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Prescrizione presuntiva: il curatore può eccepirla

La Corte di Cassazione analizza un caso di opposizione allo stato passivo fallimentare per un credito professionale. Il ricorso è stato respinto perché il tribunale aveva correttamente applicato la prescrizione presuntiva. La Corte ha chiarito che il curatore fallimentare è legittimato a sollevare tale eccezione e che l’appello è inammissibile se non contesta tutte le ragioni autonome della decisione di merito.

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Prescrizione presuntiva nel fallimento: il ruolo del curatore

Quando un credito professionale risale a molti anni prima, è possibile farlo valere nel fallimento del debitore? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, offre importanti chiarimenti sulla prescrizione presuntiva e sulla legittimazione del curatore fallimentare a sollevarla, delineando anche rigidi principi processuali sull’ammissibilità dei ricorsi. Questo caso riguarda gli eredi di un professionista che tentavano di ottenere l’ammissione al passivo fallimentare per compensi relativi a prestazioni svolte decenni prima.

I fatti del caso

Gli eredi di un geometra presentavano opposizione allo stato passivo del fallimento di un imprenditore. Essi vantavano un credito di circa 19.000 euro per prestazioni professionali svolte dal loro defunto parente nei confronti di un altro soggetto, anch’esso deceduto. L’imprenditore fallito era uno dei coeredi del debitore originario e, come tale, era subentrato in una quota del debito.

Il Tribunale di Civitavecchia aveva rigettato l’opposizione per due motivi principali e autonomi:
1. Mancanza di prova adeguata del credito.
2. Intervenuta prescrizione presuntiva del diritto, ai sensi dell’art. 2956, n. 2, c.c., poiché le prestazioni risalivano al periodo 1984-2004 e non erano stati dimostrati atti interruttivi validi.

Contro questa decisione, gli eredi hanno proposto ricorso per cassazione, contestando sia la valutazione delle prove sia la legittimità del curatore a sollevare l’eccezione di prescrizione.

La decisione della Cassazione sulla prescrizione presuntiva

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del tribunale. L’analisi dei giudici si è concentrata su un aspetto procedurale cruciale, applicando il “principio della ragione più liquida” e partendo dall’esame del secondo motivo di ricorso, quello relativo alla prescrizione.

Le motivazioni

La Corte ha smontato la tesi dei ricorrenti, chiarendo che la loro argomentazione sulla mancanza di legittimazione del curatore a sollevare l’eccezione di prescrizione era palesemente errata. Con la dichiarazione di fallimento, il soggetto fallito perde la disponibilità dei suoi beni, e l’unico legittimato a rappresentare la massa dei creditori è proprio il curatore fallimentare. Pertanto, è suo pieno diritto e dovere sollevare tutte le eccezioni utili a proteggere il patrimonio, inclusa quella di prescrizione presuntiva.

Inoltre, le censure dei ricorrenti sono state giudicate inammissibili perché di merito e non focalizzate sugli unici strumenti che la legge prevede per superare la prescrizione presuntiva: la confessione del debitore che il debito non è stato estinto (art. 2959 c.c.) o il deferimento del giuramento decisorio (art. 2960 c.c.).

Il rigetto di questo motivo ha determinato una conseguenza fatale per l’intero ricorso. La decisione del Tribunale, infatti, si basava su due rationes decidendi autonome: la mancata prova del credito e, appunto, la prescrizione. Poiché la censura contro la statuizione sulla prescrizione è stata respinta, questa è diventata definitiva. Di conseguenza, è venuto meno l’interesse dei ricorrenti a far esaminare il primo motivo, quello sulla prova del credito. Anche se fosse stato accolto, infatti, la decisione del Tribunale sarebbe rimasta valida sulla base della ragione non contestata efficacemente. Questo principio, consolidato in giurisprudenza, rende inammissibile l’esame delle altre censure per sopravvenuto difetto di interesse.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce due principi fondamentali con importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, nel contesto di una procedura fallimentare, il curatore non solo può, ma deve agire a tutela della massa dei creditori, sollevando eccezioni come la prescrizione presuntiva per contestare crediti non più esigibili. In secondo luogo, dal punto di vista processuale, chi impugna una decisione fondata su una pluralità di ragioni autonome e distinte deve contestarle tutte con successo. Se anche una sola delle ragioni regge all’esame della Corte, l’intero ricorso è destinato al fallimento.

Il curatore fallimentare può sollevare l’eccezione di prescrizione presuntiva?
Sì. La Corte di Cassazione afferma che, a seguito della dichiarazione di fallimento, l’unico soggetto titolato a rappresentare la massa dei creditori è il curatore, il quale ha quindi la piena legittimità a sollevare l’eccezione di prescrizione per tutelare il patrimonio del fallito.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione non contesta efficacemente una delle ragioni della decisione impugnata?
Se la decisione del giudice di merito si basa su più ragioni giuridiche autonome (rationes decidendi), ciascuna sufficiente a sorreggere la decisione, e il ricorso non riesce a confutare efficacemente anche solo una di esse, le altre censure diventano inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse. La decisione impugnata, infatti, rimarrebbe comunque valida sulla base della ragione non scalfita.

Quali sono gli unici modi per superare un’eccezione di prescrizione presuntiva?
Secondo la legge (artt. 2959 e 2960 c.c.), una volta sollevata l’eccezione di prescrizione presuntiva, il creditore può superarla solo in due modi: ottenendo l’ammissione da parte del debitore che l’obbligazione non è stata estinta, oppure deferendo alla controparte il giuramento per accertare se il debito è stato pagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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