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Prescrizione presuntiva e mansioni superiori negate

Un dipendente pubblico ha ottenuto il riconoscimento delle differenze retributive per mansioni superiori. L’ente datore di lavoro ha fatto ricorso in Cassazione eccependo la prescrizione presuntiva, ma la Corte ha rigettato il ricorso. La Suprema Corte ha stabilito che la prescrizione presuntiva non è applicabile quando il debitore contesta l’esistenza stessa del credito, negando che le mansioni superiori siano mai state svolte. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile il motivo di ricorso volto a un riesame delle prove nel merito.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mansioni Superiori: Quando la Prescrizione Presuntiva non si Applica

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: il rapporto tra il riconoscimento delle mansioni superiori e l’applicazione della prescrizione presuntiva. La decisione chiarisce che se il datore di lavoro nega radicalmente che il dipendente abbia svolto compiti di livello superiore, non può poi avvalersi della prescrizione breve per i crediti retributivi corrispondenti. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Il Dipendente Pubblico e le Mansioni Superiori

Un dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale, inquadrato come coadiutore amministrativo, ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro. Il lavoratore sosteneva di aver svolto, per un periodo di cinque anni (dal 2014 al 2019), mansioni riconducibili alla qualifica superiore di assistente amministrativo. Di conseguenza, ha richiesto al Tribunale il pagamento delle relative differenze retributive e la regolarizzazione della sua posizione contributiva.

Sia in primo grado che in appello, i giudici hanno dato ragione al dipendente, accertando il suo diritto a ricevere le differenze di stipendio. L’Azienda Sanitaria, non rassegnata, ha deciso di portare il caso davanti alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la questione della Prescrizione Presuntiva

L’ente pubblico ha basato il suo ricorso su due motivi principali.

La Contestata Applicazione della Prescrizione Presuntiva

Il motivo più rilevante riguardava la prescrizione del diritto. L’Azienda Sanitaria sosteneva che i giudici di merito avessero errato nell’applicare la prescrizione ordinaria quinquennale, invece di quella prescrizione presuntiva annuale prevista dagli articoli 2955 e 2956 del Codice Civile. Secondo la tesi del ricorrente, essendo trascorso più di un anno, il debito si doveva presumere estinto.

La Valutazione delle Prove

Con il secondo motivo, l’ente lamentava un’errata valutazione delle prove da parte dei giudici, sostenendo che non fosse stato dimostrato lo svolgimento effettivo delle mansioni superiori e che il ricorso iniziale del lavoratore fosse nullo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le sentenze dei gradi precedenti. Sul primo punto, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: la prescrizione presuntiva si fonda sulla presunzione che un debito sia stato pagato. Tale presunzione, però, non può operare se il debitore nega l’esistenza stessa dell’obbligazione. Nel caso di specie, l’Azienda Sanitaria non si era limitata a sostenere di aver pagato, ma aveva contestato alla radice che il dipendente avesse mai svolto mansioni superiori. Questa difesa è incompatibile con la logica della prescrizione presuntiva, che presuppone l’ammissione dell’esistenza del rapporto obbligatorio. Negando il fatto costitutivo del diritto (lo svolgimento delle mansioni), l’ente ha implicitamente ammesso di non aver pagato alcun compenso extra, rendendo inapplicabile la presunzione di pagamento.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. È stato ricordato che il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito. La Corte non ha il potere di riesaminare i fatti o di valutare nuovamente le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Tentare di ottenere dalla Cassazione una diversa valutazione delle prove, come ha fatto l’ente, costituisce un motivo inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un importante baluardo a tutela dei lavoratori. La strategia difensiva del datore di lavoro che nega in toto lo svolgimento di mansioni superiori per poi invocare la prescrizione breve si rivela inefficace. La decisione chiarisce che non si può ‘giocare su due tavoli’: o si ammette l’esistenza del debito e si presume di averlo pagato (invocando la prescrizione presuntiva), oppure si nega l’esistenza del debito, sottoponendosi però al termine di prescrizione ordinario. Questa pronuncia offre quindi maggiore certezza ai lavoratori che agiscono in giudizio per vedere riconosciuti i propri diritti derivanti da un inquadramento professionale non corrispondente alla realtà delle mansioni svolte.

Quando non si applica la prescrizione presuntiva a un credito di lavoro?
La prescrizione presuntiva non si applica quando il debitore (datore di lavoro) contesta l’esistenza stessa dell’obbligazione che ha dato origine al credito, ad esempio negando che il lavoratore abbia mai svolto le mansioni superiori per le quali richiede le differenze retributive.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o rivalutare i fatti del caso. Il suo compito è limitato al controllo della corretta applicazione delle norme di diritto e della coerenza logico-formale della motivazione della sentenza impugnata, non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.

Qual è la conseguenza se un datore di lavoro nega lo svolgimento di mansioni superiori ma il lavoratore riesce a provarlo?
Se il lavoratore dimostra in giudizio di aver svolto mansioni superiori, la negazione del datore di lavoro rende inapplicabile l’eccezione di prescrizione presuntiva. Di conseguenza, si applicherà il termine di prescrizione ordinario (solitamente quinquennale per i crediti di lavoro) e il datore sarà condannato al pagamento delle differenze retributive accertate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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