Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6297 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 6297 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 11211 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto
da
DI NOME (C.F.: DPL CODICE_FISCALE)
rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOMEC.F.: TMB LCU CODICE_FISCALE) ed NOME COGNOMEC.F.: LST LLN 40S41 H501F)
-ricorrente-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO F839Z)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: MLF CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché
FALLIMENTO DI COGNOME, in estensione del fallimento di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE n. 15-1/2009 (C.F. FCH LRD CODICE_FISCALE), in persona del curatore
COGNOME NOME (C.F.: PRG CODICE_FISCALE)
-intimati-
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 4769/2022, pubblicata in data 14 novembre 2022;
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 5 febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME uditi:
il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso, come da requisitoria scritta in atti;
l’avvocato NOME COGNOME per la ricorrente.
Fatti di causa
NOME e NOME COGNOME, in virtù di titolo esecutivo di formazione giudiziale, hanno pignorato i crediti vantati da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE di Di RAGIONE_SOCIALE, di cui il debitore era socio accomandante, a titolo di utili e, comunque, a qualunque altro titolo. La società terza pignorata, precisato che il COGNOME era stato escluso dalla compagine in virtù di sentenza passata in giudicato e che il valore della sua quota, alla data dell’esclusione, era pari ad € 7.500,00, ha reso dichiarazione di quantità in senso negativo. I creditori hanno promosso il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo in sede contenziosa, secondo il regime previsto nella formulazione dell’art. 549 c.p.c. all’epoca vigente. Nel corso del giudizio di primo grado è stato dichiarato il fallimento di NOME COGNOME e si è costituita, per proseguire il giudizio da lui promosso, la curatela fallimentare.
La domanda è stata accolta dal Tribunale di Napoli, che ha accertato l’obbligo della società terza pignorata di pagare in favore del socio escluso COGNOME l’importo di € 303.857,92 , a titolo di liquidazione della sua quota sociale, oltre interessi legali dal 18 febbraio 2006.
La Corte d’a ppello di Napoli, su appello di NOME COGNOME già socia accomandataria della RAGIONE_SOCIALE, frattanto estinta e cancellata dal registro delle imprese, in parziale riforma della decisione di primo grado, che ha confermato per il resto, ha fissato all’ 8 dicembre 2006 la decorrenza degli interessi, al
tasso legale di cui all’art. 1284, comma 1, c.c., sulla somma spettante al Paragliola come indicata dal tribunale.
Ricorre la COGNOME, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.
È stata disposta la trattazione in pubblica udienza.
Il pubblico ministero ha depositato requisitoria scritta.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « errata o falsa applicazione dell’ art. 2949 cc in combinato disposto con artt. 2935, 2934, 2287, 2289, 2270, 2305 c.c. e art. 492 c.p.c. in relazione all’ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in riferimento alla prescrizione del diritto del socio escluso ad ottenere la liquidazione della quota ».
Il motivo è infondato.
La decisione impugnata, nella parte in cui ha escluso la dedotta prescrizione del credito oggetto del pignoramento, è conforme ai consolidati principi di diritto enunciati in materia da questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare (e che, anzi, la ricorrente afferma di condividere), secondo i quali « in tema di prescrizione del credito oggetto di pignoramento, i singoli atti del procedimento esecutivo portati a conoscenza del terzo o da questo compiuti sono idonei a determinare un effetto interruttivo sul piano sostanziale ai sensi degli artt. 2943 ss. c.c.; ne consegue che la prescrizione del credito è interrotta, con effetto esclusivamente istantaneo, dalla notificazione al ‘debitor debitoris’ dell’atto di pignoramento e comunque dalla dichiarazione di quantità positiva del terzo, in quanto sostanzialmente equiparabile ad un atto di riconoscimento del debito, o dall’accertamento giudiziale del suo obbligo, ma non dall’emissione dell’ ordinanza di assegnazione del credito », con la precisazione che « il termine di prescrizione del
credito pignorato non decorre, ai sensi dell’art. 2935 c.c., nel periodo che intercorre tra il pignoramento presso terzi e la dichiarazione di quantità positiva del terzo (o l’accertamento giudiziale del suo obbligo) e tra quest’ultimo evento e l’assegnazione, in quanto il diritto non può essere fatto valere né dal creditore procedente, né dal debitore esecutato; la prescrizione ricomincia a decorrere dal momento in cui il diritto di credito può essere esercitato dal creditore assegnatario e, cioè, di regol a, dalla pronuncia dell’ordinanza di assegnazione (se emessa in udienza) ovvero dal suo deposito (se resa fuori udienza) » (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6170 del 05/03/2020, Rv. 657153 -02 e 03, nella cui motivazione si precisa anche espressamente, peraltro, che « è appena il caso di osservare che, laddove invece la dichiarazione non fosse positiva e si facesse luogo all ‘ accertamento dell ‘ obbligo del terzo, ai sensi dell ‘ art. 549 c.c., dal momento della proposizione della domanda di accertamento dell ‘ obbligo del terzo da parte del creditore vi sarebbe una nuova interruzione della prescrizione e questa avrebbe certamente carattere permanente, ai sensi degli artt. 2943, comma 1, e 2945, commi 2 e 3, c.c., fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, quanto meno con riguardo alla disciplina dell ‘ espropriazione presso terzi anteriore alle modifiche della disposizione richiamata, che hanno eliminato il relativo giudizio di cognizione, rendendo l ‘ accertamento dell ‘ obbligo del terzo una vicenda meramente endoesecutiva, priva di attitudine al giudicato » ).
