Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27805 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27805 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2025
Oggetto: intermediazione finanziaria
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13952/2024 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 2452/2023, depositata il 6 dicembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata il 6 dicembre 2023, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Arezzo che aveva respinto le sue domande di accertamento della nullità
degli acquisti di obbligazioni della Repubblica Argentina, di annullamento o risoluzione degli stessi per grave inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e di condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni per violazione degli obblighi informativi in relazione all’esecuzione di tali operazioni di acquisto;
la Corte di appello ha riferito che il giudice di primo grado aveva respinto le domande attoree evidenziando la autenticità o comunque la riconducibilità all’investitore delle sottoscrizioni apposte sugli ordini di acquisto dei titoli, l’inoperatività ratione temporis delle disposizioni in tema di obblighi dell’intermediario introdotti dal testo unico finanza e il rispetto da parte della banca convenuta de gli obblighi di cui all’art. 17, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, attesa l’assenza di indicatori da cui poter evincere l’ «alta rischiosità» dei titoli medesimi;
ha aggiunto che il Tribunale aveva, comunque, osservato che: il diritto al risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale, al pari dell’azione di annullamento per vizio del consenso, erano prescritti, decorrendo i relativi termini dalla data di acquisto dei titoli;
il giudice di appello ha disatteso il gravame evidenziando, tra le altre considerazioni, che le azioni di annullamento del contratto, di risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale si erano prescritte per decorso del termine decennale, in quanto la prima diffida utile era intervenuta il 29 dicembre 2021, mentre il relativo dies a quo doveva individuarsi nella data di esecuzione delle operazioni (anno 1996) o, al più tardi, nel 21 dicembre 2001, data di default dell ‘emittente;
ha, inoltre, rilevato che l’adesione dell’investitore all’offerta di concambio aveva determinato la novazione dei rapporti originari con conseguente sopravvenuta carenza dell’investitore alla pronuncia di risoluzione dei contratti preesistenti;
il ricorso è affidato a quattro motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
-a seguito di proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., il ricorrente chiede la decisione della causa;
-le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 cod. civ. e 3 e 24 Cost., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la decorrenza del termine prescrizionale decorresse dalla data di stipulazione del contratto o dell’inadempimento e non già da quella in cui il danno si era manifestato;
con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell ‘art. 115 , secondo comma, cod. proc. civ., per aver la Corte di appello affermato che il default dell’emittente si fosse verificato il 21 dicembre 2001 -e non già il 31 dicembre 2001, come sostenuto da parte attrice -senza indicare la fonte di conoscenza di tale circostanza, non potendosi ritenere che lo stesso costituisca un fatto notorio sottratto al principio di disponibilità delle prove;
con il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che oggetto delle domande fossero gli acquisti di titoli effettuati nel 1996 e, per uno di essi, nel 1997, in conformità con i doc. 2-6 prodotti dalla banca;
evidenzia che le domande interessavano, in realtà, titoli diversi -indicati sia nel doc. 1 di parte attrice, sia nei doc. 12-24 di parte convenuta -acquistati in epoca successiva all’entrata in vigore dell’euro;
censura, inoltre, la decisione di appello nella parte in cui ha ritenuto che gravava sull’attore l’onere di contestare i doc. 2 -6 prodotti dalla banca, benché si trattasse di mezzi di prova e non già dell’allegazione di fatti e, comunque, ha omesso di considerare che tali documenti erano stati interessati dalla contestazione della parte attrice all’udienza
del 7 gennaio 2014;
-con l’ultimo motivo deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’omesso esame di argomentazioni illustrate con l’atto di appello, quali: «- che la denominazione dei titoli, di cui ai docc. da 12 a 24 avversari non corrispondesse a quella dei titoli oggetto di causa; – che i docc. da 3 a 5 avversari non fossero riferibili ai titoli oggetto di causa, in quanto non presenti nel ‘prospetto deposito titoli’, di cui ai documenti da 12 a 24 avversari, dove si rinvenivano tutti i titoli oggetto di causa, cioè quelli indicati nel doc. 1 di parte attrice, doc. 1 nel quale non si rinvengono quelli di cui ai predetti docc. da 3 a 5 avversari; che la RAGIONE_SOCIALE Mps spa non avesse esplicitamente affermato che i docc. 3 a 5, da lei depositati, fossero ‘annotazioni d’ordine’, relative ai titoli fatti oggetto di causa, con l’atto di citazione, men che meno che fossero relativi a tutti tali titoli; che gli ordini di acquisto di cui ai suddetti docc. da 3 a 5 fossero relativi a titoli, per i quali era stato pagato un prezzo complessivo di € 103.901,30 (doc. 3 = € 51.969,66 + doc. 4 = € 25.926,61 + doc. 5 = € 26.015,03 = € 103.901,30 ), dunque un prezzo grandemente inferiore a quello che, nell’atto di citazione, introduttivo del giudizio di primo grado, l’att ore aveva dedotto di aver pagato; che, in considerazione di quanto sopra, mai il Giudice di appello avrebbe potuto ritenere che fosse circostanza non contestata che tali documenti fossero relativi agli acquisti dei titoli per cui è causa, addirittura che fossero relativi a tutti tali acquisti»;
la proposta di definizione del giudizio ha ritenuto che tutti i motivi di ricorso fossero inammissibili;
ha, in particolare, rilevato che la sentenza impugnata «è … fondata su una ratio decidendi, attinta dal secondo mezzo, che senz’altro resiste alla censura, con conseguente assorbimento degli altri motivi. La corte d’appello ha confermato che il diritto fatto valere in giudizio era estinto per prescrizione decennale osservando tra l’altro che il termine prescrizionale era stato interrotto il 31 dicembre 2011, ma che
il danno determinato dal default dell’Argentina si era verificato e palesato, con conseguente decorso del termine di prescrizione ai sensi dell’articolo 2935 c.c., prima del decennio computato a ritroso da tale data.
