dalla Corte di giustizia sulla prescrizione dell’azione di ripetizione
nel credito al consumo, che non può decorrere dal singolo pagamento ma solo dalla fine del rapporto, dunque non dalla data di erogazione del prestito.
2.- La proposta ha il tenore che segue.
«-Il primo motivo, che si duole della violazione dell’art. 2935 c.c., per avere il tribunale, in sede di giudizio di appello, ritenuto la prescrizione del vantato diritto alla ripetizione delle somme corrisposte dal mutuatario per costi al momento della stipula del negozio (c.d. up front) decorrente sin dalla conclusione del contratto di mutuo, quando essi furono corrisposti ex art. 5 del contratto, reputando il giorno dell’estinzione del finanziamento del tutto irrilevante, è inammissibile, in quanto intende ripetere un giudizio sul fatto, mentre in diritto è manifestamente infondato: invero, l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti l’esistenza di poste non dovute, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale e decorre dal pagamento, ossia l’esecuzione della prestazione da parte del ‘solvens’ con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell”accipiens’ (e multis, Cass., sez. I 26.9.2019, n. 24051; Cass. sez. I 30.10.2018, n. 27704; Cass. sez. lav. 9.12.2016, n. 25270; Cass., sez. III, 19.4.2016, n. 7749);
il secondo motivo è manifestamente infondato, richiamando esso la direttiva 2008/48/CE inapplicabile al contratto e non contenente un precetto come quello nel motivo invocato, avendo nella specie il mutuo durata decennale e non sussistendo neppure una deduzione attorea circa l’abusività delle clausole del mutuo per cui è causa ».
3.- Reputa il Collegio che le ragioni di inammissibilità dei motivi di cassazione illustrati nella PDA siano condivisibili.
3.1- Quanto al primo motivo si può aggiungere, con valore assorbente, che la ratio decidendi della sentenza si fonda sull’interpretazione dell’art. 5 del contratto di finanziamento in
funzione non solo della qualificazione dei costi asseritamente indebitamente pagati, ma anche del regime del loro pagamento (« il cedente, in sede di liquidazione del prestito, riconoscerà alla cessionaria, in un’unica soluzione, mediante trattenuta sul valore attualizzato del mutuo, che il cedente medesimo autorizza ora per allora, gli importi indicati nel frontespizio nelle caselle B,C,D,E,F,G …» : interpretazione alla quale il ricorrente non muove alcuna censura, il che rende inconferenti ed irrilevanti gli argomenti da lui spesi.
L’assunto circa la nullità per vessatorietà della clausola predetta è contenuta nell’istanza di decisione della causa ed è evidentemente escluso che il primo motivo dell’impugnazione proposta possa essere integrato da deduzioni estranee al ricorso per cassazione. Peraltro, la questione non risulta essere stata sottoposta al Tribunale, onde non avrebbe potuto trovare ingresso ove pure fosse stata veicolata dal ricorso: « Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio » (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
3.2 Ciò vale anche per il secondo motivo: il ricorrente -nell’invocare i principi affermati dalla CGUE – presuppone un fatto mai dedotto né accertato in giudizio, ovvero che il contratto fosse
un contratto del consumatore. I vaghi riferimenti alla disciplina consumeristica formulati nel ricorso per cassazione non soddisfano il canone dell’autosufficienza e comunque, a fronte del silenzio del Giudice di appello su tali questioni, non è stato lamentato il vizio di omessa pronuncia.
4.- Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile.
– Le spese seguono la soccombenza.
5.1- Considerato che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ultimo comma a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Consigliere delegato dal Presidente della sezione, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 c.p.c. , come testualmente previsto dall’art. 380 bis ultimo comma (« Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 »). L’art. 96 terzo comma, a sua volta, così dispone: « In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata» . Il quarto comma aggiunge: « Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 ».
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, si tratta di una disposizione (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la
condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione «altresì»). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale) » (Cass. Sez. Un. n.27433/2023, in motivazione).
In tal senso, il ricorrente va condannato, nei confronti della controricorrente, al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c. avuto riguardo alla liquidazione dei compensi dovuti alla parte resistente, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ex art, 96 quarto comma c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 2. 000,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile, in data 8.1.2024.
Il Presidente NOME COGNOME