Nella specie, la corte d’appello ha accertato che la prescrizione aveva iniziato a decorrere dall’8 giugno 2006, data del passaggio in giudicato della sentenza di esclusione del Paragliola dalla società, che la notificazione dell’atto di pignoramento era a vvenuta in data 20 luglio 2007, che la dichiarazione di quantità era stata resa in data 18 aprile 2011 (ed era stata, peraltro, immediatamente contestata dai creditori procedenti) e che il giudizio
di accertamento dell’obbligo del terzo, in fase contenziosa, era stato introdotto nel marzo 2012.
Anche a prescindere, dunque, dalla natura positiva o negativa della dichiarazione di quantità resa (e dall’efficacia interruttiva della sua immediata contestazione, con richiesta di accertamento di detto obbligo, che pure andrebbe certamente considerata, se non come effettivo atto introduttivo del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, quanto meno come atto di esercizio del diritto con effetto interruttivo istantaneo sul piano sostanziale, ai sensi degli artt. 2943 ss. c.c.), deve ritenersi correttamente esclusa la maturazione del termine quinquennale di prescrizione, anche solo considerando: a) che il termine di prescrizione non poteva decorrere , ai sensi dell’art. 2935 c.c., nel periodo successivo alla notificazione dell’atto di pignoramento presso terzi, in quanto il diritto di credito pignorato non poteva essere fatto valere, in tale periodo, né dal creditore procedente, né dal debitore esecutato; b) comunque, che tale termine non era integralmente decorso, anche solo prendendo in considerazion e la data di notificazione dell’atto di pignoramento (atto interruttivo di carattere istantaneo) e quella dell’introduzione del presente giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, a cognizione piena, secondo il regime normativo vigente ratione temporis (regime nel quale l’introduzione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo costituisce senz’altro atto interruttivo della prescrizione con effetti permanenti, ai sensi degli artt. 2943, comma 1, e 2945, commi 2 e 3, c.c., con interruzione del decorso della prescrizione, quindi, ancora in corso).
Con il secondo motivo si denunzia « Errata o falsa applicazione dell’ art. 2287 c.c. in combinato disposto con l’ art. 2289 c.c. e gli artt. 323, 324, 325, 326, 327, 342 c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione
all’ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. , in riferimento all’errata individuazione della data di esclusione del socio ».
La ricorrente contesta la decisione della corte d’appello, la quale, pure avendo riconosciuto che il tribunale aveva individuato erroneamente il momento nel quale andava accertato il valore della quota del socio escluso da liquidare in suo favore (avendola fatta coincidere con la data della pronuncia della sentenza che aveva disposto l’esclusione, del 20 marzo 2005, anziché con quella del suo passaggio in giudicato, avvenuto l’8 giugno 2006), ha ritenuto inammissibili -in primo luogo per difetto di specificità e, comunque, per difetto di interesse -le censure in proposito formulate in sede di gravame, non avendo l’appellante sufficientemente allegato (ancor prima che dimostrato) che il valore della quota sarebbe stato inferiore, se calcolato alla data correttamente da lei indicata.
Sostiene che, in realtà, il rilievo del difetto di specificità delle censure da lei avanzate in sede di appello sarebbe « smentito da una più attenta lettura dei rilievi formulati dall’appellante, riportati anche nelle conclusioni, in particolare per la sostanziale incommerciabilità degli immobili, realizzati in difformità delle concessioni edilizie ed in violazione della normativa in materia urbanistica, come accertato dal CTU ».
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Non viene richiamato adeguatamente (anzi, non viene richiamato in alcun modo), in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., lo specifico contenuto degli atti difensivi del giudizio di secondo grado sui quali la censura è fondata.
La ricorrente si limita a trascrivere, in realtà, un passaggio della relazione del consulente tecnico di ufficio sulla regolarizzazione, avvenuta solo nel 2010, degli abusi edilizi realizzati sugli immobili della società.
Tale parte della relazione di consulenza non può ritenersi (come è ovvio) idonea a documentare l’avvenuta specifica allegazione,
in sede di gravame, di un valore inferiore della quota del socio escluso alla data di passaggio in giudicato della sentenza di esclusione, rispetto a quello che aveva alla data della pronuncia di detta sentenza. È, anzi, appena il caso di osservare che, essendo l’affermazione del consulente riferita ad un’epoca di alcuni anni successiva sia alla pronuncia che al passaggio in giudicato della sentenza di esclusione del socio COGNOME, essa non pare neanche idonea a sostenere l’assunto sostanziale alla base della censura stessa.