La sentenza impugnata al riguardo così motiva: «Il default argentino non è emerso il 31 dicembre ma il 21 dicembre 2001 quando il governo dichiarò la moratoria sul debito congelando il pagamento degli interessi e sospendendo il rimborso dei capitali in scadenza; il danno quindi divenne immediatamente percepibile dagli azionisti. Il fatto notorio del default, divenne generalizzato e ampiamente diffuso sulla stampa e sulle reti televisive, in maniera tale che un investitore di media diligenza non avrebbe potuto non prenderlo in considerazione; situazione tipica in cui si genera molto spesso un panico finanziario con la corsa agli sportelli delle banche e delle società finanziarie».
A fronte di ciò, i ricorrenti assumono che la corte territoriale avrebbe mal governato il concetto di notorio, ma l’assunto è totalmente privo di fondamento, avuto riguardo al principio secondo cui: «In tema di prova, il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio (da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo) e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda; peraltro, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero, l’inveridicità può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non già di ricorso per cassazione» (Cass. 15 febbraio 2024, n. 4182).
E nel caso di specie la sentenza impugnata non è affatto viziata da una errata nozione di notorio. Difatti: «Le condizioni di crisi economica o
finanziaria, quando sono generalizzate, rientrano nella nozione di “fatto notorio” per i fini di cui all’art. 115 c.p.c.» (Cass. 6 giugno 2023, n. 15923, riferita al caso Lehman Brothers, e dunque al default di una singola banca, vicenda senza dubbio enorme, di risonanza mondiale, ma certo non più notorio del default di uno Stato sovrano quale l’Argentina). Comunque la si voglia guardare, dunque, il giudizio di notorietà dell’antecedenza del default e del suo manifestarsi non più tardi del 21 dicembre è incensurabile in questa sede.
Gli altri motivi come si diceva rimangono assorbiti».
il Collegio condivide tali considerazioni;
può aggiungersi che con l’istanza avanzata ex art. 380 bis cod. proc. civ. il ricorrente critica la proposta nella definizione nella parte in cui ha ritenuto corretta l’applicazione della nozione di fatto notorio operata dalla Corte di appello osservando che la notizia del default aveva impiegato del tempo per diventare fatto notorio e che, comunque, alla data del default dell’emittente non era certa l’esistenza del danno e, quindi, non era ancora insorto il diritto ad ottenere il relativo risarcimento;
sul punto, può replicarsi che, quanto al primo aspetto, l’ inveridicità del fatto notorio ritenuto dal giudice di appello può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non già di ricorso per cassazione (cfr., oltre alla giurisprudenza indicata nella proposta di definizione, Cass. 22 maggio 2019, n. 13715; Cass. 18 maggio 2007, n. 11643; Cass. 17 settembre 2005, n. 18446);
quanto al secondo aspetto, si osserva che la nozione del fatto notorio è stata utilizzata dalla Corte di appello solamente per individuare la data del default dell’emittente, mentre l’ individuazione del dies a quo del termine prescrizionale nella medesima data costituisce frutto di interpretazione del giudice di merito in ordine al momento in cui il diritto vantati poteva essere esercitato;
-l’individuazione di tale dies a quo non è, dunque, fatto discendere
dall’applicazione della nozione di fatto notorio, ma costituisce applicazione dell’art. 2935 cod. civ. , sia pure fondata su un accertamento fattuale operato mediante il ricorso al fatto notorio;
esso dipende dalle circostanze del singolo caso concreto e il relativo accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, perché presuppone indagini di natura fattuale notoriamente precluse in sede di legittimità (così, Cass. 12 dicembre 2024, n. 32226);
con riferimento al terzo motivo può, inoltre, evidenziarsi che la deduzione con il ricorso per cassazione errores in procedendo , in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664);
ne consegue che il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (cfr. Cass. 6 settembre 2021, n. 24048; Cass. 23 dicembre 2020, n. 29495; Cass. 25 settembre 2019, n. 23834);
in particolare, l ‘ indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi deve avvenire, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, unitamente da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (cfr. Cass. 19 aprile 2022, n. 12481);
nel caso in esame, parte ricorrente omette di indicare con esattezza
quale è stato l’oggetto delle domande proposte in primo grado in particolare, quali acquisti di titoli sono stati dalle stesse interessati -e in quale atto le medesime domande sono state compitamente articolate, non soddisfacendo, in tal modo, l’onere di autosufficienza del ricorso sulle stesse gravanti;
sotto altro aspetto, si osserva che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre per dedurre la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. occorre allegare che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867);
il ricorrente non ha assolto a un siffatto onere, limitandosi a contestare la valutazione dei documenti probatori offerti dalle parti;
-in ordine all’ultimo motivo può, altresì, sottolinearsi che a integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, per cui tale vizio non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di specifiche argomentazioni (così, Cass. 29 gennaio 2021, n. 2151; Cass. 9 maggio
2007, n. 10636; Cass. 1° aprile 2003, n. 4972);
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540);
-il ricorrente va, dunque, condannato, nei confronti della controricorrente, al pagamento di una somma che può equitativamente determinarsi in euro 7.800,00 , oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 7.800,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 7.800,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00, in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 17 settembre 2025.
Il Presidente