Ciò è sufficiente a determinare l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame: il rilievo di inammissibilità del motivo di appello, per difetto di specificità è, infatti, da solo idoneo a sostenere la statuizione censurata.
Per completezza, può comunque, altresì, osservarsi, che è condivisibile anche l’ulteriore rilievo operato dalla corte d’appello, in relazione all’inammissibilità del motivo di appello di cui si discute, per difetto di interesse.
Poiché, infatti, l’interesse processuale all’impugnazione deve essere concreto e non teorico e deve essere provato dal ricorrente, certamente la ricorrente, nella specie, a sostegno del gravame proposto, avrebbe avuto l ‘ onere, quanto meno, di allegare e fornire elementi utili a far presumere che il valore della quota del socio escluso sarebbe stato inferiore, se calcolato alla data del passaggio in giudicato della sentenza di esclusione anziché alla data della pronuncia della stessa, in questo modo evidenziando il proprio interesse all ‘ impugnazione (sulla necessaria concretezza dell’interesse all’impugnazione, cfr., tra le tante: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3563 del 13/02/2013, Rv. 625302 -01; Sez. 3, Sentenza n. 376 del 11/01/2005, Rv. 579858 -01; Sez. 5, Sentenza n. 12577 del 08/07/2004, Rv. 574338 – 01; Sez. L, Sentenza n. 13953 del 26/09/2002, Rv.
557596 –
01).
Al riguardo, effettivamente, la mera erronea individuazione del momento in cui andava accertato il valore della quota non determina, di per sé sola considerata e in astratto, con sicura consequenzialità, non tanto un valore diverso, ma, soprattutto e, comunque, un valore più favorevole di detta quota per l’appellante: quest’ultima doveva, pertanto, allegare, al riguardo, elementi nel senso della plausibilità di un tale esito del riscontrato errore; ed in tal senso va inteso il passaggio motivazionale censurato.
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione dell’ art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, in riferimento a nullità della sentenza per omessa e comunque carente motivazione, omesso esame circa fatti decisivi dibattuti tra le parti ».
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
È inammissibile la censura di « omesso esame circa fatti decisivi dibattuti tra le parti », ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto tale censura non è consentita quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, come nella specie certamente è avvenuto, con riguardo alla statuizione contestata con il motivo di ricorso in esame.
È, invece, infondata la censura di « nullità della sentenza per omessa e comunque carente motivazione », in quanto, con riguardo alla valutazione del merito della domanda di accertamento del credito del socio escluso COGNOME per il valore della sua quota la decisione impugnata risulta sostenuta da motivazione più che adeguata, fondata sull’esame di tutte le risultanze istruttorie, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria e, come tale, non sindacabile nella presente sede. Sotto tale profilo, d’altra parte, le censure formulate con il motivo di ricorso in esame si risolvono nella contestazione di
accertamenti di fatto non sindacabili e nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
Per completezza, è opportuno ribadire, in proposito, che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, non può considerarsi carente la motivazione della sentenza che faccia richiamo alle conclusioni emergenti dalle relazioni dei consulenti tecnici di ufficio nominati nel corso del giudizio di merito, specie laddove queste contengano le repliche, sul piano tecnico, alle eventuali osservazioni delle parti e/o dei loro consulenti (cfr., ex multis : Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 33742 del 16/11/2022, Rv. 666237 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015, Rv. 634182 -01: « il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l ‘ obbligo della motivazione con l ‘ indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive »; conf.: Sez. 1, Sentenza n. 14471 del 25/06/2014, Rv. 631496 -01; Sez. 1, Sentenza n. 282 del 09/01/2009, Rv. 606211 -01), come correttamente fatto rilevare dallo stesso pubblico ministero nella sua requisitoria scritta.
Inoltre, l’ omesso esame, da parte del giudice di merito che recepisca le conclusioni di una consulenza tecnica d ‘ ufficio, dei rilievi contenuti in una consulenza tecnica di parte, in tanto può rilevare come vizio di omessa motivazione denunciabile in cassazione, in quanto la parte ne indichi, con riferimento a serie e
documentate argomentazioni scientifiche, la decisività e, comunque, solo se la motivazione, pur aderendo alle conclusioni rassegnate dal consulente, ometta qualsivoglia menzione delle osservazioni a quelle svolte (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 15733 del 17/05/2022, Rv. 665015 -02; Sez. L, Ordinanza n. 9925 del 12/04/2024, Rv. 670687 -01; Sez. 1, Sentenza n. 15804 del 06/06/2024, Rv. 671534 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 25767 del 26/09/2024, Rv. 672458 -02), situazione nella specie certamente da escludere, per quanto sin qui osservato e tenuto conto del fatto che le osservazioni e le critiche svolte alle relazioni dei consulenti tecnici di ufficio sono adeguatamente ed ampiamente considerate e richiamate nella decisione impugnata e disattese sulla base di argomentazioni assolutamente chiare e pertinenti, se non pure condivisibili, certamente non sindacabili nella presente sede.
4. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi € 6.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del
D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Si dispone che, ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi i dati identificativi di ricorrente e suoi genitori.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-